Detto-fatto
La
ciclofficina viveva una delle crisi periodiche.
A
innestarla la calura estiva, la voglia di evasione.
I
ciclofficinari erano quasi del tutto scomparsi.
A
reggere l'urto rimaneva la solita ciclofficina migrante.
Da
sempre in prima linea.
Mai
stanca di sporcarsi le mani.
Senza
di lei i battenti sarebbero stati già chiusi.
Una
latitanza così però non era mai accaduta.
Una
frase nella newsletter dedicata alla ciclofficina per attestare
l'esserci ancora, magari sproloquiando parole vacue. Un segno di
esistenza nonostante tutto. Qualcuno a rispondere.
Almeno
fino a adesso.
Da
un po' neanche più questo.
Come
parlare con il muro o inviare messaggi a un'altra dimensione.
Più
facile entrare in contatto con i fantasmi, i propri spiriti.
Tra
i pochi ancora presenti l'accoppiata marco & marco.
Gaz-zen.
Improbabile, improponibile eppure possibile.
Erano
sopravvissuti a tante crisi, si erano scontrati più volte.
Però
erano ancora lì.
Sebbene
stanchi e sfiduciati.
Quel
giorno c'era la cena migranti della scuola SIM.
Oltre
gli abituali frequentatori della ciclofficina molte persone erano
accorse all'Xm.
Immancabile
il gruppo di antropologia.
Da
tempo nella testa di Gaz si era attivata la volontà di agire
politicamente. Però sul serio. Basta le chiacchere vuote. Si voleva
porre rimedio alla cronica frattura fra le parole e la vita reale,
tra il dire e il fare imputabile a un certo linguaggio
denotativo-constatativo spesso inefficace, alla fine conservatore.
Più in linea con lo spirito pratico della ciclofficina si voleva
riportare le parole su di un piano performativo. Per rinsaldare il
patto smarrito tra detto-fatto. La parola non più come immagine
vicaria di qualcosa, al limite regola vuota impositiva per contenere
la vita nuda da essa separatasi. Meglio da utilizzare come movente
per recuperare un certo valore generativo, creatore smarritosi da
tempo. Una sorta di nuova alleanza vitale. Per un ulteriore fiat
pregno di sudore, di sangue vivo capace di irrorare di nuovo i
sentieri della vita.
Da
un pò di tempo la pista ciclabile in via del chiù era stata
sbarrata con un fittone di cemento armato lungo sei metri. A fronte
della rottura delle barriere per non cadere nel canale si era
risposto nel peggiore dei modi.
Chiudendo
la via.
Un
gesto carico di significati anche simbolici.
Segno
di un potere conservatore senza alcun buon senso capace solo di
mettere ostacoli, di rendere più difficile il flusso di persone, la
comunicazione tra le parti. A tutto svantaggio poi di quel popolo in
bicicletta da tempo bistrattato da una amministrazione comunale
sensibile solo alle problematiche del traffico automobilistico. Al di
là della mera propaganza politica preelettorale.
Quella
sera finita la cena si trovarono tutti sotto la tettoia dell'Xm.
Non
so cosa c'era nell'aria.
Era
bastato uno sguardo fra i presenti per accendere quella strana luce
negli occhi.
Andiamo!
Ora.
Tutti
insieme.
È
il momento di agire.
Senza
perdersi in ulteriori chiacchere erano già lì a progettare come
spostare il fittone.
Tra
le soluzioni più fantasiose c'erà di scioglierlo con l'acido,
oppure fissarlo intensamente. Qualcuno più pratico propose di
prendere un crick e dei pali di metallo per alzarlo e poi farlo
scorrere di lato. Così da aprire un varco.
L'idea
piacque.
Dopo
essersi procurati l'occorrente, legati i pali sotto la canna della
bici, come facevano un tempo i soldati al fronte con il proprio
fucile, partirono tutti insieme.
Un
gruppo variegato.
Tra
gli altri c'era pure una giovane francese dal nome impronunciabile,
nowluenne, capitata da parigi lì per caso.
Presi
dall'entusiasmo si diressero tutti verso la pista ciclabile.
Per
la prima volta si era passati a un piano operativo senza comunicati
stampa, riunioni, fiumi di parole solitamente inutili.
Mascherati
dal buio, con i fanali spenti per non essere visti arrivarono alla
meta prefissa.
Davanti
la prima barriera.
Una
lunga catena a serrare il passaggio.
Con
una chiave inglese fu aperta.
E
via.
Tutti
dentro la pista non più ciclabile nuovamente ciclabile.
In
alcuni punti il buio era così pesto da risucchiarsi la strada.
Alla
fine si arrivò al fatidico fittone in cemento armato. Uno
sbarramento prepotente. Più adatto a fermare i carri armati o al
limite i camion in autostrada. Spropositato, osceno.
Quella
sera ci provarono in tutti modi.
Niente
da fare.
Impossibile
andare oltre i principi della fisica.
Al
massimo riuscirono a farlo dondolare un pò.
Inutilmente.
Ma
non si persero d'animo.
Sarebbero
tornati.
Una
promessa.
Prima
però valutarono il peso, gli strumenti necessari per essere più
preparati la prossima volta.
A
contare per ora rimaneva il gesto puro.
La
volontà di aver provato a fare qualcosa.
Un
segno nuovo dei tempi da non sottovalutare.
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