Da due giorni in italia.
Il tempo sufficiente per stabilire distanze rendere
effettivi quei 600 chilometri di lontananza.
A facilitare tale compito il caos cittadino.
Per la prima volta in centro si viene catapultati in
pieno marasma. Centinaia di persone attorno a stringere passaggi, a
creare barriere da aggirare con destrezza con la bici come fossero
tanti birilli. Un vociare continuo disarmonico. Rumori di fondo del
traffico. Clacson dissonanti. Impossibile non essere invasi da tanta
frenesia. A alimentarla un sole come non se ne vedeva da molto.
Eh si. Appena sceso dall'auto a piacenza un'ondata di
calore asfissiante. Per contro il freddo delle notti francesi, il
vento impetuoso, gelido da rendere difficoltosa la presa del paneau
in cartone con la scritta lyon. Sbattuto avanti e indietro come una
banderuola per cinque ore in terre aliene.
Superate le difficoltà del primo giorno in stop
finalmente metto piede in italia. Come d'incanto tutto diventa
semplice, scontato. In un baleno si trovano i passaggi giusti. Poche
parole, uno sguardo e si fa breccia tra la paura atavica di gente
titubante presa dalle loro cose.
Ormai lontano il ricordo di gentioux, della comunità
dei degun in pieno plateau a settecento metri. Una dimensione oramai
aliena. Da ricercare con forza per non dimenticare tutto. Le tante
persone incontrate a grenoble, lyon, clermont ferrand fino in quella
valle in culo al mondo al centro della francia. Regno delle vacche
libere, di un manipolo di anarchici desiderosi di colonizzare spazi
nuovi. L'insurrezione a venire senza più combattere, né ostentare
potere. Spostarsi più in là. Ai margini. Dove il sistema non arriva
per cominciare una storia nuova. Niente di roboante. Solo la
possibilità di fare, vivere in modo autentico. Lontano dalla società
dello spettacolo, dai media. Per quanto possibile. A testimoniarlo
josé, paul, loyn, ammandine, virgini e tanti altri. Al confort
cittadino hanno preferito la yourte, la casa in paglia e argilla
provando a vivere dei prodotti della terra. Non è facile. A quelle
altezze la natura è avara. Ogni cosa va strappata con il duro
lavoro, con un ingegno non comune. Ma non fa nulla. Questo è il
prezzo della libertà, di non sentirsi parte di un sistema
asfissiante. Certo i quattrocentotrenta euro elargiti ogni mese dallo
stato a chi non lavora a regime aiuta assai. Senza sarebbe tutto più
difficile. In questo modo possono aprirsi a una sperimentazione
esistenziale unica. Un cantiere umano per trovare forme di vita
nuove. Qui a dettare legge è solo l'amicizia, l'accoglienza del
prossimo senza riserve.
Appena arrivati ci impattiamo in virginì.
Grazie a lei entriamo in contatto con la comunità.
Con josé in particolare.
È lui ad accoglierci.
Certo, tanta la gente passata.
Per conoscerli, per circoscriverli dentro foto,
reportage, tesi di laurea da proporre al miglior offerente. In barba
al fatto di stare parlando di una comunità desiderosa di rimanere
invisibile, silenziosa. Alle parole vacue vale più il fare
quotidiano. Pensare come concimare la terra, riappropriarsi dei
segreti delle piante, di come fare il formaggio, il pane. Un sapere
per certi versi antico da molti dimenticato. A parlare sono piuttosto
i loro prodotti, ancor più i loro volti, i sorrisi di persone
tornate a essere pure. Una fierezza docile contagiosa. Bastano poche
ore per entrare in simbiosi, per far capire la sincerità delle
nostre intenzioni, della nostra curiosità. Da tutti veniamo accolti
con simpatia. Les italiens. La porta è aperta. Basta entrare. Senza
fare troppo rumore, avere pretese particolari. Alla fine veniamo
conquistati dalle loro maniere gentili. La mattina presto qualcuno ha
la cura di lasciare un filone di pane sul tavolo o il cestino per il
pranzo con i prodotti locali migliori. Non si bada al risparmio. Non
sono in ogni caso dei fricchettoni. La modernità non è passata
invano. La tecnica va però impiegata per liberare l'uomo non per
renderlo un suo ingranaggio dentro i suoi dispositivi. Ecco allora i
pannelli solari per produrre la corrente elettrica. Senza esagerare.
