
giovedì 29 maggio 2014
venerdì 23 maggio 2014
Au plateau des millevaches
Da due giorni in italia.
Il tempo sufficiente per stabilire distanze rendere
effettivi quei 600 chilometri di lontananza.
A facilitare tale compito il caos cittadino.
Per la prima volta in centro si viene catapultati in
pieno marasma. Centinaia di persone attorno a stringere passaggi, a
creare barriere da aggirare con destrezza con la bici come fossero
tanti birilli. Un vociare continuo disarmonico. Rumori di fondo del
traffico. Clacson dissonanti. Impossibile non essere invasi da tanta
frenesia. A alimentarla un sole come non se ne vedeva da molto.
Eh si. Appena sceso dall'auto a piacenza un'ondata di
calore asfissiante. Per contro il freddo delle notti francesi, il
vento impetuoso, gelido da rendere difficoltosa la presa del paneau
in cartone con la scritta lyon. Sbattuto avanti e indietro come una
banderuola per cinque ore in terre aliene.
Superate le difficoltà del primo giorno in stop
finalmente metto piede in italia. Come d'incanto tutto diventa
semplice, scontato. In un baleno si trovano i passaggi giusti. Poche
parole, uno sguardo e si fa breccia tra la paura atavica di gente
titubante presa dalle loro cose.
Ormai lontano il ricordo di gentioux, della comunità
dei degun in pieno plateau a settecento metri. Una dimensione oramai
aliena. Da ricercare con forza per non dimenticare tutto. Le tante
persone incontrate a grenoble, lyon, clermont ferrand fino in quella
valle in culo al mondo al centro della francia. Regno delle vacche
libere, di un manipolo di anarchici desiderosi di colonizzare spazi
nuovi. L'insurrezione a venire senza più combattere, né ostentare
potere. Spostarsi più in là. Ai margini. Dove il sistema non arriva
per cominciare una storia nuova. Niente di roboante. Solo la
possibilità di fare, vivere in modo autentico. Lontano dalla società
dello spettacolo, dai media. Per quanto possibile. A testimoniarlo
josé, paul, loyn, ammandine, virgini e tanti altri. Al confort
cittadino hanno preferito la yourte, la casa in paglia e argilla
provando a vivere dei prodotti della terra. Non è facile. A quelle
altezze la natura è avara. Ogni cosa va strappata con il duro
lavoro, con un ingegno non comune. Ma non fa nulla. Questo è il
prezzo della libertà, di non sentirsi parte di un sistema
asfissiante. Certo i quattrocentotrenta euro elargiti ogni mese dallo
stato a chi non lavora a regime aiuta assai. Senza sarebbe tutto più
difficile. In questo modo possono aprirsi a una sperimentazione
esistenziale unica. Un cantiere umano per trovare forme di vita
nuove. Qui a dettare legge è solo l'amicizia, l'accoglienza del
prossimo senza riserve.
Appena arrivati ci impattiamo in virginì.
Grazie a lei entriamo in contatto con la comunità.
Con josé in particolare.
È lui ad accoglierci.
Certo, tanta la gente passata.
Per conoscerli, per circoscriverli dentro foto,
reportage, tesi di laurea da proporre al miglior offerente. In barba
al fatto di stare parlando di una comunità desiderosa di rimanere
invisibile, silenziosa. Alle parole vacue vale più il fare
quotidiano. Pensare come concimare la terra, riappropriarsi dei
segreti delle piante, di come fare il formaggio, il pane. Un sapere
per certi versi antico da molti dimenticato. A parlare sono piuttosto
i loro prodotti, ancor più i loro volti, i sorrisi di persone
tornate a essere pure. Una fierezza docile contagiosa. Bastano poche
ore per entrare in simbiosi, per far capire la sincerità delle
nostre intenzioni, della nostra curiosità. Da tutti veniamo accolti
con simpatia. Les italiens. La porta è aperta. Basta entrare. Senza
fare troppo rumore, avere pretese particolari. Alla fine veniamo
conquistati dalle loro maniere gentili. La mattina presto qualcuno ha
la cura di lasciare un filone di pane sul tavolo o il cestino per il
pranzo con i prodotti locali migliori. Non si bada al risparmio. Non
sono in ogni caso dei fricchettoni. La modernità non è passata
invano. La tecnica va però impiegata per liberare l'uomo non per
renderlo un suo ingranaggio dentro i suoi dispositivi. Ecco allora i
pannelli solari per produrre la corrente elettrica. Senza esagerare.
