venerdì 15 aprile 2011

Suicidio dopo un funerale spettacolare

Il donare pubblicamente i veli poetici agli amici mi ha colpito assai. Paragonabile al sacrificio di un Dioniso Zagreus, sbranato, smembrato pezzo dopo pezzo.
Eppure il volerlo replicare ha messo tutto in discussione.
Come se quel suicidio spettacolare non riuscisse a compiersi se non nell'ordine osceno della fiction.
Perché ripeterlo?
È stato così gustoso...
Al punto da farsi sfuggire la mano?
Alla fine sembra di essere entrati all'interno di un incubo autoreferenziale.
Senza via d'uscita se non di ripartire ogni volta da capo dal medesimo punto d'inizio.
Pensi di esserti spogliato di tutto.
Invece sotto la maschera scopri gli stessi veli all'infinito.
No, non ci si può suicidare mediaticamente davanti a un pubblico, a una telecamera.
Impossibile.
Si rimane incastrati all'interno di un tempo reversibile, ripetibile a oltranza.
Secondo copione.
Come un Lazzaro redivivo costretto all'immortalità.
Eppure ogni volta si perde qualcosa.
Si diventa sempre più eterei, astratti.
Fin quasi, e sottolineo il quasi, a scomparire per eccesso di visione.
È questo l'osceno.
La sua inutilità.
A ben vedere un suicidio anch'esso.
Però più defilato.
Quanto pensare di trovare qualcosa di nuovo cambiando film porno o al limite rivederlo con più attenzione.
Dopo un po' tutto si azzera, si annulla fino a diventare indifferente, noioso.
Cosa pensi di trovare ancora dopo quell'apice già raggiunto?
In cosa rilancerai?
Perché dovrai sorprendere ancora.
Ripetere coattivamente non basta.
Come praticare sesso sempre nella stessa posizione.
Oppure farsi sempre della stessa dose.
Alla fine si rischia di rimanere invischiati nel puro lavoro, nella routine. Se non nella farsa del mestierante.
Quando invece, una volta apparsi sulla scena, il vero capolavoro sarebbe piuttosto di saper ben scomparire.
Innanzitutto a se stessi e poi agli altri.
È questo l'unico suicidio degno di nota.
Mi sbaglio?
A te la mossa.

Lili irrefrenabile

Già il “Mharchellaaa” felliniano conclusivo ci aveva conquistato.
Poi c'è stata l'esibizione con BeMyDeelay, alias Marcella.
È ancora eccitante ripensare al gesto reciproco di spoliazione della maschera durante l'esibizione live.
Erotismo allo stato puro.
Trasudante genuinità.
La stessa di bambini immorali.
Capaci di tutto.
Senza vergogna.
Oltre qualsiasi perversione quand'anche polimorfa.
In quanto non c'è più nulla da trasgredire.
Ogni legge ha compiuto il suo destino scomparendo dall'orizzonte del senso.
Rimane solo una sensualità basilare.
Il piacere puro.
Lo scambio di sguardi è memorabile.
Non so se l'avevate programmato.
In tal caso cambierebbe tutto e questa analisi sarebbe da rivedere.
Fino a prova contraria quei gesti hanno incarnato l'inatteso, l'imprevisto all'interno di un rito iniziatico. Al punto di sorprendere le stesse protagoniste.
Mettere una maschera per diventare altro.
Per lasciarsi trasformare.
Una volta posseduti...
Via il mezzo, l'artificio della metamorfosi.
Sia esso maschera o velo.
Come quello usato dall'illusionista.
Compiuta la trasformazione non serve più.
Certo ci vuole anche la parola magica.
In questo caso la musica, il mantra ossessivo, demoniaco.
Per sedurre gli spiriti.
Così da divenire gli attori nella scena dell'Altro.
Secondo il Suo copione.
Fosse anche solo per assecondare il desiderio profondo o la natura misteriosa, arcana.
Vita nuda irripetibile, irrefrenabile.
Impossibile da fermare in un immagine, riprodurre in un filmato.
Nonostante la ripetizione continua.
Al massimo si ottiene solo l'edulcorazione dell'evento.
Fino all'annientamento totale dei suoi significati altri.
Infatti l'imprevisto diventa previsto, atteso.
Niente più souspance, spiazzamento.
L'eccesso di visione conduce solo a una masturbazione oscena.
Anche questa lettera risulterebbe oscena se pensasse di riportare a essere quella situazione.
Forse lo sarebbe comunque.
In ogni caso si prova solo a testimoniare di un'assenza.
Come quando si gioca col morto.
Evitando di usare le parole per coprire, nascondere lo spazio lasciato libero dall'evento sparito per sempre.
Infatti tale evento è sullo stesso piano dell'istante, dell'eros e della morte. Non se ne può parlare senza stravolgerli, misconoscerli, traviarli.
Comunque alla fine è tutto una mistificazione.
A partire dai nomi.
Lili Refrain.
Traducibile con qualche licenza con Lili fermati o anche riprenditi...
Volendo anche nel senso di riprendere, filmare e allo stesso tempo fermare la realtà. Sapendo di perderla conservandola.
Stesso discorso per BeMyDeelay.
Essere il proprio eco, ritardo.
Potrebbe portare a pensare a una riproduzione dell'identico a oltranza. Come un loop minimalista osceno.
Sarete invece capaci di raccogliere la sfida dell'identico del non identico e compiere ancora il miracolo della trasformazione dell'acqua in vino, meglio poi se in spritz o tequila? Visti i tempi...
Un bel paradosso.
Risolvibile solo continuando a mettervi in contatto con i vostri demoni.

