Anche perché
c'era un sole insolito per la stagione.
Nel corso degli anni i confini
della no man's land si erano fatti ancora più
stretti. La città
continuava a inglobare nuove fasce di terra prima abitate solo da
ratti, senzatetto, clandestini.
Pure le nutrie del canale avevano
dovuto fare i bagagli per spostarsi un po' più
a valle.
Restava solo quella fascia
desolata percorsa da linee ferrate arrugginite raramente in uso.
Altri prima di lui avevano
scavalcato la rete, percorso quei sentieri di mattoni in cemento. A
testimoniarlo bottiglie vuote, scarpe rotte, vestiti abbandonati.
Da un lato la città, meglio i
confini abitati. Dall'altro il CNR, il nuovo polo scientifico in
procinto di essere ultimato. Due grossi edifici in muratura rossa ai
lati del canale dalle linee possenti. Non senza il vezzo di qualche
fuga spiraliforme giusto per ostentare qualcosa.
Lungo il camminamento in cemento
tante mattonelle fuori posto. Dentro le canaline i fili elettrici a
nudo.
Un saltello e via per continuare
il viaggio lungo i binari.
A un certo punto una pietra
sistemata al contrario.
Un segno?
La sollevò.
Sotto solo la pelle secca di una
biscia.
La tana di muta di una nuova
rinascita.
Da alcuni giorni era solito
fermarsi a prendere il sole in una di quelle case di manovra a fianco
della ferrovia nei posti di snodo.
Per arrivarci bisognava superare
il ponte.
Il punto più stretto, il più
alto.
Da li sopra si poteva vedere un
insolito panorama.
Sotto il canale ridotto a una
strisciolina scura ondulata.
Sullo sfondo la città con i suoi
palazzi disordinati.
Dall'altro lato la periferia.
Scampoli di campi coltivati a
tappezzare gli spazi vuoti tra centri commerciali, capannoni
industriali fatiscenti. Un miscuglio confuso di realtà poco
conciliabili.
Anche quel giorno prima di
passare si assicurò di non vedere nessun treno merci all'orizzonte.
Gli unici a solcare ancora quella tratta. Si buttò sul fianco destro
del ponte, poi superatolo riprese il sentiero in cemento tracciato a
fianco dei binari fino a arrivare a destinazione.
I mattoni rossi della parete
erano già caldi.
Il posto ideale per attutire la
temperatura nonostante tutto invernale.
Quel giorno si fermò più del
solito.
Fino a allora non aveva mai visto
nessuno.
Solo tracce di vita randagia qua
e là.
Un suono improvviso di frasche
mosse lungo il greppo.
Il fumo da una capanna
improvvisata in legno e lamiera nascosta tra la vegetazione.
Le voci riverberate dal campo rom
non troppo distante.
L'accelerazione di una macchina
nella strada secondaria sottostante.
Su tutto il rumore di fondo della
città.
A un certo punto la sua
attenzione fu catturata dal movimento rapido di un'ombra nera
all'orizzonte. Pochi passi veloci per attraversare i binari prima di
scomparire nella casa di manovra lì poco lontano.
Dopo un po' dei rumori di sassi
calpestati dalla parte opposta.
Un signore con una giacca a vento
verde militare.
Ha appena superato il ponte.
Lentamente va dalla sua parte.
Lo vede.
Rallenta vistosamente.
Attraversa indeciso la ferrovia.
Per scomparire da dov'era venuto.
Forse si dirigeva proprio là.
Per sedersi su quella pietra
fatta a posta per prendere il sole.
Difficile saperlo.
Con sua sorpresa quei posti
all'apparenza deserti erano invece abitati da un'umanità schiva poco
incline a lasciarsi inquadrare. Abituata a vivere nell'ombra, lontano
più possibile da un certo uomo “civilizzato”.
Nessun commento:
Posta un commento