lunedì 22 agosto 2011

Violetta

Solitamente la chiamavano Viola.
Lei aveva provato a controbattere.
Scusate, il mio nome è Violetta Helena.
Ma nessuno l'aveva ascoltata.
Anzi con il tempo anche i parenti più lontani la chiamavano così.
Beh... tutti la chiamano così.
Anche quando ripresi non c'era nulla da fare. Quel nome si era impresso nella loro memoria come un marchio di fabbrica.
Alla fine aveva ceduto e per tutto il periodo accanto alla zia come badante si era mestamente rassegnata a tale evidenza.
Era la prima volta a trovarsi in quel ruolo e non era stato facile. Inizialmente si era prefigurata ben altri scenari. Più di una occasione era stata sul punto di cedere e di abbandonare l'intera baracca al suo destino. Anche perché di problemi personali da risolvere ne aveva assai. Questioni fondamentali capaci di invischiare l'esistenza come dentro una gabbia asfissiante. In fondo lo stare al fianco della zia era stato il pretesto per fermare una traiettoria vitale impazzita. Una fuga da un mondo ostile dove c'erano però tutti gli affetti di una vita.
Sebbene non ci fosse stata mai una reale comprensione aveva trovato negli amici della zia un'accoglienza basilare. Lasciando perdere la storpiatura del nome la sostenevano per come potevano. Che so portandole da mangiare o facendole la spesa. Anche perché senza di lei veniva a cadere l'intera impalcatura di accudimento della zia. In tutto questo tempo era riuscita comunque a raccontare le sue vicissitudini al nipote. L'unico ad ascoltarla veramente, a conoscere la sua storia. Almeno per quanto poteva. Senza di lui sarebbe già caduta più di una volta. Ma anche nelle situazioni peggiori era riuscito pazientemente a contenere le sue crisi passeggere. Alla fine si era fatta le ossa. Per questo si mostrava riconoscente verso di lui al punto di voler ricambiare con quanto poteva. Un aiuto nell'amministrazione delle piccole cose domestiche del tutto lasciate all'incuria. Ciò era stato facilitato anche dal breve soggiorno a casa sua dopo la morte della zia. Così aveva avuto la possibilità di entrare nel suo sancta sanctorum. Avrebbe voluto risistemarlo secondo delle regole igienico-sanitarie generalmente condivise. Ma senza successo a causa della reticenza di lui. Quel caos all'apparenza disorganizzato corrispondeva al suo modo destrutturato di vivere. Nonostante la mancanza di ordine tutto si trovava a disposizione con facilità in vista delle occasionali esigenze minime di sopravvivenza.
Ma c'era dell'altro.
Sotto sotto sapeva bene cosa si nascondesse dietro quell'apparente altruismo disinteressato. Un modo per creare riconoscenza e riconoscimento al punto da legare l'altro sottilmente secondo la logica implicita del dono-controdono. E non ne voleva sapere. Ci teneva alla sua libertà e faceva di tutto per svincolarsi da tali dinamiche. Per questo la evitava quando poteva per non essere invischiato in quella trappola a ciel sereno difficilmente gestibile. Anche perché non avevano granché da dirsi né da condividere. I loro obiettivi erano del tutto non sovrapponibili. Il loro incontro frutto solo del caso. In condizioni normali difficilmente si sarebbero avvicinati l'uno a l'altra. Perciò era saggio rimanere ognuno per la propria strada. Tutto nel rispetto reciproco e nella trasparenza delle opinioni.

