mercoledì 30 maggio 2012

A tutta birra



Era ancora lì.
Immobile all'incrocio.
Vicino al semaforo, a un passo dalle strisce pedonali.
Lo stesso vestito dell'ultima volta.
Solo un po' più scuro.
I capelli stropicciati.
Un unico movimento ripetuto all'infinito.
Sollevare la bottiglia alle labbra.
Su e giù con il braccio.
Un sorso alla volta.
Come una macchina.
Fino qualche mese fa stazionava più in centro. 
Vicino al fu-exodus.
Stesso cerimoniale.
Bere fino alla morte.
Un modo come un altro per lasciare il mondo.
Neanche il peggiore.
Intorno tutto un movimento.
La vita organizzata non si arresta di fronte a tale scarto.
Testimone del nulla.
Silenzioso quanto basta per non urtare nessuno.
Uno scomparire pacato.
Indifferente a tutto, a tutti.
Non senza essere a suo modo signorile.
Niente più proclami, messaggi da inviare.
Capolinea di ogni speranza, di ogni fede.
Al suo fianco solo la morte.
Al momento affaccendata in altro per occuparsi di lui.
Questioni di resistenza.
Troppo allenato il corpo per affogarlo con la birra.
L'avevo conosciuto più di vent'anni fa.
Allora andava a vino.
Era sempre in compagnia di un altro sbandato più grosso di lui.
Il gatto e la volpe.
Frequentava gli incontri del rinnovamento dello spirito.
Di fuori, per spillare qualche spiccio per la benza.
Ora è solo.
Non sorride più barcollando insieme al suo amico.
Fermo come una cariatide aspetta.
Senza dire nulla.
Gli occhi spenti.
Fissi in un abisso senza memoria.
In una terra di nessuno tra la vita e la morte.
Spettrale.
Divenuto vita nuda e basta.
Senza più tracce di umanità.
Non fosse per quel movimento ripetuto.
Chissà da cosa fuggiva.
Nessuno più a documentarlo.
È rimasto solo l'impulso coattivo a scomparire.
Al di là di ogni paura.
Quanto potrà resistere ancora?
A suo modo un eroe tragico.
L'ecce vita.
Lì nuda, offerta in sacrificio per tutti senza veli.
Mentre la terra continua a tremare indifferente.
Per ridisegnare la superficie irreversibilmente.
Meglio imbracciare con decisione la bici per cavalcare l'onda.
Un modo per esorcizzare la tempesta in arrivo.
Fuggire via lontano non serve a molto.
Rimane solo di continuare a marciare avanti a ranghi serrati.
Come i soldati in giubba rossa di barry lyndon.
Incontro alla morte a caso.
Indifferenti della caduta del compagno a fianco.
Forse non c'è neanche bisogno di agitarsi tanto.
Basta aspettare lì sul ciglio della strada.
Annebbiati quanto basta.
Ancora uno scossone.
La colonna trema ma non crolla.
Sopravvissuta all'ennesimo trambusto.
Ritta in piedi.
Quasi una sfida lanciata nel vuoto.
Forza cosa aspetti.
Un altro colpo ancora.
Prima però un ultimo sorso.

