Pochi giorni a
ferragosto.
Bologna è deserta.
Non si sta male.
Il caldo torrido dei
giorni passati se n'è andato.
In giro poca gente.
Manca la frenesia di
sempre.
Il ritmo è
polleggiato.
Il passo lento.
Gli sguardi si
incrociano benevolmente.
In tanto vuoto si
cerca un porto gentile dove attraccare, un sostegno necessario.
Come d'abitudine si
va in giro a zonzo, senza meta.
Sarà dura fare
serata.
Nei soliti posti
nessuno conosciuto.
Meglio telare che
non è giornata.
Dopo un venerdì di
destrutturazione non è il caso di andarsela a cercare.
Ultima spiaggia
stefino veg rimasto nonostante tutto a dispensare granite bio sotto i
portici di via petroni mai così silenziosi.
Anche i tossici si
sono sciolti al sole rovente dei giorni passati.
O forse sono
emigrati in riviera.
Il clima è
surreale.
La sospensione
totale.
La sensazione di
galleggiare leggiadri in mezzo a tanto vuoto. Senza più i piedi per
terra. O meglio le ruote. Impegnate a disegnare insolite traiettorie
lineari sotto i portici. Non ci sono nemmeno le ronde armate di
poliziotti. Gli addetti alla sicurezza di chi va a letto al tramonto.
Nessuno a porsi come ostacolo da aggirare, a farti scendere con le
buone o le cattive.
Pure la strada
sembra più pulita.
Niente cartacce o
macchie di liquidi maleodoranti sparsi in giro.
Insomma una città
quasi a misura d'uomo.
Il clima insolito è
predisponente.
Così l'umore è
buono.
A attestarlo il
sorriso beota tra una pedalata e l'altra.
Un altro piccolo
sforzo e ci siamo.
Ecco la vetrata di
stefino con la panchina old style posta di fronte.
Manca la fila.
I vantaggi
dell'estate.
Mandorle e caffè.
Come di solito.
Prendo il bicchiere
colmo e mi siedo fuori.
Ieri vi avevo
trovata simona accompagnata da una giovane amica con la madre al
seguito. Tutte con il gelato in mano. Con loro si era fatta serata
fino a notte fonda. Aspettando pazientemente di essere gli ultimi a
sgomberare la piazza. Dopo un po' di smancerie la coppia seduta
dall'altra parte alla fine si era decisa. Svogliatamente si era
alzata e a aveva preso la strada di casa. Ora era il nostro turno.
Oggi però il
miracolo non sembra ripetersi.
La panchina è
vuota.
Vabbè.
Vai con il
cucchiaino di plastica a scavare gallerie nella granita gelida.
Gli ultimi affondi e
via verso casa.
Con ancora in mente
gli strascichi della serata passata.
In fondo, la
speranza recondita è di imbattermi per caso nella giovane amica
damsiana di simona incontrata qualche anno fa, quando aveva appena
diciotto anni. Il pretesto una festa arikrisna organizzata dalla
madre.
Beh non sembra
proprio giornata.
Pochi secondi ancora
e a casa di corsa. Provando a dribblare il niente assoluto o al
massimo qualche zanzara recidiva rimasta nonostante tutto.
Dallo sfondo si
delineano due ragazze giovanissime.
Non vanno dritte ma
ondivaghe, appoggiate precariamente l'una sull'altra.
Mi colpisce subito
quella con le fred perry ai piedi e un vestitino colorato a fiori
tanto riot girl sofisticata. Con i capelli neri tesi in balia al
vento. Avvolta dalle spire della penombra si arresta per un attimo,
coinvolgendo inerzialmente l'amica a lei appiccicata.
Da quella sagoma
nera parte un suono sibilato.
Non è possibile...
Illuminato per un
attimo dalla luce intravedo uno sguardo stupito.
Metto insieme quelle
sillabe in libertà e provo a darle un senso. Nonostante il
rincoglionimento della giornata appena passata ancora lì a
annebbiare la mente, a bloccare i normali flussi di pensiero.
Alla fine un
bagliore improvviso.
Ma è lei!
Un tonfo di gioia mi
assale.
Il cervello torna a
girare a mille.
Le poche energie
residuali vengono bruciate in pochi secondi.
La macchina finora
assopita si attiva di botto.
Sarà per il look in
tiro, i capelli ribelli sensuali.
