In poco meno di nove ore.
Pause comprese.
A risentirne un po' le gambe.
Ma nel complesso va benone.
Mentalmente ancora presente.
Scendo dalla bici come fossi appena partito.
I raga al parco, quelli dell'incontro, mi guardano
stupiti.
Le solite frasi.
Per loro è una prova di volontà.
Una piccola impresa.
Lo definiscono un “grande sforzo”.
Ma non è così.
Più facile di quanto si possa pensare.
Un po' di allenamento e voilà.
E non si tratta di sfida, di saggiare le proprie
possibilità.
Si, certo, c'è anche questo.
Se di sfida si può parlare è più con la vita.
Cosa non fare per sentire il sangue scorrere, per non
affogare in pensieri a vuoto nella stasi casalinga, per non sentirsi
morire goccia dopo goccia.
Trovo piacevole stare qua “in ancona” con le spalle
poggiate sulla lanterna rossa del porto. Con un vento dell'est a
increspare il mare di onde in fuga veloce verso la costa.
Eh si altra cosa rispetto la pianura, all'afa statica
intrisa di umidità.
I rumori metallici del porto a battere a ritmo sopra la
tecno sparata dal lettore mp3, il fruscio continuo del vento
onnipresente. Una luce cristallina. Lo sguardo perso verso la linea
dell'orizzonte brulicanti di navi all'apparenza immobili.
Una bella sensazione.
Certo anche questo non durerà.
Ci si abitua a tutto.
Fino alla noia.
Solo l'essersi spostati di duecento chilometri attiva
nuove energie rompendo i soliti schemi, quegli automatismi
annichilenti.
Per un po'.
Fin quando il corpo si riorganizzerà, riprenderà le
misure.
Comunque in questi giorni estivi la zona del porto
compreso il mitico bar antistante la banchina dei traghetti è la
casa ideale dove passare sti giorni afosi. Letteralmente il porto
dove attraccare per un po'. Il tempo di rifiatare prima di un nuovo
viaggio.
Certo non sono mancati i momenti epici.
Come quando a una manciata di chilometri dall'arrivo,
stanco morto ho invocato gli spiriti del piccolo cimitero di
chiaravalle di trasmettermi la loro energia. Subito un grande
effluvio di vibrazioni.
L'arrivo è sempre il momento più critico. Pensare di
essere giunti quando ancora non lo si è. Un fatto solo mentale. Ecco
allora affiorare di botto tutte le stanchezze. Via allora contro i
propri pensieri per indurre il corpo a non smettere di lavorare. Poi
a pochi metri dell'arrivo il momento di scarico. Una liberazione.
Ma non basta.
L'indomani un messaggio di Alec.
Fatti trovare da qualche parte.
Si va alle due sorelle. La spiaggia più arcana del
conero. Quella nascosta ai più. Abbordabile solo dal mare dopo una
lunga discesa irta di difficoltà. Quattrocento metri di dislivello
con una visuale mozzafiato. Davanti l'intera baia con gli scogli a
mare. Un'ora per arrivare giù tra salti in verticale, pietre
instabili lì sul punto di franare.
Ma ne valeva la pena.
Appena sulla spiaggia naturale spogliarsi per buttarsi a
mare. In quell'acqua verde chiaro.
La meta più vicina la grotta sul fianco destro della
baia.
Poi, non paghi, a nuoto fino alle due sorelle, gli
scogli bianchi dalla parte opposta.
Con il cielo plumbeo carico di pioggia.
Ma non ci sono santi.
Il temporale oggi può aspettare.
Non è ancora il suo momento.
C'è prima da risalire.
Per la stessa strada di prima.
Non senza dare ogni tanto qualche sbirciata giù.
Consapevoli di cosa si sta lasciando.
È ora di dormirci su.
L'indomani con le gambe ancora indolenzite da acido
lattico via in bici verso castelfferretti. Da lì con la macchina
verso l'interno. Dal mare alle montagne in una manciata di
chilometri. Per vedere in mezzo a tutto un tramonto panoramico da
paura. Tra le montagne a destra, il mare a sinistra. La luna piena
dietro le spalle dalla parte opposta del sole rossissimo.
Il giorno dopo, sbrigate le questioni burocratiche, via
in sella verso casa. Lo stesso tragitto. Però con la consapevolezza
di essere pronti. Nonostante la pioggia abbia provato a rovinare
tutto. Anche stavolta non c'è ne era per nessuno. Solo a pochi
chilometri dall'arrivo lo sfogo del cielo. Per far sentire la sua
potenza.
Niente paura.
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