Basta il minimo necessario per sopravvivere bene. Per non essere
succubi del lavoro. In barba alla maledizione edenica. La festa è
allora il momento per condividere insieme quanto ricevuto dalla
terra, prodotto con tanto amore. Domenica è la giornata giusta dove
ognuno può condividere i propri saperi, le proprie cose. A colazione
chez antonia con i cornetti cotti con il forno a legna mobile. Pochi
metri più in là c'è le sechoir, il luogo dove virginì lascia
seccare le piante officinali raccolte. Da lì poi attraverso i boschi
per raggiungere la sua casa dove sta l'orto sinergico. Via a
snoccialare nomi di erbe, le loro proprietà, l'uso. A mezzogiorno da
pascal e mélanie per riscoprire l'arte di fare il formaggio. Il
camambert locale, il saint nectare, il formaggio di chevre alle
ceneri, al pepe nero e rosso. Delle delizie prelibate per i pochi
fortunati presenti. Anche noi decidiamo di partecipare portando
qualcosa. Con quanto a disposizione. Della farina, delle onions
dell'orto dei deguns, del formaggio recuperato la sera prima chez
antonia, dopo aver mangiato la pasta insieme cucinata ottimamente da
jacopo. Con quel poco riusciamo a tirar fuori una manciate di
piadine. Nessuno le conosce. Impronunciabile il nome. Piadinà,
piodinà. Non ce la possono fare. La presentazione di antonia è
ammaliante. Voilà les piadinas italiens. Noi a ridimensionare a
mettere le mani avanti. Niente de ché. La vera piadina un'altra
cosa. Ma dopo il primo assaggio non senza qualche titubanza il piatto
ha successo. Nonostante una piadina trovata abilmente nascosta sotto
una coltre di riso. Dai degun si è affermata una piccola comunità
fondata su tanti nuclei familiari sparsi intorno a una manciata di
chilometri quadrati. Tutti hanno almeno due tre bambini. La vita è
sacra, va preservata, incrementata. Sono loro il futuro. La seconda
generazione a venire. Quelli nati lì, non arrivati per scelta. Prima
di loro c'era stata un'altra ondata venti anni prima. Insieme si
prova a tessere il dialogo, a creare qualcosa di speciale. La maggior
parte viene da parigi, dalla svizzera, altri dalla bretagna, rhene in
particolare. In paese hanno alcuni appartamenti in comune dove
incontrarsi, ospitare i nuovi venuti, internet, il telefono per
comunicare con il mondo. La tecnologia va usata in modo critico, con
le dovute cautele. Ben oltre la fiducia incondizionata concessa dai
resistenti delle città. Per questi ultimi la sfida tecnologico
informatica è la via per creare orizzontalmente un nuovo mondo
virtuale in alternativo alla rete consumistica verticistica. Qua
nessuno lo vedi gironzolare con l'i-pod, indossare cuffiette per
essere sempre interconnessi. Rari sono pure i cellulari di prima
generazione. Per sentirsi meglio il fisso.
Con riluttanza rispondono a domande sul comitato
invisibile, di tarnac, di julien coupan. Non riusciamo a capire bene
il perché. Non insistiamo preferendo rispettare il loro silenzio.
Alla fine però josé, prima della mia dipartita, ci propone di
andare insieme là. Nel punto più caldo. Al centro di tante
discussioni mediatiche a causa della denuncia di terrorismo di alcuni
militanti compreso il loro capo ispiratore. Dopo dieci chilometri tra
boschi di pini, passando accanto al lago di vassivière, a uno sputo
da faux la montaigne, arriviamo a tarnac.
Davanti a noi una visione sublime, spiazzante quanto
mai.