lunedì 21 maggio 2012

Teatro degli oppressi



Preziosa era lì per presentare un libro sul teatro dell'oppresso.
L'aveva scritto lei.
Dopo aver partecipato a un concorso era stata pubblicata.
Il suo primo scritto.
La tesi di laurea.
Di più.
Era diventato anche il motivo dominante delle sue scelte recenti. Fare teatro di vita dove necessario.
Per questo era tornata alla sua città natale, Palermo.
Senza pensarci su l'aveva preferita a Roma, la città dove si era laureata. Troppo grande e dispersiva.
Là si era data all'insegnamento.
Nei quartieri più poveri.
Quelli dove un voto vale un piatto di pasta e lo stomaco pieno, checche se ne dica. Un mondo emarginato al servizio della mafia. L'unica vera istituzione presente in grado di dettare legge. Tra scommesse di corse di cavalli clandestine, spaccio. Una povertà strisciante troppo facilmente dimenticata dalla società “bene”. Eppure presente e reale. Basta saperla cercare.
Come folgorata da tale visione da allora non se n'era più andata. Era rimasta lì con quei bambini allo sbando. Il teatro lo strumento per provare a creare insieme nuove abitudini, nuovi esempi da incarnare. La soddisfazione più grande vederli trasformare giorno dopo giorno. Non so quanto sarebbe potuto cambiare il loro destino. Ma almeno ora avevano una chance in più.
Allo spazio in due non c'era molta gente.
Al bar i soliti yoghisti facevano l'aperitivo insieme.
Tre quattro persone o poco più.
Tra di esse Noiselle.
Di recente aveva proposto una rassegna cinematografica all'ex fragile continuo. L'attuale spazio elastico. Per lui era ancora difficile far coincidere i due nomi, superare tutto d'un fiato quanto ancora di vivido premeva nei suoi ricordi.
I martedì sera vi proiettava film residuali. Quelle visioni marginali di difficile collocazione. Anche per una certa attitudine esistenziale difficilmente digeribile da quanti assuefatti dalla moda trash del momento. L'ultima frontiera pop porno a aver contagiato un po' tutti. Il resto di niente il titolo della rassegna. Il tema di sempre. L'eterno confronto scontro con la vita difficilmente digeribile nei suoi eccessi quotidiani.
Di recente era stato contattato da una ragazza.
L'ultimo film Restless, L'amore che resta, l'aveva colpita assai. Forse vi aveva intravisto tutto quanto non era riuscita ancora a vivere nei suoi luoghi più usuali. Qualcosa si era attivato. Lei documentarista, da sempre avvezza a prendere di petto la realtà, anche questa volta non si era sottratta. Lo aveva cercato decisa. Cosa l'aveva spinta? Difficile riuscire a abbozzare un'ipotesi plausibile.
Lui aveva risposto positivamente.
Nella cronica apnea affettiva quotidiana era una novità assoluta.
Come non esserne incuriositi.
Chissà chi si sarebbe trovato davanti.
La voce bassa lasciata filtrare dal telefono lo aveva spiazzato assai. Senza pensarci oltre si erano dati appuntamento all'elastico. Ma la serata era lì. Lo sentiva. Dopo averla chiamata decisero di vedersi alla presentazione del libro.
Per i pochi ignari il teatro dell'oppresso nasce in sud america grazie a Augusto Boal. Lo scopo eliminare la cesura tra vita e spettacolo. Inutile la recitazione se gira a vuoto su se stessa, non dà soluzioni ai problemi, alle ingiustizie di tutti i giorni. Troppo facile fomentare la liberazione stando protetti in uno spazio asettico quando poi a morire andrà il povero cristo di turno. Il dire deve invece coincidere con il fare. Se rivoluzione deve essere, una volta finito lo spettacolo via tutti insieme armati per le strade del mondo contro gli oppressori. Se no tanto vale tacere. Si fa più bella figura.
Al muro erano stati attaccati una serie di cartelli.
Si poteva leggere chiaramente teatro immagine, teatro forum, flic, teatro invisibile... L'intento partire da quelle frasi scritte per animarle con i presenti. Ovviamente la prima domanda fu chi conosceva il teatro dell'oppresso. Tutti risposero positivamente tranne Noiselle. In fondo stava lì per caso, per di più attratto come un bambino da quella situazione imprevista, dal sorriso di Preziosa.
Bene partiamo dal teatro immagine.
Lo conoscete?
Stessa musica di prima.
Tutti l'avevano già sentito dire tranne lui.
Pazienza e pedalare.
Per quanti non lo sapessero il teatro immagine è una tecnica per arrivare a una nuova forma di coscienza attraverso la visualizzazione della realtà trasfigurata in un'immagine specchio da condividere insieme discutendola, interagendovi.
Come avrete capito nessuno può starsene fermo come un baccalà. Tutti sono tenuti a partecipare della situazione attivamente. Cioè interagendo con il proprio corpo.
Noiselle fu il primo a essere direttamente coinvolto.
Nei suoi pensieri però c'era l'incontro imminente. Il filmato in diretta di come sarebbe potuto andare. Tra tagli, rewind... Come quando si gira un film.
Scena n° 54!
l'incontro nello spazio in due.
Silenzio...
Azione...
Nel mentre dell'ennesimo ciak, una voce fuori campo prende il sopravvento.
Mettiti in piedi qui al centro.
Stooop.
Riportato a forza nella realtà si va a piazzare nel punto preciso indicato. In quello stesso istante entra la ragazza tanto attesa. Era di sicuro lei. Lo si vedeva dal volto proteso a cercarlo.
Nemmeno il tempo di varcare la soglia, di chiedere se era quello il luogo della presentazione del libro, fu subito coinvolta.
Mettiti di fronte a lui.
Poi scambiatevi la mano come se vi foste incontrati per la prima volta.
Senza parole.
La fantasia aveva superato la realtà.
Anzi fantasia e realtà convivevano senza scarti.
La nuda vita e la sua rappresentazione in simultanea.
La parola, il gesto divenuto nello stesso tempo realtà agendolo.
L'atto performativo per eccellenza.
Forma e vita a braccetto.
Un vero miracolo.
Il teatro dell'oppresso all'insaputa di tutti, tranne dei due protagonisti, aveva raggiunto il suo scopo.
L'indeterminazione tra teatro e vita.
Entrambi sorpresi si erano lasciati guidare dalle indicazioni di Preziosa. Le sue parole avevano scandito il ritmo del loro primo incontro. Superando ogni frivola immaginazione.
Buona la prima, o meglio l'ultima.
Occhei.
Rimani così, rivolgendosi a Noiselle.
Tu invece fai qualcosa con lui.
Senza nascondere l'emozione lo abbracciò con tutta se stessa.
Per i presenti spettatori l'immagine doveva apparire un po' sinistra. Quasi eccessiva per quanto trasmesso. I loro commenti a posteriori lasciavano trapelare la sorpresa. Più che giustificata data la situazione.
Poi toccò il suo turno.
Anche lui l'abbracciò.
Così, per ricambiare.
L'incontro agito all'interno di quel contenitore pubblico sembrava naturale. Tutto filava liscio in scioltezza. Senza imbarazzo alcuno. Seguendo i tempi giusti. La serata si prolungò ancora per molto. Ma nel film del giorno quella stretta di mano e l'abbraccio seguente potevano essere le scene da salvare per la memoria futura. Il resto un eccesso da conservare nella propria sfera privata. Troppo intimo per essere condiviso da tutti senza diventare osceno.