La ciclofficina rituale. Costruire per dissolvere

Gli schieramenti opposti sono in allerta.
Si avvicina l'ora X.
L'apertura.
Quando la serranda di ferro lentamente si solleverà.
Allora ci si potrà contaminare senza riserva.
Rullano i tamburi.
Gli animi si caricano.
Sale l'adrenalina, la tensione.
Non tutti sopravviveranno.
Il sole sta calando all'orizzonte.
La luce è ottimale.
Non fa caldo.
Muniti di bici, o quanto di più prossimo a tale termine, i ciclisti appiedati si apprestano all'assalto.
Ancora pochi secondi...
Il bottone viene pigiato.
Un rumore sinistro di cigolii stridenti invade la scena.
La barriera si solleva lentamente.
Filtrano fasci di luce.
Pochi centimetri alla volta la serranda sale.
Un'attesa interminabile.
Per i più bassi o quelli con il mezzo più piccolo si intravede una soglia...
Senza aspettare si lanciano sul varco apertosi.
Riuscirà la ciclofficina con i suoi affiliati a sopportare l'urto?
Sarà in grado di contenere l'orda barbarica, di sopravvivere a se stessa?
Quale limite sarà oggi superato?
La linea di confine pian piano scompare assorbita dal soffitto.
Una marea simile a uno tzunami invade tutto lo spazio disponibile ricolmandolo di vita brulicante.
Ogni oggetto viene rianimato, spostato, lanciato, abbandonato dalla fiumana inarrestabile.
È il momento del corpo a corpo.
Nulla rimane escluso.
Tutto viene modificato irreversibilmente.
Per gli autoctoni il miracolo è di resistere.
Ei dove sono i coni?
E le camere d'aria?
Ho i freni andati!
Devo cambiare la gomma...
Come si fa?
L'asse centrale non va più...
Butto tutto?
Sempre le stesse domande.
Ripetute all'infinito come un eco continuo.
Sempre le stesse risposte.
Come un mantra.
Nonostante il tentativo di colorarle ogni volta con sfumature differenti.
Inutile definire i contorni, affibbiare nomi, le referenze giuste sui cassetti, gli oggetti, per indirizzare l'agire nel modo migliore.
Dura poco.
Alla fine ogni segno si contamina.
Perde di senso.
Per tornare indistinzione pura.
Caos da cui strappare ogni volta nuove storie, nuove significazioni funzionali.
Non accettare il gioco lasciandosi andare nella corrente è come votarsi al suicidio.
Vano tentare di resistere a tale dispersione di significati provando a fare di un oggetto un feticcio ossessivo.
Eppure anche in tale orgia alla fine qualcosa emerge, entra in vibrazione armonica.
Non prima di aver sacrificato tutto.
Anche oggi l'agnello sacro verrà immolato sull'altare.
Quel resto non scambiale in termini economici.
Quella parte residuale oscena da cui emergeranno ancora nuove forme di bici, modi di pedalare.
Di più...
Contro l'imposizione di senso, di valore, contro l'idea di uno scambio impari, a perdere, la ciclofficina si ribella.
Non vuole essere solo uno strumento passivo.
Rifiuta la banale logica della produzione mercificata.
Allora si fa oggetto intrascendibile, puro.
Attraverso il caos.
Sia per eccesso che per difetto.
Offrendo troppo o troppo poco.
Alla fine scompagina le scontate economie domestiche di chi pensava di risparmiare e di portare via qualcosa.
A lungo andare è lei a condurre il gioco.
A crocifiggere ogni finalità precostituita.
Ecco la magia della ciclofficina.
Far sparire tutto ciò in un baleno silenzioso.
In un sol colpo...
Voilà...
E non c'è più nulla.
Una volta liberati di tutto si entra nel gran gioco.
Nel non senso.
Nel fare fine a se stesso.
In relazione pura gli uni con gli altri.
Senza più interessi.
Tutti omologati allo stesso livello.
Anche questa volta il rito della ciclofficina ha compiuto il suo giro, il miracolo.
È il momento giusto della condivisione.
Sbuca fuori del pane.
Quello fatto con la pasta madre, farina di grano, di ceci, di farro...
Tagliato a quadretti come tante piccole ostie viene distribuito ai presenti.
Molti hanno le mani sporche o impegnate.
Allora vengono amorevolmente imboccati.
Pian piano si ricostituisce il collant comune.
Si diventa un unico corpo.
Un attimo di distrazione fatale...
Prima di affondare ancora.
Questa volta navigando a vista, secondo il vento.
Spogliati di tutto.
Senza più orpelli frenanti, compiti, orari, appelli, esami, responsabilità.
Il piacere si fa immenso.
Alla fine c'è pure chi arriva al risultato...
Ma che importa.
Anche oggi si chiude...
Rimangono gli occasionali sacerdoti di tale ritualità spontanea.
Anche loro andranno a casa.
Non prima di aver curato le ferite.
Ricomposto le membra disarticolate della ciclofficina.
È il momento della rigenerazione.
Ma non serve a nulla se non si è imparato preventivamente a morire, a dissolversi completamente.