Domenica d'autunno.
Cielo terzo.
Aria plumbea.
Eppure bisogna
vivere, inventarsi qualcosa.
Non si può stare
tutto il giorno barricati in casa.
Esco.
Direzione navile.
Il canale vicino
casa.
L'antica via di
comunicazione verso il mare.
Da più di un anno
non ci metto piede.
Troppe le
vicissitudini in mezzo per riuscire a perdersi nel sentiero lungo la
riva.
A un certo punto
imbocco la solita strada senza uscita.
Dopo il ponte
l'accesso al parco fluviale.
Non prima di aver
attraversato la terra di nessuno.
Lo spazio
interstiziale tra il rigore cittadino e l'andamento anrchico della
natura.
Lì in mezzo forme
di vita insolite spesso costrette a fronteggiare situazioni poco
compatibili con l'esistenza.
Un anno soltanto.
Eppure quel luogo
sembra un altro.
Segnato a forza da
un cieco fare umano.
Ancora pochi passi
prima di uscire dal tunnel buio per scorgere in lontananza una
barriera di legno alta più di due metri a serrare la strada. Neanche
fossimo a gaza.
Di lì non si passa.
Un recinto austero,
impenetrabile circoscrive l'area dove sorgerà la nuova facoltà di
chimica.
Più in là c'è il
cnr.
Un alto palazzo in
cemento dalle forme strane sigillato dal resto del mondo.
Da lontano sembra
una fortezza inespugnabile.
Impossibile
evitarlo.
Anche per il
fastidioso ronzio delle ventole dei potenti condizionatori d'aria.
Torno indietro.
In cerca di un'altra
via percorribile.
L'obiettivo il
sostegno più a valle distante circa un km.
Da lì si dovrebbe
imboccare il sentiero dalla parte opposta.
Non prima di aver
aggirato l'enorme curvone della ferrovia sopraelevata.
Lungo la strada
erbosa, quella di tante corsette estive, altri cambiamenti.
Nuove recinzioni per
delimitare terreni sormontati da vecchie case ristrutturate. Un make
up solo superficiale per invogliare qualche ignaro acquirente.
Tutt'intorno cumoli
di terra sollevati dalle ruspe.
Mattoni, lattine,
pietre, vetri mescolati alla rinfusa.
L'ordine naturale
così alterato non predispone l'animo verso buoni sentimenti.
Certo anche il clima
non aiuta.
La somma di tutto è
una sensazione di desolazione penetrante come il gelo. Quasi si fosse
immersi in un deserto ostile e inquietante. Nell'attesa di una
possibile trasformazione rivitalizzante.
Complice la trilogia
navile, il nuovo progetto al posto del vecchio mercato
ortofrutticolo, una enorme distesa abbandonata dove sono cominciati a
spuntare palazzi come funghi, il perimetro della cosiddetta civiltà
si è esteso a macchia d'olio travolgendo tutto quanto le si
opponeva.
La volontà di
catturare gli spazi naturali ancora selvaggi per tramutarli in terre
abitabili è inarrestabile.
Circa mezzo
chilometro la fascia interessata.
Qualcuno lontano da
lì ha pensato di accerchiare quei luoghi da tutte le parti. Come se
stesse giocando a risico con i carrarmatini di plastica sostituiti
però nella realtà dai buldozer.
Ne fanno le spese i
cittadini ignari.
Là dove prima c'era
un parco vivido ora è terra morta privata all'uso comune.
Dopo un lungo
camminare arrivo dall'altra parte.
Anche lì il
sentiero è interrotto da una rete arancione tappezzata di cartelli.
Impossibile
procedere oltre.
Gli unici a goderne
gli animali selvatici della zona, qualche migrante senza fissa dimora
alloggiato sotto le alte arcate del ponte della ferrovia.
Torno a casa
silenzioso.
Consapevole di
essere ancora più assediato, con meno spazio vitale.
Ma non bisogna
disperarsi troppo.
Con le spalle
rivolte alla città è ancora possibile trovare un qualche rifugio
perdendosi tra le anse sinuose delle acque.
In attesa del
tramonto.
Quando tutto si
placa.
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