Sempre più smarrito vago senza meta. Qualche volta seduto al sole se è inverno, all'ombra se è estate tiro fuori il taccuino per registrare quanto mi colpisce. Più spesso invece inabissato senza maschera guardo dentro le macerie ancora fumanti per tirare fuori perle acerbe.
Pulsione di vita pulsione di morte
L'istinto ci fa evitare serpenti, ragni ma anche il vuoto. Insomma ci spinge a fuggire il pericolo e infine la morte. Al punto da rendercela ripugnante e di cattivo odore quando la incontriamo nelle carcasse putrefatte o negli accumuli di immondizia. Quasi a indicare la nostra avversione per il divenire nientificante e la trasformazione. Vogliamo essere e basta. Questa è l'illusione e il desiderio indotti fin dentro l'utero. Ma la morte, comunque ci seduce nel profondo e in qualche modo ci attira. Quasi fosse anch'essa un istinto incaccellabile. La nostra nemica/amica sempre dietro l'angolo con cui dobbiamo fare i conti. Sempre. Non va dimenticato.
Pánta rhei
Disteso sul letto. Avvolto da una coltre di coperte un brano acustico scuote i woofer. Tutto sembra sospeso, immobile. All'improvviso una lieve carezza sulla guancia. Di scatto mi volgo. In contro luce un capello scende lento. Nell’aria risuona ancora l’eco sordo del distacco dal bulbo pilifero.
ecce homo
Né un nuovo inizio Né una fine Quel che resta del giorno Quel che resta della notte È la vita nuda Dopo tutto cosa rimane? Probabilmente niente. Eppure anche questo niente potrebbe essere qualcosa, un resto, un residuo. Un potenziale nulla come anche un essenziale poco niente. Di certo non l’“uomo vero”. Ma un’ulteriore disumanità, forse, però, l’entità più autentica e indistruttibile.
Stato d'eccezione
A Bologna da alcuni giorni spira un vento gelido. L'inverno è alle porte. Seduto sul bordo caldo di un muretto non fa freddo. Nel microclima appartato dei Prà Znein il sole trasmette ancora calore ai sassi a tutto quanto vi sta sopra. Con il libro in mano. Immobile nella lettura. Ci sono solo le parole. Ai piedi della diga la fauna umana autoctona è ancora in costume. Anche le lucertole approfittano della bella giornata per scaldarsi, per rivitalizzare il sangue. Non hanno più remore verso di me. Come fossi un cespuglio, una parete scoscesa si avvicinano quasi non esistessi. Una di esse si ferma di fianco immobile per alcuni minuti. Le si dilatano e si comprimono ritmicamente i polmoni. Un'altra è davanti al libro poggiato in terra. Lo annusa con la lingua. Poi fa lo stesso con la penna. La simbiosi con l'ambiente circostante è totale. Si è natura e basta. Una volta entrati nel parco fluviale si sono perdute tutte le qualifiche di uomo civilizzato a partire dal nome. Spogliati di tutto si è solo corpo, carne animata, vita nuda sospesa. Senza più regole scritte si può essere preda, cacciatore, uno strumento di appoggio o il niente assoluto. Per le formiche sono la strada, l'ostacolo da superare. Per il ragno in cerca di una tana le crespe dei pantaloni da esplorare attentamente. Tutto capita nel più rigoroso silenzio. Ridotti a semplice vita resta di lottare per sopravvivere, per non morire. Allora si vorrebbe essere da qualche altra parte. Ma fuggire di lì non è concesso. In tali condizioni si può solo agire sulla carne nuda. Spinti da una incontenibile pulsione abissale si comincia a grattare la pelle, a strappare piccoli lembi sollevati. Aperto un varco con le dite si affonda lentamente dentro le lacerazioni prodotte. Con calma estenuante si staccano brandelli di carne fresca fino a arrivare all'osso. Spolpatolo di tutto ci si ferma. Giusto il tempo di giungere alla soglia successiva.
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