Ben altra musica
rispetto a ieri.
Voilà emerso un
tutto sommato prevedibile lato dark.
Ogni poro, lo
sguardo vivo esprimono una bramosia impaziente tenuta a bada con
difficoltà.
Nemmeno il tempo di
fare due chiacchiere, squilla il telefono.
Si allontana un po'.
Piazza aldrovandi?
Arriviamo subito.
Noi siamo...
Le suggerisco al
volo via petroni.
Si, in via petronio.
Il tempo di mangiare
il gelato e siamo lì.
La voce al telefono
l'ha attivata ulteriormente.
Ogni cellula è
ancor più protesa verso la meta.
Il cuore ha
cominciato a battere forte.
Il flusso sanguigno
è pronto a irrorare di energia i muscoli contratti sotto la
superficie liscissima come può esserlo la pelle profumata di una
ventenne.
Beh noi si va!
Alla prossima.
Quando torni voglio
assaggiare il tuo pane.
Sicuro.
Come fosse passata
una cometa rimane solo la scia di profumo, di pulito.
Per un istante.
Poi torna il solito
buio fondo dei portici.
Nemmeno il tempo di
finire di assaporare il piacevole retrogusto, si siede un giovane con
le braccia tatuate con in mano due kebab.
È molto socievole.
Ci salutiamo.
Viene naturale
parlare, conoscersi meglio. Come si fosse amici da chi sa quanto.
È lì a portare la
cena all'amica gelataia. Una ragazza minuta con il pearcing vicino le
labbra. La stessa conosciuta qualche granita fa. Allora aveva un
ascesso grosso grosso.
Senza clienti da
accudire anche lei si è seduta sulla panca.
Un attimo di pausa.
Il momento giusto
per addentare il kebab.
Domani stefino
chiude.
Potrà raggiungere
il ragazzo a viterbo.
Sarà per la
magrezza, per l'assenza di sorriso, gli occhi provati.
Si percepisce una
tristezza cronica.
Poche le speranze di
cambiare le carte in tavola.
La chiusura
inaspettata della gelateria la proietta verso una dimensione
inusuale. Quella della vacanza.
Eppure la lieta
novella non sembra scuoterla più di tanto.
Quasi avesse
preferito continuare a distribuire granite all'infinito. Così
avvezza a lavorare senza sosta.
Nonostante tutto è
dolcissima e disponibilissima.
Come può esserlo
chi è già morto già ma non abbastanza per esalare l'ultimo
respiro.
A guardarlo il suo
amico potrebbe essere uno squatter.
È senza lavoro.
Nemmeno lo cerca.
Cacciato a forza
fuori dalla società "civile" prova a trovare una nuova
dimensione.
In fondo ricorda uno
di quei personaggi di zavattiniana memoria filtrata però
dall'immaginazione di un jarry. Patafisica esistenziale di un'umanità
allo sbando capace di tirare fuori dal cilindro soluzioni
impossibili. Non senza essere eccentriche e disperate. La stessa
immortalata nelle periferie romane da pasolini o in quelle milanesi
da de sica. Solo mezzo secolo dopo. Giusto per confermare la famosa
legge dei ricorsi storici. Avanti e indietro dall'abisso. Al momento
a tutta velocità verso un nuovo imbarbarimento. Magari la possibile
soluzione per uscire da questa crisi profonda.
Vorrebbe procurarsi
una macchina per pulire il marmo dei portici. Per liberarlo da tutto
quel nero appiccicoso accumulatosi in tanti anni di abbandono. Così.
Senza chiedere il permesso a nessuno. Di sua iniziativa. Per dare
nuovo lustro a quella via normalmente invivibile. La speranza provare
a sopravvivere con le mancie spontanee. Senza chiedere nulla a
nessuno. Giusto per tirare a campare. Il cibo, le sigarette, un
giaciglio. Niente più.
Al di là di tutto
si è tutti sulla stessa barca.
Uno spoliamento
continuo.
Velo dopo velo.
Per provare a
portare alla luce lo zoccolo duro residuale.
Quella vita nuda non
barattabile con altro.
È ora di andare.
Ci salutiamo con
affetto.
La speranza di
incontrarci ancora.
Pure oggi è andata.
Un nuovo miracolo.
Un'altra storia da
raccontare.
Alleluja.
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