Come fossimo entrati all'improvviso dentro un antico
cantiere di una chiesa gotica. Qua le case non sono di paglia ma di
pietra e di legno. C'è voglia di manifestare il proprio saper fare
non senza un pizzico di eccesso. L'abitazione in comune è stata in
parte demolita per essere ricostruita pietra su pietra. Poco lontano
in un capannone appositamente attrezzato vengono forgiate le possenti
travi del tetto. A lavorarle fin nei minimi particolari c'è
l'artefice di tutto questo. Un giovane architetto totalmente
assorbito dal suo grandioso progetto. Quasi avesse indossato i panni
di capo mastro del cantiere. Tra pochi giorni arriveranno i mastri
carpentieri dalla germania. Insieme erigeranno questa novella
cattedrale gotica nel deserto. Poco più in là, sopra la collina
antistante, un altro progetto ancora più ardito e visionario. Una
casa modulare assemblata con una serie di piani quadrati usati come
mattoncini lego. Per portarli in loco un possente camion alla fine
dal peso di tredici tonnellate. Mastodontico. Impressionante. Questo
è il centro nevralgico di tutto. Nel bene e nel male. Tanti gli
stranieri, i visitatori da tutto il mondo. In tale frenesia rimane
comunque uno spazio per l'accoglienza. A tutti è data la possibilità
di rimanere, all'occorrenza di dare una mano. Le porte sono sempre
aperte. Un pilastro irrinunciabile della loro politica. Ma si sente a
pelle la distanza, l'impatto differente rispetto le altre piccole
comunità della zona. Anche perché si è di fronte a una realtà
sorprendente, disorientante. Come si fosse catapultati dentro una
grossa fabbrica febbrile. Tutt'intorno campi coltivati, recinti di
ovini, capre, bovini, arnie di api. E a testimoniare il loro progetto
ambizioso i cento ettari di terra comprati. Un piccolo feudo da cui
guardare il mondo dall'alto una volta completata l'opera. Una sfida
sottile giocata con sapienza, simbolicamente. Percepiamo tante
affinità, ma anche le differenze con i degun. Partiamo senza
proferire parola. Ammutoliti da tanto fare, non senza dismisura. La
goccia capace di far traboccare il vaso. Saturi di informazione, di
esperienze è tempo di tornare a casa. Per rientrare nelle più
comprensibili dimensioni della casa di josé a gentioux. Insieme
cuciniamo qualcosa, parliamo amabilmente di quanto appena vissuto, di
cosa rappresenta per noi la politica, delle sue trasmissioni a radio
vassivière, del volersi bene come medicina sociale. Recuperando quel
modo di fare a noi più affine. La misura è oramai colma. Almeno
per il sottoscritto. È ora di tornare indietro. Per poter digerire
tanto vissuto. Sapendo di essere stati irreversibilmente segnati da
quella esperienza indimenticabile. E non si tratta di un addio. Ma di
un arrivederci quanto prima. Per gli altri rimanenti, marco e jacopo,
c'è ancora modo di approfondire la ricerca per colmare la loro
insaziabile voglia di sapere.
mercoledì 21 maggio 2014
Franck
All'improvviso il
viaggio ha preso una direzione insolita.
Senza rendersene
conto ci si è inoltrati nel cuore più profondo della francia.
Da oggi si è aperto
l'inconnu.
Rotti gli ormeggi si
va alla deriva.
Nulla sarà più
come prima.
Franck è una forza
della natura.
Fa il consigliere
comunale in un piccolo paesino alla banlieu de lyon.
All'apparenza un
villaggino come quelli di una volta.
La piazzetta con il
bar dove si beve il pastiche.
Tutto in un unico
sorso.
Lì si è
conosciuti.
Tutti fanno parte di
un'unica famiglia.
Allo stesso tempo la
metropoli è a uno sputo.
Si pensava di andare
a clermont ferrand a caccia di fantasmi, di comitati invisibili, di
insurrezioni a venire. Invece si resta a lyon, la grande babele. La
dove in periferia vige ancora le regole delle bande, la polizia ti
ferma ogni santo giorno. Ti sbatte al muro per perquisirti. Così.
Senza motivo. Indagati a prescindere. E non si scherza. Ogni momento
puoi rischiare la vita.
Sarà anche per la
pioggia, perche si è fatto tardi.
Poco avvezzi alle
regole dello stop francese, in balia di quanti gentilmente si fermano
per un passaggio. Non sei tu a dettare le regole, a conoscere i posti
giusti.
Parlare con gli
autisti non serve. Qua basta alzare il dito oppure disegnare la meta
su di un grosso cartone. E voilà tutti prima o poi si fermano.
Sarà per la forza
degli eventi.
