A perugia c'era la bolgia.
Da una settimana la città era stata invasa da una marea
di gente stregata dalla musica.
Non una qualunque.
Jazz.
Il migliore a disposizione.
Per chi voleva spendere c'erano i concerti a pagamento.
Per tutti gli altri i musicisti da strada.
Lì si poteva trovare i generi più disparati. Spesso
eclettici fino a essere fuori di testa. Per inseguire il fascino
della street music, la sua imprevedibilità. Pur di lasciarsi
contagiare dai quei ritmi popolari estremamente basilari. Sotto un
portico antico, lungo la parete scrostata di un vicoletto a fianco di
una via importante si veniva risucchiati in una vera e propria orgia
di corpi danzanti senza freni. Fino allo sfinimento. Con la maglietta
bagnata fradicia. Stemperando le alte temperature con bevande
alcoliche possibilmente ghiacciate.
L'importante era non fermarsi alla prima occasione.
Per continuare a cercare nei luoghi più disparati
guidati dall'istinto, dal caso.
Ecco allora i ritmi africani in piazza, nella loggetta
rinascimentale con la gente a ballare freneticamente. Il resto sedute
sulle scale antistanti a guardare, a parlare, a fare incontri. Poi un
trio toscano armato di fisarmonica, petardi, trombetta, con la
batteria improvvisata fatta con dei vecchi secchi a infarcire ritmi
ska. Giù a ballare scatenati fino al pogo. Con il sorriso, gli occhi
di fuoco accesi dall'alcol come si ballasse in un antico rituale
sabbatico. Posseduti da quello spirito vitale capace di agitare i
corpi come marionette impazzite.
Poi dopo aver vissuto quella situazione con tutte le
energie a disposizione, via verso altre mete imprevedibili.
Trascinati a caso come delle navi in balia delle onde in un mare in
tempesta.
Non so come, alla fine arrivarono dentro un'osteria
piccolissima. Per accedere una scaletta in pietra. Dentro una marea
di gente accalcata dappertutto. Difficile farsi strada fino al palco.
Lì davano prova di sé un trio di jazzisti con tanto di sax.
Bravissimi tecnicamente ma niente più.
Il tempo di conquistare la vetta.
Il concerto già finito.
Vacca.
Niente paura.
Nemmeno il tempo di rifiatare ecco spuntare una comitiva
di neri vestiti di nero con gli occhiali da sole neri. A seguire un
manipolo di donne nere bellissime in bianco e nero zebrato.
Il tempo di asciugarsi la fronte madida di sudore.
Ecco il più alto sedersi dietro le tastiere, poi il
batterista, il bassista alle sue spalle appiccicati al muro. In così
poco spazio trovano posto pure due grossi neri con il microfono.
Ancora in piedi il batterista è già lì a battere le
bacchette sui piatti per fare ritmo. Il tastierista senza pensarci un
attimo a stare dietro. Poi il bassista, capito il giro giusto, a
pulsare note profonde.
Un attimo per sintonizzarsi.
Via pronti per lo spettacolo.
In un attimo note scure mescolate a ritmi impazziti per
dare luogo a qualcosa di eccezionale.
E lo si capisce subito.
Il corpo aggredito da tanta musica non riesce a stare
fermo.
Musica roots.
La migliore.
La stessa suonata nei ghetti di new york, in palazzine
fatiscenti.
Però a perugia.
In un'osteria in culo al mondo.
Naturale lasciarsi coinvolgere.
Prendere il primo bicchiere lì davanti.
Battere il ritmo con le chiavi della macchina come fosse
un campanello house.
Voilà improvvisato lo strumento per partecipare a
quell'evento straordinario.
Un'ora di musica tiratissima.
Il tappeto ottimale per lanciare le voci hip pop dei
cantanti pronti a passarsi il microfono strofa dopo strofa.
E che sia il giorno giusto lo senti dentro.
Le note ti si assemblano naturalmente.
Posseduti da quell'energia roots.
Giù allora a battere forsennatamente il bicchiere a
ritmo inseguendo quel magma oscuro, denso appiccicoso.
Alla fine, sollecitato oltre i suoi limiti, il bicchiere
si rompe d'incanto.
In un sol colpo.
Senza fare rumore.
In tre pezzi.
La ragazza nera la stessa prima a fare foto dell'evento
dice affettuosamente qualcosa in inglese.
And now...
No problem.
Mosso da quei ritmi è il corpo a risuonare da cassa
armonica. In preda a frenesia tutti ballano all'impazzata a tempo hip
pop. Le braccia alte, il bacino a ondeggiare, gli occhi chiusi.
Appiccicati l'uno con l'altro. Un trip profondissimo, quasi in
trance.
Memorabile.
Liberi di muoversi come non mai.
Difficile non essere invasi da quelle immagini anche
dopo.
Troppo forte la loro carica per non esserne travolti.
Un picco difficile da descrivere, da rivivere
fantomaticamente.
La serata potrebbe finire lì.
Impossibile desiderare di più dopo aver lasciato sul
pavimento fino all'ultima goccia di energia.
Rimane ancora un po' di spazio per dei giovani grunge
improvvisati musicisti di strada a urlare smell like then spirit.
Suonandola da dio.
L'alba è ormai vicina.
Ancora un briciolo di frenesia da spendere tra le vie in
festa prima di trovare casa in un piccolo parco di periferia.
Il luogo giusto dove stendere il sacco a pelo.
Il sole è già lì a reclamare il suo spazio in cielo.
Non c'è tempo di vederlo sorgere.
Appena dentro il sacco a pelo.
Si è già nel mondo dei sogni.
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