domenica 6 gennaio 2019

Beni comuni - 27 gennaio 2019 a Camere d'Aria

Secondo Ugo Mattei, nel libro “I beni comuni. Un manifesto”: nella cultura politica dell'illuminismo i beni comuni sono stati esclusi dal novero delle categorie politiche e giuridiche rispettabili e sono stati relegati a luoghi del pre-moderno, del selvaggio e del medievale tanto da chi è favorevole tanto da chi è contrario alla proprietà privata. Il COMUNE cessa di essere uno statuto epistemologico dei beni avente pari dignità rispetto al PUBBLICO o al PRIVATO.
La nostra realtà è costruita intorno a categorie del possibile che escludono i beni comuni proprio perché la loro privatizzazione continua e progressiva, a scapito della natura e degli altri esseri umani, è considerata un dato naturale non solo certo e irreversibile ma anche desiderabile. Restituire dignità politico culturale ai beni comuni significa fondare il discorso politico e giuridico su un'altra realtà, quella di un MONDO NATURA, che non possono appartenere a qualcuno soltanto ma che devono essere condivisi e accessibili a tutti. Significa concepire prima gli interessi comuni di tutti gli umani concepiti come un ECOSISTEMA DI RELAZIONI DI RECIPROCA DIPENDENZA e solo successivamente gli interessi individuali, poiché gli individui non sono neppure materialmente concepibili come monadi isolate. I beni comuni smascherano gli assunti irrealistici dell'individualismo Borghese.
Nel libro “Comune, oltre il privato e il pubblico”, sorprendentemente Toni Negri ci dice che per ridare dignità ontologica al Comune non si può prescindere da una nuova forma-di-vita fondata su due concetti profondamente interrelati tra loro che giocano un ruolo assai significativo:
povertà e amore.
L'amore è un concetto che offre un'altra prospettiva per comprendere la potenza e la vita nel comune. L'amore è un modo per sfuggire alla solitudine dell'individualismo ma non, come il discorso dominante ci suggerisce, per isolarci di nuovo nella vita “privata” in coppia in famiglia.
Amare significa entrare in contatto, ovvero in una relazione produttiva, cioè efficace-creativa all'interno di una dimensione olistica, universalistica del mondo visto come un sistema complesso emergente vivo plurilivellare non lineare. Più semplicemente sentirsi parte del tutto, partecipare del tutto. Ovvero percepirsi essere tutto in tutti e tutti nel tutto. Sapendo che ogni cosa interagisce e è connessa con le altre. Una volta si sarebbe parlato di dimensione cosmologica. Dove il micro si rispecchiava nel macro e viceversa. Dove i livelli più sottili e apparentemente immanifesti interagivano a doppio senso con quelli più manifesti.
L'altro termine è quello di povertà.
Sentirsi parte del tutto vuol dire superare l'idea che qualcosa possa essere separato dal tutto per un uso privato, occasionale, locale.
Nulla ci appartiene. Questa è la dimensione più autentica della realtà.
Il Comune è inappropriabile, sebbene se ne possa fare uso se guidati da una “Intelligenza generale” diffusa.
Secondo Agamben ne ”L'uso dei corpi” per Benjamin la vera giustizia “non ha nulla a che fare con la ripartizione dei beni secondo i bisogni degli individui perché la pretesa del soggetto al bene non si fonda sui bisogni ma sulla giustizia e come tale si rivolge non a un diritto di proprietà della persona ma a un diritto al bene del bene”. Insomma la giustizia viene presentata non come una virtù, ma come UNO STATO DEL MONDO, come la categoria etica che corrisponde non al dover essere, ma all'esistente come tale. Ed è in questo senso che essa può essere definita come uno sforzo di fare del mondo il bene supremo. Fare del mondo il bene supremo può soltanto significare esperirlo come assolutamente inappropriabile. In questo modo la POVERTÀ non si fonda su una decisione del soggetto ma corrisponde a UNO STATO DEL MONDO.
Non si tratta dunque di dover rinunciare a qualcosa. La dimensione dell'avere è solo un abbaglio. Qui l'uso del mondo e di sé stessi si presenta come la relazione a un inappropriabile, come la sola relazione possibile a quello stato supremo del mondo, in cui esso, in quanto giusto, non può essere in alcun modo appropriato. Al massimo si può incarnare una relazione di amore con esso. Così possiamo definire ora l'amore come l’uso di sé in quanto relazione con un inappropriabile. Ciò di cui facciamo esperienza nell’intimità è il nostro tenerci in relazione con una zona inappropriabile di non-conoscenza. Essa non si traduce in alcun modo in qualcosa che possiamo padroneggiare.
Comune non è mai una proprietà ma solo l'inappropriabile. La condivisione di questo inappropriabile è l’amore.
Il soggetto di tale nuova forma-di-vita è quello della moltitudine.
La moltitudine è un insieme di singolarità costituite dalla povertà e dall'amore nella riproduzione, conservazione, accudimento del comune. Non prima di essersi spogliate di tutte le figure storico-politiche del mondo. L'uomo senza più classi di Marx, secolarizzazione dell'uomo messianico nella tradizione ebraico cristiana. In chiave profana l’uomo sottrattosi alla conta e alla distribuzione del potere operato dai dispositivi di soggettivazione politica. La pietra di inciampo irriducibile lì a denunciare la falsità insita nel profondo della politica dei diritti e delle classi come elemento sottaciuto di cattura e al contempo di esclusione di una parte.