Qualcosa ci trascina
fuori dai soliti schemi.
Per la prima volta
la dimensione più autentica del viaggio ha preso il sopravvento.
Non si può far
altro se non abbandonarsi a quel flusso irresistibile. Ecco la
francia non aspettata.
Forse la più
autentica, sincera.
L'alito di Franck
emana la puzza del fumo frammisto a alcol.
Al péage di
grenoble veniamo presi sul suo furgone.
In teoria può
ospitare solo due passeggeri.
Così decidiamo di
dividerci.
Marco e jacopo, i
più giovani e inesperti saliranno su.
Per incontrarci
chissà dove alla meta finale.
Tanto i cellulari
funzionano ancora.
Ma in barba alle
regole alla fine si sale tutti quanti.
In due davanti.
Marco & marco.
Dietro jaopo
ammassato sopra una montagna di strumenti di lavoro, di materiale
edile da riciclo, con la lucina accesa in tanto buio. Quanto basta
per leggere zero calcare. Un libro arraffato a torino alla casa della
cultura dopo l'incontro con serge latouche. Da bravi autostoppisti
non guardiamo in faccia a niente e a nessuno. Finito l'incontro
abbiamo chiesto un passaggio per la francia pure a lui, per
l'indomani. Sorpreso della richiesta ci risponde qualcosa. Capiamo
giusto la parola treno o giù di lì. Poi ci sfancula con
delicatesse. Beh comprensibile per chi una dimensione pubblica.
Sempre esposti a svalvolati come noi.
Durante il viaggio
franck fa parecchie domande.
Vuole sapere cosa
facciamo.
Quasi come fosse un
interrogatorio vuole scoprire le nostre carte.
Qu'est-ce que aller
fair a clermont?
Il n'y a rien!
Rien!
Ripete a alta voce.
Venez chez-moi...
C'est plus
interessant.
Allore?
Qu'est-ce que vous
faites?
Presto.
Una decisione.
Tra poco c'è il
bivio.
Tutto sarà in modo
o nell'altro.
Ancora pochi metri.
Ci si guarda negli
occhi.
Una voce per
comunicare dietro con jacopo.
Allora?
Si va?
Una risposta bassa
per confermare il si.
Occhei.
Chez franck
Senza pensarci
troppo decidiamo di seguirlo.
Al paesino di franck
la prima sosta è all'asilo nido.
La cresh come dicono
da queste parti.
Là c'è camille.
La sua figlioccia.
Come due ladri di
bambini entriamo non prima di aver messo le pattine arancioni ai
piedi per non lasciare tracce.
Per varcare la
soglia bisogna aprire un cancelletto basso.
Tutto è al loro
livello.
Una volta dentro si
apre un'altra dimensione.
Uno spazio
multicolorato come si fosse nel paese delle meraviglie di alice.
Dentro tanti
cuccioli abbandonati per un po' dietro a un recinto di plastica
aspettano il salvatore di turno.
Con gli occhi
sgranati guardano i nuovi venuti come venissero da marte.
Il meno timoroso si
fa avanti a carponi.
Passo dopo passo
ondeggiando da paura.
Fino a toccarti con
la manina.
Poi non so perché
attacca a piangere.
E di corsa se ne va.
Forse non era quanto
aspettato.
Dopo un po' come si
fosse alle poste ci viene consegnato il pacco.
Camille ha due anni.
Quasi non parla.
Appena presa me la
smolla senza pensarci troppo.
La prendo in braccio
con la mano in basso sul sedere.
Così fanno di
solito le mamme.
Almeno cosi sembra.
All'arto sx ha il
gesso.
Proporzionato al
piccolo braccino.
Sul volto i segni di
qualche caduta.
Ha i capelli biondi.
La carnagione
chiara.
Per nulla spaventata
si lascia andare.
Un istante a
scrutarti per vedere chi sei, meglio a percepirti.
Poi ecco un sorriso
aperto.
È fatta.
Fiducia conquistata.
Si può ripartire.
Franck continua a
fare domande come un vulcano in eruzione.
Tu prendi questo.
Tu fai questo.
Marcò viens avec
moi!
Jacopò le sac.
Sembra abituato a
dare ordini.
Senza dare troppo
fastidio.
Glielo concediamo
volentieri.
Anche perché la
situazione è assai insolita.
