Estate.
Strade
vuote.
Poche
macchine.
Un
silenzio irreale.
Solo
qualche isola di umanità tra tanto asfalto e cemento.
Lì
si riversa chi è rimasto.
In
massa.
Una
via intera gremita di persone.
Al
punto di invadere il parco circostante fino al navile.
Una
marea di gente incastrata a mosaico.
Chi
seduta al tavolo, chi in piedi, chi a terra.
A
fare chiacchiere.
A
chiudere circonferenze.
Stanno
lì per ore.
Quasi
immobili.
Con
lo stesso incedere lento.
Un
bla... bla... infinito.
Appena
sussurrato.
Una
sinfonia di brusii sovrapposti invade ogni angolo.
Cosa
avranno da dirsi per così tanto tempo.
Niente
di eclatante.
Almeno
a vedere le loro espressioni composte.
Un
fiume di parole incapace di eccitarli, di farli esclamare forte
qualcosa o alzare di scatto.
Quando
solco quella strada in bici li avverto come delle controfigure pagate
per stare lì a posta a fare tappezzeria, a riempire il vuoto.
Per permettere quell'immensa finzione della vita quotidiana. A loro il
compito di animare una città altrimenti desolata, di darle una
parvenza di normalità.
Se
trovo qualche conoscente fermo la bici, entro nel giro. Una prassi
comune.
Pochi
minuti di chiacchiera inutile e già la noia sale irreversibile.
Nulla
a ostacolarla, a silenziarla.
Mattoni
di parole segnate pesantemente dal lavoro, da questioni familiari, da
problematiche relazionali, dai figli, dalla voglia di vacanze
esotiche si assemblano l'una sull'altra come un muro impenetrabile.
Alla
fine circondato dal niente alzo i tacchi.
Allungo
la mano.
Così
si salutano.
Poi
mi dileguo silenzioso senza lasciare tracce.
Come
nulla fosse continuano i loro discorsi.
Ancora
un'ora di tempo da ammazzare prima di tornare a casa.
In
sella alla bici cerco altre situazioni.
Niente
di eclatante all'orizzonte.
Rimane
solo l'attesa infinita di un nuovo regime vitale.
Intanto
guardo la luna crescere in cielo.
Tra
pochi giorni sarà piena.
Allora
scomparirà anche lei. Almeno per un po'. Centimetro dopo centimetro.
Come non fosse mai stata.
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