Mestre
è vicina.
Nel
vagone poca gente.
Appena
più avanti tre giovani si stanno preparando.
Un
ragazzo, due ragazze.
Al
massimo venti, ventidue anni l'età.
Per
tutti la stessa meta.
Almeno
così sembra.
Le
serate del sabato lagunare da un po' divenuta la notte di tanti
tiratardi da tutta italia.
Non mi
sbaglio.
Scendiamo
insieme.
Andate
al pop corn?
No. In
un locale lì da quelle parti.
Stasera
arriva...
Non lo
conosci?
Ma daj
è famosissimo.
Risponde
un po' sorpreso.
Se
vuoi puoi unirti a noi.
Poi ti
accompagniamo là.
Tanto
è lungo la strada.
Fai il
buttafuori?
Sul
treno mi sembravi uno sbirro.
Proprio
no.
La
giovane ragazza al suo fianco mi squadra per qualche istante.
Sei un
dj.
Già.
Sono
da queste parti per una serata.
Sai
anch'io sono un noto dj.
Risponde
il ragazzo di prima.
Sono
famoso anche all'estero.
Sono
stato sotto la monoculare di Parigi.
Ora
sono con la stessa etichetta degli aucan.
Tira
fuori l'mp3.
Seduti
sul marciapiede mi fa ascoltare il suo ultimo ep.
Niente
male.
Monoloke
il punto di riferimento.
Suoni
pulitissimi, ricercatissimi.
Ritmiche
complesse.
Forse
lo stile compositivo è un po' superato.
Ma
nell'insieme direi un ottimo prodotto.
Te lo
spedisco. Dammi la mail.
Fuori
della stazioni altri ragazzi hanno cominciato a invadere mestre.
I
tanti capannoni industriali abbandonati sono stati riconvertiti a un
nuovo inaspettato uso.
Sono
diventati i nuovi templi della musica elettronica.
Dentro
le loro stive enormi riescono a fagocitare fino a cinque seimila
persone a serata. Importante per attirarle l'esca giusta. Il nome
famoso.
Per
tanti lo scopo principale al di là della buona musica è
distruggersi.
Al bar
il ragazzo tira fuori dal portafoglio più di 150 euro. Il medium per
raggiungere tale scopo.
Vero
potlach dei nostri tempi. Consumare tutto quanto accumulato nei riti
di oggi. Quelli orchestrati da sapienti dj, manager in erba capaci di
far funzionare la macchina secondo ferrei oleati dispositivi
economici.
Non è
facile.
Tanto
lo sbatti.
Anche
perché il sistema fa di tutto per renderti la vita difficile con
cavilli legali fuori di testa, controlli a tappeto, multe quando
possibile.
Ma è
solo apparenza.
Tutto
è funzionale al suo funzionamento.
Sono
solo le facce della stessa medaglia.
L'uno
specchio dell'altra.
Dopo
una birra in un bar di fronte la stazione si fa un po' di strada
insieme.
Poi mi
indirizzano.
Vedi
quel cartello luminoso laggiù?
C'è
una scala.
Prendila.
Poi
sotto vai a sinistra.
Completando
l'informazione con un gesto della mano.
Ci
sei?
Si
tutto chiaro.
Trovare
il locale non è difficile.
Dopo
aver attraversato il lungo viadotto, la strada per collegare venezia
con la terraferma, prendo le scale poi volto a sinistra. Scalino dopo
scalino mi si mostra un livello assai fatiscente da periferia urbana.
La stessa di tanti film americani.
Luci
fioche, muri sporchi. Mattoni nudi di argilla anneriti dallo smog.
Sotto le arcate del viadotto ci sono capannelli di persone fuori e
dentro le macchine. Hanno la musica accesa a palla. Qualcuno si
dimena, urla. Qui si prepara la serata. Imbottendosi di ogni ben di
dio per accedere alla strada verso il paradiso o l'inferno. Fa lo
stesso.
Al pop
corn oggi a fare da padrona c'è la goa.
È
stato chiamato un famosissimo dj.
Per
lui si sono mossi da tutta italia.
Da
perugia, bologna.
Tanti
sono scesi dalle montagne.
Il tam
tam mediatico ha funzionato.
In
moltissimi hanno risposto.
Per
entrare una lunga strettoia come per le bestie prima della tosa.
Ad
attenderli al varco dei buttafuori di professione alti quasi due
metri. Vestiti di nero come swarzenegger in terminator.
Entriamo.
E uso
il plurale perché intanto ho conosciuto dei ragazzi umbri. Gli amici
dei dj prima di me.
Sei
della mattina.
La
serata è finita.
Almeno
per il sottoscritto.
Per
molti deve ancora cominciare.
Ammassati
all'entrata fanno pazientemente la fila per accedere dentro. Per loro
la musica girerà fino alle dodici. Poi se non bastasse c'è l'after.
A tirare dritto fino a sera.
È ora
di fare i conti.
A
aspettarmi fuori dalla sala c'è francesco.
È lui
il cassiere.
Veramente
ottima musica.
Ma ora
a noi.
Allora?
Non so
bene cosa dire.
Occhei
quanto hai speso per il viaggio?
11 e
50.
Dalle
tasche tira fuori un mazzo cospicuo di denaro. Con la stessa abilità
di un banchiere estrae dieci euro.
Ej
aspetta.
C'è
pure il ritorno.
Un
respiro.
Poi
tira fuori altri dieci euro.
Mancano
ancora tre euro.
Fa lo
stesso.
Prendo
lo zainetto, la borsa con tutto l'occorrente e alzo i tacchi.
Prima
però faccio un salto nella sala principale.
È
stata allestita secondo tradizione. Una grossa struttura tribale a
moh di capanna bianca, nera e verde stile elfi. Da li una serie di
tentacoli, ramificazioni organiche a avvolgere tutto. A progettarla
un noto design venuto dal nord. In sala la solita musica goa di oggi.
La si può apprezzare solo se si è su di giri. Se no fa abbastanza
cagare. A quanto pare è stata studiata apposta per quelli già
approdati in altre dimensioni. Per questo tutti si sono aiutati. Li
vedi dagli occhi sfocati, il sorriso ebete, i ritmi lenti. Chissà in
quale universo sono. Mi sento un alieno. Come se avessi di fronte dei
corpi vuoti in attesa del loro spirito in trip. Beh rimane la
curiosità di provare una volta sto viaggio.
Mi
incammino verso la stazione sotto una leggera pioggerellina fine
fine.
Con me
una pletora di giovani allo sbando.
Tutti
insieme a caccia del carro ferroviario giusto per fare ritorno a
casa. In molti a consumare qualcosa al mcdonald della stazione.
L'unico posto ancora aperto.
Dentro
tra i tanti giovani c'è pure una signora in jeans coi capelle
bianchi.
Come
un pesce fuor d'acqua sta sul tavolo da sola.
Nell'attesa
legge un libro dalle pagine ingiallite.
Il suo
modo di evadere da lì.
6 e
54.
Il
treno puntuale arriva sul binario.
Fine
della storia.
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