venerdì 18 maggio 2012

Point break


Un'altra morte ancora.
L'ennesima.
Lo stesso ciclo.
Ogni volta diverso.
Solo si è più stanchi.
Con meno energie.
Stremati per abbozzare una difesa.
Di nuovo si tocca il limite.
Il punto di un possibile non ritorno.
Lo stallo.
Forse lo scacco matto per sempre.
Ma non è così.
Si continua a resistere a denti stretti.
Non si vuole abbandonare il tavolo da gioco.
Davanti l'avversario di sempre mostra un sorriso sinistro.
Sa di avere il topo in trappola.
A prescindere.
Gioca solo con la preda come i gatti.
La tiene per la coda.
Per lasciarla subito dopo.
Spalancata la via di fuga.
Via a sgambettare lesti.
Tutto inutile.
Un gesto veloce e si è di nuovo catturati.
Uno sbadiglio di troppo e sarà la fine.
Il gioco è bello se dura poco.
Allora con un colpo secco porrà fine alla partita.
Scacco matto.
Per la preda è più facile lo scontro con il prossimo.
Un genitore, un amico.
Meglio ancora lo sconosciuto.
L'esito è meno prevedibile.
Possibile la vittoria.
Di pirro... non importa.
Ecco innestarsi dinamiche arcane.
Un muro di incomunicabilità prende il sopravvento.
Senza più le parole rimane solo lo spazio dell'azione.
Il pungiglione velonoso sollevato.
Si è pronti a colpire.
Con tutte le energie.
Senza risparmio.
Anche se l'altro è ferito.
Dopo rimane il sollievo del gesto agito.
Un sentimento di liberazione.
Dura un niente.
Lo stesso macigno opprimente è già lì a premere sul groppone per costringerti fino a soffocare. Pronto a spiaccicare il moscerino di turno.
Nemmeno il tempo di poter assaporare l'eco dell'urlo primordiale attivato dalla violenza originaria della vita. Ancora ebbri di follia per il gesto effimero agito contro la creazione tutta, i suoi emissari. 
Sopravvissuti all'ennesima eclisse di senso, di comunicazione si prova a ricucire lo squarcio spalancatosi dopo quella separazione estrema. Per cercare un ulteriore punto di contatto.
Nel mentre si curano le ferite, si soccorre l'altro prossimo colpito a morte.
Pian piano si fa strada un nuovo precario equilibrio.
Nuove possibilità si dischiudono davanti.
La partita non è finita.
Si è ora in attesa della mossa dell'avversario.
Spettatore compiaciuto dell'osceno appena agito.