lunedì 8 agosto 2011

Bela Lugosi is not dead

Arrivano verso mezzanotte.
La zia è già morta da un po'!
Ha ancora la carnagione rosea. Il sangue non ha defluito del tutto.
Sono in due. Il vestitore e l'accompagnatore.
Prima del rigor mortis la zia va cambiata. In fretta e furia bisogna cercare dei vestiti nel guardaroba, rigorosamente in bianco e nero, le collant non si trovano, pazienza...
Il vestitore è alto, quasi cieco, impacciato nel camminare. Al primo gradino inciampa barcollando paurosamente.
Sarà per la statura di oltre un metro e ottanta, l'età avanzata, i capelli bianchi spettinati, la camicetta celestino chiaro un po' trasandata sembra uno zombie richiamato dall'oltretomba per fare il lavoro sporco. Dare una presentabilità alla zia restituendola a una dimensione senza tempo. Sospesa da sempre nell'eternità. Come se tutto quanto vissuto di recente non fosse stato. Potesse le donerebbe anche un leggero sorriso beato.
Nonostante la mole, quando si presenta lo fa con una vocina piccolina piccolina quasi fosse ancora un bambino un po' troppo cresciuto nel frattempo. Con sé ha portato la cassetta degli attrezzi come quella dei medici di un tempo. Una borsa nera in pelle con apertura a scatto centrale.
Non perde tempo. Come un automa attivato sa bene cosa fare e nulla lo può distogliere dalla meta intravista. Il corpo della zia immobilizzato a letto. Circondiamo la zia per le presentazioni. Ma non c'è tempo. Il nostro eroe sta già smontando il letto per agevolare il lavoro... L'accompagnatore lo ferma... ei un attimo... aspetta. Ma tanta è la voglia di cominciare da voler bruciare tutte le tappe, gli ostacoli tra lui e lei.
Lo lasciamo da solo.
Vanno tolti gli oramai inutili strumenti di sopravvivenza, il catetere, i due ani artificiali, la maschera per l'ossigeno. Poi come un bebè incontinente dovrà fasciarla per evitare le perdite. Allora la vestirà con quanto trovato lì a disposizione. Dopo circa un'ora l'opera di trasformazione è terminata. La zia è stata restituita integra a nuova vita. Vengono gettati in una busta trasparente tutto quanto di residuale non più conforme al nuovo stato. La zia come una farfalla ha lasciato la crisalide. La metamorfosi è ora compiuta. Nuova vita alla nuova carne.
Prima di andare il vestitore tira fuori dalla borsa nera un contenitore in plastica bianca di amuchina offrendolo a tutti come lauto premio per il buon risultato. Manco fosse un infermiere d'ospedale o un consumato attore di C.S.I.

giovedì 4 agosto 2011

Ciclofficina antieconomica

La ciclofficina non è un'istituzione.
È piuttosto un evento occasionale unico capace di rigenerarsi ogni volta dalle proprie ceneri. Oggi c'è domani chi lo sa. Nessuno è impegnato. A meno non gli faccia piacere. Non si deve nulla a nessuno, non si dà nulla a nessuno. Questo per scongiurare qualsiasi ottica utilitaristica. La ciclofficina è antieconomica. Non ha nulla da guadagnare, tutto da perdere. Se ne infischia delle pratiche caritatevoli. Va per la sua strada. Chi vuole percorrere insieme lo stesso cammino è libero di farlo. La ciclofficina è uno stile di vita applicato alla realtà utilizzando come pretesto la bici. Ma poteva essere qualsiasi altra cosa. A contare non è il risultato ma il fare, stare insieme per un po'. Poi ognuno per la propria strada fino al prossimo incontro. Senza obbligazione alcuna, imparando a gestire la perdita, l'incertezza, l'instabilità. Tutto in nome di una libertà negativa svincola da qualsiasi imposizione, dispositivo di qualsiasi natura. Se proprio volessimo trovare un'analogia, la sua propensione atelica può essere avvicinata alla dimensione del gioco.
In conclusione, non ci interessa l'economia, la logica dello scambio reciproco, il fare il bene, l'utilitarismo, il volontariato, la ricerca di salvezza. Piuttosto meglio la perdizione ciclica, l'impasse, la sospensione, lo sciopero a oltranza.