Basta il minimo necessario per sopravvivere bene. Per non essere
succubi del lavoro. In barba alla maledizione edenica. La festa è
allora il momento per condividere insieme quanto ricevuto dalla
terra, prodotto con tanto amore. Domenica è la giornata giusta dove
ognuno può condividere i propri saperi, le proprie cose. A colazione
chez antonia con i cornetti cotti con il forno a legna mobile. Pochi
metri più in là c'è le sechoir, il luogo dove virginì lascia
seccare le piante officinali raccolte. Da lì poi attraverso i boschi
per raggiungere la sua casa dove sta l'orto sinergico. Via a
snoccialare nomi di erbe, le loro proprietà, l'uso. A mezzogiorno da
pascal e mélanie per riscoprire l'arte di fare il formaggio. Il
camambert locale, il saint nectare, il formaggio di chevre alle
ceneri, al pepe nero e rosso. Delle delizie prelibate per i pochi
fortunati presenti. Anche noi decidiamo di partecipare portando
qualcosa. Con quanto a disposizione. Della farina, delle onions
dell'orto dei deguns, del formaggio recuperato la sera prima chez
antonia, dopo aver mangiato la pasta insieme cucinata ottimamente da
jacopo. Con quel poco riusciamo a tirar fuori una manciate di
piadine. Nessuno le conosce. Impronunciabile il nome. Piadinà,
piodinà. Non ce la possono fare. La presentazione di antonia è
ammaliante. Voilà les piadinas italiens. Noi a ridimensionare a
mettere le mani avanti. Niente de ché. La vera piadina un'altra
cosa. Ma dopo il primo assaggio non senza qualche titubanza il piatto
ha successo. Nonostante una piadina trovata abilmente nascosta sotto
una coltre di riso. Dai degun si è affermata una piccola comunità
fondata su tanti nuclei familiari sparsi intorno a una manciata di
chilometri quadrati. Tutti hanno almeno due tre bambini. La vita è
sacra, va preservata, incrementata. Sono loro il futuro. La seconda
generazione a venire. Quelli nati lì, non arrivati per scelta. Prima
di loro c'era stata un'altra ondata venti anni prima. Insieme si
prova a tessere il dialogo, a creare qualcosa di speciale. La maggior
parte viene da parigi, dalla svizzera, altri dalla bretagna, rhene in
particolare. In paese hanno alcuni appartamenti in comune dove
incontrarsi, ospitare i nuovi venuti, internet, il telefono per
comunicare con il mondo. La tecnologia va usata in modo critico, con
le dovute cautele. Ben oltre la fiducia incondizionata concessa dai
resistenti delle città. Per questi ultimi la sfida tecnologico
informatica è la via per creare orizzontalmente un nuovo mondo
virtuale in alternativo alla rete consumistica verticistica. Qua
nessuno lo vedi gironzolare con l'i-pod, indossare cuffiette per
essere sempre interconnessi. Rari sono pure i cellulari di prima
generazione. Per sentirsi meglio il fisso.
Con riluttanza rispondono a domande sul comitato
invisibile, di tarnac, di julien coupan. Non riusciamo a capire bene
il perché. Non insistiamo preferendo rispettare il loro silenzio.
Alla fine però josé, prima della mia dipartita, ci propone di
andare insieme là. Nel punto più caldo. Al centro di tante
discussioni mediatiche a causa della denuncia di terrorismo di alcuni
militanti compreso il loro capo ispiratore. Dopo dieci chilometri tra
boschi di pini, passando accanto al lago di vassivière, a uno sputo
da faux la montaigne, arriviamo a tarnac.
Davanti a noi una visione sublime, spiazzante quanto
mai.
Come fossimo entrati all'improvviso dentro un antico
cantiere di una chiesa gotica. Qua le case non sono di paglia ma di
pietra e di legno. C'è voglia di manifestare il proprio saper fare
non senza un pizzico di eccesso. L'abitazione in comune è stata in
parte demolita per essere ricostruita pietra su pietra. Poco lontano
in un capannone appositamente attrezzato vengono forgiate le possenti
travi del tetto. A lavorarle fin nei minimi particolari c'è
l'artefice di tutto questo. Un giovane architetto totalmente
assorbito dal suo grandioso progetto. Quasi avesse indossato i panni
di capo mastro del cantiere. Tra pochi giorni arriveranno i mastri
carpentieri dalla germania. Insieme erigeranno questa novella
cattedrale gotica nel deserto. Poco più in là, sopra la collina
antistante, un altro progetto ancora più ardito e visionario. Una
casa modulare assemblata con una serie di piani quadrati usati come
mattoncini lego. Per portarli in loco un possente camion alla fine
dal peso di tredici tonnellate. Mastodontico. Impressionante. Questo
è il centro nevralgico di tutto. Nel bene e nel male. Tanti gli
stranieri, i visitatori da tutto il mondo. In tale frenesia rimane
comunque uno spazio per l'accoglienza. A tutti è data la possibilità
di rimanere, all'occorrenza di dare una mano. Le porte sono sempre
aperte. Un pilastro irrinunciabile della loro politica. Ma si sente a
pelle la distanza, l'impatto differente rispetto le altre piccole
comunità della zona. Anche perché si è di fronte a una realtà
sorprendente, disorientante. Come si fosse catapultati dentro una
grossa fabbrica febbrile. Tutt'intorno campi coltivati, recinti di
ovini, capre, bovini, arnie di api. E a testimoniare il loro progetto
ambizioso i cento ettari di terra comprati. Un piccolo feudo da cui
guardare il mondo dall'alto una volta completata l'opera. Una sfida
sottile giocata con sapienza, simbolicamente. Percepiamo tante
affinità, ma anche le differenze con i degun. Partiamo senza
proferire parola. Ammutoliti da tanto fare, non senza dismisura. La
goccia capace di far traboccare il vaso. Saturi di informazione, di
esperienze è tempo di tornare a casa. Per rientrare nelle più
comprensibili dimensioni della casa di josé a gentioux. Insieme
cuciniamo qualcosa, parliamo amabilmente di quanto appena vissuto, di
cosa rappresenta per noi la politica, delle sue trasmissioni a radio
vassivière, del volersi bene come medicina sociale. Recuperando quel
modo di fare a noi più affine. La misura è oramai colma. Almeno
per il sottoscritto. È ora di tornare indietro. Per poter digerire
tanto vissuto. Sapendo di essere stati irreversibilmente segnati da
quella esperienza indimenticabile. E non si tratta di un addio. Ma di
un arrivederci quanto prima. Per gli altri rimanenti, marco e jacopo,
c'è ancora modo di approfondire la ricerca per colmare la loro
insaziabile voglia di sapere.
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