Cara
Béatrice
Ho
letto lo scritto “De la rue a la mer”.
A
alta voce.
Ho
immaginato i suoni delle ruote, dei campanelli, le voci della gente,
i sorrisi.
Allo
stesso tempo i rumori delle auto ferme, i clacson, le parole
arrabbiate degli automobilisti.
Tutto
insieme.
Ho
visto il serpente caotico di biciclette sotto il sole lungo la strada
per il mare. Tra una leggera salita e una discesa liberatoria.
Immagini
e suoni mescolati. Questi ultimi a scandire il ritmo a mo' di
filastrocca leggiadra, ammaliante, delicata sopra il rumore antico di
un proiettore acceso su di un passato vicino eppure già così
lontano e stereotipato. Uno scioglilingua arcano capace di elevarti,
di farti stare bene, di lasciarti con il sorriso di un bambino.
Sospesi dal clamore cieco della vita. Nel cuore della notte. Con la
sola luce sul tavolo a gettare ombre sulle cose. A mettere in risalto
particolari solitamente poco noti.
Ecco
cosa rimane della ciemmona.
Una
sensazione di benessere indefinita.
Una
pressione al cuore.
Delle
immagini vive in grado di attivarti, di trasformarti ancora a
distanza. Come dopo aver pronunciato una formula magica.
Ed
è bello continuare a condividerle con chi c'era.
Con
te, Gaz.
Perché
sai di essere capito.
Per
gli altri quelle stesse parole girano a vuoto.
Sono
solo lemmi spenti.
Non
pulsano di vita.
Non
emanano sudori, odori.
Come
fossero soltanto una sequela mortifera di parole accatastate in fila
l'una dietro l'altra.
Sono
contento di poter vivere questo con te. Nonostante la distanza. Anzi
in virtù di essa.
Traiettorie
improbabili sfioratesi per un breve momento.
Il
tempo giusto di risuonare insieme.
Schizzate
via subito dopo.
Non
prima di essere state segnate irreversibilmente.
È
vero eravamo diecimila.
Ma
non è così importante.
È
vero siamo stati una massa critica come non mai.
La
città intera si è accodata a ritmo di bici.
Ma
a rimanere dentro sono più quei piccoli momenti di pausa, mentre si
faceva colazione tutti insieme all'aperto, il suono di una voce, il
movimento di dita intente a rincorrere all'infinito ricci neri, uno
sguardo fisso nel vuoto, le lezioni di yoga.
Insomma
la vita nuda colta nei suoi momenti più intimi, privati. Libera di
esprimersi senza essere ingabbiata in qualcosa. La
massima espressione individuale. Senza vergogna di mostrarsi così
com'è. Però allo stesso tempo immagine indelebile, esemplare capace
di significare il valore più fragile e elevato di umanità.
Tutto
il resto diventa secondario.
Eppure
lo sfondo necessario.
Senza
non sarebbe potuto accadere.
Dopo,
se non si rimane troppo annebbiati dalla fiumana mortifera della vita
quotidiana, quei momenti verranno conservati nella memoria come un
patrimonio. La moneta da scambiare alla bisogna.
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