L'unica opera.
Vivere.
Esistere e basta.
Al di là di ogni
rappresentazione.
Solo quando si
insinua la differenza, cioè quando ci si sente scissi dentro, ci si
osserva vivere o meglio non più vivere.
Allora si è già
morti.
L'opera prima, la
vita, non è più prima.
Era prima.
Allora va rigettata,
buttata fuori alla prima occasione.
In quanto scarto,
resto inutile, ostacolo alla nuova vita, alla nuova carne.
L'escremento
proiettato fuori.
Il pleroma compiuto
di un fallimento.
Il peso da lasciare.
Solo quando ce se ne
libera nuova vita sgorgherà.
L'opera trattenuta
l'ostacolo.
Non vale rigirarci
sù, farsi una ragione, dare un senso all'accaduto, ripetere la scena
di quanto è stato all'infinito né curarne i particolari, la forma
nella speranza di rincorrerla ancora.
Buona la prima.
Il resto un
martirio, un mancare infinito a sé stessi.
Meglio piuttosto
sospendersi, evacuare quei pensieri in forma stringente così da
facilitarne l'evacuazione.
L'opera conseguente
lo scarto inutile, il cadavere fetido marciscente mascherato di
bellezza.
Offerta luciferina
di niente, di quanto non è più, forse non è mai stato. Sacrificio
dato in memoria di quanto fu. Dono crocifiggente per spettatori
voyeur deleganti la vita all'infinito non senza compiacimento. Mosche
svolazzanti di merda in merda per annusare al massimo l'odore della
morte scambiato per spirito vitale.
L'esecuzione sul
posto.
Dell'opera espulsa.
L'atto necessario
per tornare a vivere.
Per non farla vivere
oltre.
Per non cadere in
tale fraintendimento.
Solo allora ci si
libererà dalle catene.
Via da ogni
finzione, da ogni ripetizione, da ogni compito, da ogni feticcio
spacciato per reale.
Simulacro astratto.
Spirito fantasma
esangue.
Corpo anoressico
prosciugato fino all'osso.
La verità
paradigmatica di tale scambio simbolico.
Per conservare
l'illusione di continuare a vivere.
Per procastinare ab
limitum la morte.
Via tutto.
Fuori tutto.
Fare la festa.
Esecuzione di massa.
Sterminio di
maschere vuote incapaci di sorreggersi da sole.
Forse dopo qualcosa
succederà.
Nessuno più a
testimoniarlo.
Il teatro della crudeltà
RispondiEliminaAntonin Artaud è morto di cancro al retto come la zia.
Forse proprio così ha compiuto la sua opera senza opera.
Al di là di ogni contaminazione metaforica.
Per non sparpagliare fuori altri scarti.
Tappandosi letteralmente il buco del culo.
Per smettere di seminare intorno.
Per non generare più.
Opera implosa per eccellenza.
Disimpegno totale verso le proprie funzioni vitali.
Kundalini turgida di feci dure impossibilitate a uscire se non ripercorrendo il tragitto contrario verso l'alto. Al punto di innalzarti fino alla morte.
Un sacrificio perfetto!
http://scheggenellacarne.blogspot.it/2010/10/bora-lacrime.html?showComment=1354714231286#c566147653291973881
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