In questi casi
conviene aspettare.
Vedere cosa capita.
Non sapremo mai cosa
gli sia passato per la testa in quei cento chilometri.
Però ha deciso di
aprirci le porte di cosa.
Di accoglierci
dentro i luoghi più cari al punto di affidarci sua figlia.
La casa dove vive è
un vecchio convento di suore.
È a più piani.
A terminare con il
classico tetto liscio un po' spiovente, con dei lucernai assai
eleganti.
Stà dietro la
chiesa del paese.
Una casa bellissima.
A dispetto
dell'esterno curatissimo dentro è una casa come tante altre.
Abbastanza
incasinata.
Cose dappertutto.
Sparse qua e là a
caso.
La tazza del cesso è
poggiata sulla parete.
Solo la scala al
centro della casa è di una leggerezza sopraffine.
Quasi fosse sospesa
nell'aere.
Non conta la
facciata.
Perché perdere
tempo in questi inutili dettagli.
L'essenziale è
altrove.
Meglio prendere una
bottiglia di buon vino della cote du rhon.
Poi un'altra ancora.
Tra una sigaretta e
l'altra.
Con lui c'è la
ragazza alla pari mexicana, una seconda figlia, un terzo figlio
adottato.
Poi arriva anche la
moglie.
Una infermiera
privata.
La sua seconda
moglie.
Perché franck è
debordante.
Una vita non gli
basta.
Una seconda famiglia
è a grenoble.
Meglio.
La prima.
Un quarto figlio
quindicenne bravo a suonare la fisarmonica.
Per ora ha deciso di
vivere lì.
Dopo aver sgobbato
come un mulo.
Avuto successo anche
economico.
Cosa vuoi gliene
freghi del denaro.
La sua ricchezza è
lì davanti.
E ce l'ha messa a
disposizione.
La sua vita nuda da
mostrare, ostentare, condividere.
Quanto di meglio ti
possa capitare lungo la strada.
Cosa cazzo vai a
fare a clermont.
Non serve viaggiare.
Chez lui c'è la
cosa più interessante da vedere.
L'ecce franck in
tutta la sua autenticità.
Quanto di più
bello, caro a disposizione ogni mattina.
Basta aprire gli
occhi per toccarlo con mano.
Da nessuna altra
parte lo puoi trovare.
Lì a una spanna.
Basta saperlo
vedere, riconoscere.
Tutto il resto è
fuffa.
La mattina
prestissimo ci alziamo per fare colazione insieme.
È lui a chiamarci.
Poco lontano camille
piange per un po'.
Basta il biberon in
bocca per silenziarla.
Seduta come tutti
intorno al tavolo fa colazione a suon di musica.
Vuole giocare.
È sufficiente un
accenno di ballo di uno di noi per far partire lo show.
Con il sorriso
sguainato via a far muovere grossolanamente il corpo a ritmo secondo
le note.
Un'esplosione di
vita contagiosa.
Si è fatto tardi.
Le sette in punto.
Bisogna andare.
Quanto c'era da
vivere, vedere è stato fatto.
Tutto è compiuto.
Nulla più da
aggiungere.
Con la freddezza del
giorno dopo ci si saluta.
Una stretta di mani
frettolosa senza troppe moine.
Perché franck non è
tipo da abbracci o di lacrimucce.
Da vero macio.
E notte fu
Lyon.
Cinque della
mattina.
In tram sopra il
ponte del fiume la rhon.
Sui vetri colorati
dai riflessi della notte le prime luci dell'alba.
Sei e dieci.
Stazione routière.
Si parte per tourin.
Un viaggio della
speranza per molti.
Sul bus la vita
sdraiata di corpi neri abbandonati sui sedili.
In silenzio.
Solo il vociare roco
di due nigger seduti in fondo.
Un botta e risposta
incomprensibile.
La vita nuda come un
fiume in piena.
Chilometri di parole
una dietro l'altra.
Senza fine.
Cosa avranno da
dirsi di così urgente, incontenibile in quel dialetto franco
afrikano.
Più avanti qualcuno
si concede una russata.
Altri delegano la voce a suonerie melodiche, a musiche di fondo filtrate dagli
auricolari.
Per il resto è
notte fonda.
Nonostante la luce
abbia già vinto sull'oscurità.
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