Secondo gli ebrei le parole
derivano dall'anagramma del nome di dio, cioè dalla sua dispersione,
disseminazione. A ciò va aggiunto il valore di rappresentazione che
esse hanno assunto. Il compito di referenziare un mondo coerente per
qualcuno. Ingabbiando in questo modo il potenziale insito nel
significante puro. Obbligandolo a essere qualcosa di determinato.
Liberando le parole da tale ruolo
si prova a restituire “quel massimo di energia nei segni”. Tale è
l'efficacia simbolica dei segni. Cosa significa segno simbolicamente
efficace? Quando un segno diventa efficace al di là del suo uso
referenziale. Per non accollarsi piú il mondo sulle sue spalle, il
suo peso. Per avere la stessa leggerezza del fuoco, del fumo capaci
di librarsi verso l'alto nello stesso momento in cui la materia
organica si dissolve in cenere. Bruciare, consumare per elevarsi. Lo
spirito l'elemento residuale di tale operazione. Quanto si manifesta
di concomitante a tale processo di dissoluzione. Per questo il fuoco
è divenuto un messaggero tra la terra e il cielo. Anche le parole
come il fuoco possono aprire a nuove dimensioni, a nuovi piani di
realtà. Quando oltre qualsiasi rapporto logico economico di
significazione si aprono a uno scambio simbolico. Libere da tutto
quanto le obbligano destinalmente a significare codici significanti
presupposti. Syn-balleyn, mettere insieme qualcosa che si è rotto,
spezzato. L'unità andata in frantumi. Far coincidere la parte con il
tutto. Uno scambio impossibile. Oltre ogni logica economica. E non si
tratta di rimettere insieme i cocci per accumulazione tentando di
rinsaldarli, articolarli insieme. Questo è quanto prova a fare ogni
discorso, ogni narrazione. No qui si tratta piuttosto di un atto di
fede cominciando a neutralizzare il senso, i significati. Far
coincidere il tutto con la parte, nel senso di farli cadere, accadere
insieme. Senza più nessuna logica causale, né rapporto, né
vincoli. Per aprirsi in potenza. Stare insieme, mettere insieme senza
motivo, senza finalità precostituite. Far accadere neutralizzando e
le parti e il tutto, confondendoli insieme. Forse così le parole
verranno liberate dal loro significato profano, dal mondo
precostituito per aprirle al-(l'im)-possibile, all'altro.
Restituendole così al loro fine di medium con l'altro, con gli altri
mondi. Per essere solo porta, apertura pura, vibrazione armonica,
linea di fuga. Forse così riacquisteranno la loro forza operativa.
Non per inseguire nostalgicamente quanto è andato perduto, ma per
generare tutto quanto era da sempre in potenza, senza ingabbiarlo in
un atto conclusivo. Senza pensare di arrestare le parole, ma farle
fluire, sapendole lasciare andare e tornare liberamente, facendole
vibrare. Per innalzarsi ancora. Come fa il fuoco. Le parole “sono
semplicemente rese allo scambio”, si rendono disponibili. Grado
zero di significazione, chenòsi del senso come apertura massima a
tutte le significazioni possibili. Allora forse si raggiungerà anche
il godimento. Infatti il godimento non si ottiene nell'effettuare
strumentalmente una forza, ovvero nel compimento di un atto
finalizzato, cioè nella realizzazione, compimento di un opera. Ma si
ottiene quando si libera la potenza nell'atto stesso, cioè agendo
l'impotenza. Nella contemplazione di tale potenza, di tale tensione
insita in ogni opera sta la bellezza. La contemplazione della
dynamis, della dinamicità del movimento puro.
“Di questa parola non resta
nulla, ed essa non si accumula da nessuna parte, perchè il potere
[in senso negativo] è residuo di parola”. Nel senso che è residuo
di valore, di ciò che vale, obbliga di conseguenza. Il nome di dio
non va pronunciato, ma solo disperso, disseminandolo senza più resti
di valore. Solo morendo, nel sacrificio di se stessi, di dio, del
desiderio, di quanto ci si aspetta, di quanto si vorrebbe, solo
abbandonando tutto quanto partorito dall'ego che nuovi mondi
appariranno. Al di là del soggetto, al di là del bene e del male,
al di là del potere inteso come “forza di legge”, ovvero forza
obbligante a qualcosa di dato. Il sacrificio al di là di ogni
tentativo rituale di contenerlo è invece violenza pura, liberatrice,
violenza deponente che non si costituisce più in un nuovo potere. Ė
potenza pura all'occorrenza, del qui e ora, per dare forma volta per
volta, istante per istante. Come fa iside ricomponendo all'occorrenza
il corpo smembrato di osiride.
Tornando alla disseminazione essa
non va confusa con la emanazione. Sarebbe ancora una volta pensare a
dio come a qualcosa di persistente, che preesiste, che continua a
dare forma, a influire. No. Dio quando muore, muore. Poi risorge dal
nulla, non dai suoi resti. Emerge dal nulla ogni volta. Dal nulla nel
senso anche di vuoto. Dall'assenza. Ogni volta appare, si manifesta
nella concertazione di finito e infinito, niente, tutto. Espressione
di una coincidenza fortuita. Poteva essere come non essere. Se è, è
per piacere, per diletto. Perché a prevalere è la gioia. Si spera
di tutti.
A
morire in croce è la regalità, la verità, la via, la vita, dio
stesso. Non può essere credibile da ciò nessun esoterismo, nessun
messaggio nascosto da ricercare tra le righe come un codice segreto
informatore, preformatore. “Nessun significato profondo, nessun
re-investimento, se prima non si lascia tutto, non lo si lascia
morire fino in fondo lasciandolo essere come fantasma”. Lasciare
andare corpo e spirito. Essere lo psicopompo di dio per non portarlo
da nessuna parte. Dis-perderlo soltanto, neutralizzarlo,
volatilizzarlo, senza sacralizzare piú niente. Conta solo il piano
d'immanenza, il flusso, il divenire puro. Aspettare nel sepolcro la
rinascita possibile. Non prima di essere transitati negli inferi, nei
propri incubi, per liberare i fantasmi, lasciandoli andare via per
sempre senza legarli a qualcosa, a qualcuno, dio, il valore. Per
incontrarlo ancora prima va esorcizzato, anatemizzato, ridotto allo
zero assoluto, al vuoto, al nulla, cioè al grado zero di valore, di
significazione. Il nichilismo è l'operatore metafisico di tale
trasformazione, della transustansazione, del nuovo transito. In fondo
per scoprire i buchi neri ci si è dovuti prima svincolare
dall'abbaglio della luce delle stelle. Nel fare vuoto il mistico non
trova dio ma il vuoto. Chi pensa di trovarvi dio, qualcosa, qualcuno
non è sceso abbastanza nella notte dello spirito. Al limite, se gli
va bene, può trovare a una spanna da lui la realtà impercettibile,
il reale al di là di ogni immaginazione
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