A
fare autostop erano rimasti in pochi.
Tante
cose erano cambiate. La società attuale non rispecchiava più i
valori libertari di una volta. Si era preferito piuttosto affermare
un senso di sicurezza al di là di ogni logica. Complici i media, un
sistema onnipervasivo incentrato sulla legalizzazione di ogni
manifestazione, capace di riprodursi viralmente in ogni luogo,
situazione. A volte appena saliti si sentiva dire di essere il primo
autostoppista a bordo da sempre. Una specie rara oramai estinta da
tempo. Spesso a fermarsi erano proprio quei figli di fiori alla lunga
riassorbiti dal sistema, dalle logiche familiari, dal lavoro al punto
di non riuscire più a vedere alcun punto di contatto con quelle
immagini esotiche celebrate da tanti film. Eppure tanti suoi giovani
amici avevano ripreso quella tradizione con nuovo entusiasmo. Non di
rado si spingevano oltre le alpi diretti in francia, germania, là
dove ancora l'autostop è una pratica condivisa. Di certo il più
atipico di tutti era fabrizio spesso con siddharta. Lui
sessantacinque anni, nemmeno dieci suo figlio. Capelli lunghi e barba
bianca, lo sguardo profondo, sincero, un sorriso rassicurante utile
per fronteggiare le emergenze più ricorrenti. In particolare
l'arrivo della polizia allertata dagli automobilisti preoccupati
per le sorti del bambino. A facilitare il loro compito una rete
globalizzata di sguardi, parole. Controllori di tutto a loro volta
sotto controllo perenne. Immancabile l'intervento della volante dopo
le chiamate di avvertimento.
Documenti...
dove andate... da dove venite...
insomma
le solite domande.
Fabrizio
e siddharta non erano caduti in quella rete stritolante, o almeno
avevano provato a allentarne la presa anche per inseguire un senso di
libertà ai più sconosciuto. Non senza pagare pegno.
Quel
giorno era partito di sabato.
Salutati
gli amici, i genitori via verso il casello per fare ritorno a casa.
Là dei provetti panificatori operavano una volta ancora la
trasformazione dell'acqua e della farina in un pane buonissimo.
Voleva essere presente anche lui.
Che
la giornata non fosse partita bene si era visto subito. Era sabato
cazzo. I viaggiatori esperti si riposavano a casa. Lungo la strada
solo i guidatori distratti del sabato spesso con utilitarie scassate,
la famiglia al seguito. Irraggiungibili le poche macchine di grossa
cilindrata, i suv con i vetri scuri rigorosamente dotati di pass
pronti a sfrecciare più velocemente possibile. Difficile
intercettare i loro sguardi, impossibile scambiare anche una sola
parola.
Fare
autostop oggi non è certo una passeggiata.
Per
carità i tempi di percorrenza sono veloci, tre ore quando va male,
due se tutto fila liscio per coprire un paio di cento chilometri.
Sempre meglio del treno regionale. Lì non sai mai se arriverai a
destinazione. In quel frangente poteva succedere di tutto. Sempre
all'erta. Con le antenne dritte per riuscire a leggere al meglio ogni
istante presente, per dare le risposte giuste. E non c'era regola a
tenere. Ogni volta bisognava improvvisare con la massima celerità
possibile. Questioni di secondi. Una parola sbagliata. Tutto da
rifare daccapo.
Quel
giorno sembrava eterno. Ma disperarsi non serviva. Meglio lasciare
sgomberi i pensieri per ottimizzare le forze.
Poi
come d'incanto un passaggio fino a fano prolungato miracolosamente
fino a rimini sud.
Rimini
sud.
Quella
era la barriera più difficile.
Una
sorta di spartitraffico tra le marche e la romagna.
La
prova da superare prima del premio finale.
Nonostante
l'enorme traffico pochi disposti a ascoltarti.
A
peggiorare le cose solerti casellanti pronti a uscire dalla cabina
per mandarti via a suon di urla e di minacce. Neanche avessero visto
il demonio.
Qui
non puoi stare.
Te
ne devi andare subito.
Frasi
pronunciate con gli occhi strabuzzati, la bava alla bocca.
Oramai
ci aveva fatto il callo.
Pronta
la risposta.
Da
qui non me ne vado.
Cercando
di mantenere tutta la calma e il distacco possibili.
Ah
no? Allora chiamo la polizia.
Libero
di farlo la replica.
Da
quel momento il countdown attivato per non essere inquadrati nel
mirino del sistema.
Andare
via prima possibile.
Alla
velocità della luce.
Fino
a diventare inconsistenti come un fotone.
Via
tutte le maschere.
Decisi
come se in palio ci fosse la vita.
Un
casello vale l'altro.
Anche
il più vicino.
Ovvero
rimini nord.
In
tali frangenti qualcosa di speciale succede.
Chi
sta dentro la macchina percepisce qualcosa.
Via
le barriere usuali.
Tutto
sembra facile.
E
in pochi istanti voilà il passaggio per rimini nord.
Il
minimo.
Ma
non importa.
Arrivare
là è come mettere piede oltre il confine.
Da
lì in poi tutta un'altra musica.
A
forlì una signora cinquantenne anche lei autostoppista da giovane.
Ha la voce un po' rauca per il fumo. Ma è simpaticissima. La pecora
nera del paese. Quella ribelle per natura. Certo alla fine normalizzata pure lei.
Va
a bologna per trovare un amico.
Abita
in via guelfa.
La
stessa strada di camere d'aria dove c'è parcheggiato il forno a
legna.
Stupiti
non poco dalla coincidenza ci si lascia con un abbraccio caloroso.
Nessun commento:
Posta un commento