lunedì 11 luglio 2011

Povera sono nata, povera morirò...

Quale sensazione può suscitare l'aprire gli occhi e sapere di esserci ancora. Come svegliarsi la mattina presto dopo un sonno interminabile. Il tempo di ricucirsi i panni addosso, di rifocalizzare le coordinate spazio temporali. No l'incubo non è finito, cosa potrà riservare di positivo la giornata. Per un attimo si fa pure strada la sensazione di essere immortali, indistruttibili. In fondo si è vivi nonostante tutto. Non durerà a lungo. Basterà la sensazione di nausea poi un conato di vomito per capire come stanno le cose.

La luce è quella del crepuscolo.
Le serrande sono rade abbassate fino a terra.
Si vede poco ma non è buio.
Un chiarore diffuso avvolge i corpi, li staglia in chiaroscuro senza eccedere.
Ogni superficie viene avvolta calorosamente quasi si stesse davanti al focolare domestico.
La scena apparsa all'improvviso dopo aver varcato la soglia d'entrata della camera ricorda certe “sacre famiglie” immortalate da alcuni pittori lombardo veneti del cinque seicento. La stessa intima luce notturna di un Lotto o un Tintoretto. Però il luogo non è una stalla ma una semplice camera d'ospedale, anche se sarebbe potuto essere un bunker di Berlino in procinto di essere espugnato dall'armata rossa o una stanza addobbata del palazzo d'inverno circondato da rivoluzionari inferociti. Una tranquillità irreale prima del fatico crollo, sospesi nella terra di nessuno in attesa dell'apocalisse.
Attorno al letto della zia c'è uno stuolo di persone.
La zia distesa sul materasso dispensa battute ironiche come un papa.
Al suo fianco c'è la vicina.
Scesa dal letto, le è seduta accanto mano nella mano.
È una signora immensa come una montagna di panna sopra il profiterol.
Nonostante l'operazione subita risponde con una vocina angelica come quella di una bambina credulona sempre sorridente.
Altro non può fare.
Davanti le manca un dente.
Ciò la rende di un'umanità smisurata neanche fosse la superstite di un incidente aereo o di un naufragio nei mari tropicali.
Appoggiate l'una all'altra si fanno forza indolentemente.
A circondare la zia c'è poi uno stuolo di amici, chi seduti al letto, chi sulla sedia di fianco.
Come per un bebè appena nato sono venuti in adorazione.
Si respira un clima entusiastico, di eccitazione strana, eccessiva, solo per mascherare la tempesta in arrivo. Una sorta di quadretto del paese della cuccagna immortalato da un ispirato Bosch demoniaco.
La vita ha prevalso ancora. È riuscita a ritagliarsi un ulteriore scenario dove dare spettacolo, commemorarsi. Sebbene sappia di non poter resistere a lungo.
Con il piede fuori dalle lenzuola la zia cerca un contatto con i vicini come farebbe un gatto con le fusa.
Ei sono qui, accoglietemi, datemi il vostro affetto... Nonostante il fetore delle carni marcescenti a impregnare l'aria, il vomito continuo per il riflusso gastrico.
Siamo entrati in un nuovo girone de sadiano: quello del vomito, dopo quelli della mania, della merda, del sangue. Girone preannunciato poche settimane prima dalla gastroenterite virale di una amica a Bologna, attestante il rituale della restituzione di tutto, a partire dalla vita esalata a fiotti.
Vengo invitato a prendere parte al quadretto.
Rifiuto...
Preferisco rimanere alla giusta distanza per scattare un'istantanea con il cellulare della zia. Prima di rendere anche quell'immagine inconsistente come tutto.

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