mercoledì 5 gennaio 2011

A che gioco si gioca oggi...

Frapporre fra sé e i propri desideri una parte, un compito, una prestazione, un fare.
Per attivare dinamiche sotterranee sottaciute.
Per mettere in atto il copione di sempre.
Cercare lo sguardo dell'altro, venire riconosciuti.
Dietro si cela il voler essere amati in modo assoluto.
Senza condizioni.
A prescindere.
Invece tocca atteggiarsi, assumere un ruolo, una pratica.
Mettersi a disposizione.
Facendo finta che...
Come bambini immersi in spazi transizionali intenti a giocare al dottore, alla guerra, con le costruzioni.
Solo a queste condizioni accade qualcosa.
Si genera una storia.
Si immagina un mondo circoscritto condiviso.
Lavorando su tali piani paralleli si prova a smuovere le acque, a cambiare indirettamente il presente, la realtà.
Questioni di tecnica...
Tutto per colmare quel bisogno ancestrale d'affetto.
Eppure anche questo desiderio profondo potrebbe rivelarsi una fra le tante maschere possibili.
Quella indossata pensandola più autentica delle altre.
Magari, dopo averla realizzata, rimarrà solo la noia.
Poi il trascendimento verso qualcos'altro.
Agiti da quella potenza originaria capace di travolgere spasmodicamente ogni valore senza remore.
E cosi via...
Un altro giochetto ancora.
Quale questa volta?
Osservo stupito gli amici della ciclofficina sistemare pedantemente gli strumenti.
Al freddo.
Da soli.
Anche durante le vacanze natalizie.
Quando i normali utenti sono a casa a mangiare dolci, a giocare a carte.
Loro invece pensano già alla riapertura.
Sistemano gli attrezzi.
Fanno l'inventario.
Verificano quelli persi, rubati.
Per sostituirli con altri nuovi.
Si compila la lista della spesa.
- 3 tubetti di mastice
- 1 scatola formato famiglia di toppe per camere d'aria
- 50 metri di guaina per freni
- 20 cavi freno posteriore testa cilindrica
- 10 cavi freno posteriore testa sferica
- 1 smagliacatena
- 1 estrattore per pedivelle a perno quadro
Una voce dopo l'altra.
Rigorosamente in fila.
Per accogliere al meglio in quella piccola oasi propizia la massa di gente con la bici incidentata.
In attesa di un nuovo possibile miracolo.
Per me invece, in questo momento, si tratta di redarre il catalogo del nulla puro.
Parole vuote senza rimando.
Segni privi di mondo.
Indifferenza totale.
Per loro non è così.
Lo si vede dallo sguardo, dal sorriso.
Sembrano manipolare qualcosa di prezioso, di imprescindibile.
Come l'acqua nel deserto.
Quasi si trovassero di fronte allo shangri-là.
Con gli occhi lucidi accarezzano ogni singolo arnese.
Ci girano attorno.
Quando non lo trovano stanno male.
Toccano con mano il posto vuoto.
Senza scomporsi.
Se ci sono ancora, prendono i pezzi rimasti.
Con cura provano a compiere il miracolo della restaurazione.
Ci passano ore e ore.
Tentando di razionalizzare, ordinare il resto di nulla.
Tessendo scopi, finalità.
Non riescono a staccarsi da quel compito.
Stanno per andare via...
Tornano indietro.
Riprendono dove avevano lasciato.
Come si fosse dentro una rappresentazione teatrale di Beckett.
Davanti a attori incantati, mossi da scopi, desideri lontani.
Nell'attesa degli eventi distribuiscono amore a tutti quegli oggetti.
Per predisporli.
Li guardo incredulo.
Oggi non riesco proprio a immedesimarmi.
A mettermi nei loro panni, nei loro riti.
Qualcosa mi sfugge.
Le loro pupille brillano come fossero posseduti.
Allo stesso tempo li percepisco disumani, meccanici.
Simili a quei bambini autistici intenti nei loro rituali ritmati.
Tutto d'accapo all'infinito.
Senza fermarsi mai.
Cosa li muove...
Cosa vedono lì davanti...
Forse è solo questione di prospettiva.
Basterebbe spostarsi di poco per vedere dietro il muro.
Per riuscire a dare un senso.
Non accade.
Alla fine un solco abissale ci divide.
Una distanza incolmabile.
Allora non vedo l'ora di bruciare le tappe.
Di abbattere ponti.
Per andare via prima possibile.
Prima di essere risucchiato dallo sprofondare continuo della terra sotto i piedi.
Il respiro si fa difficile.
Sto in apnea.
Devo emergere da qualche altra parte.
Per non soffocare.
Mi metto i guanti.
Prendo la bici.
La stretta al petto è sempre più forte.
Non resisto.
Salgo.
Comincio a pedalare confuso.
Diretto più lontano possibile.
L'importante è uscire fuori.
Magari per dirigermi verso casa.
A pensare.
Per dare la possibilità a nuovi germogli, a nuove radici di crescere.
In attesa della manifestazione di un nuovo mondo condiviso.
Intanto si è in balia del vento.
Sbattuti in terre aride aliene.
Senza alcuna possibilità di contaminazione.
Si può solo prendere tempo.
Per un po' me ne sto in disparte.
Da solo.
Aspettando un cambiamento.
Proficuo.
Per tutti.
Continuando a resistere.
A lottare insieme.


P.s.
Dopo infinite discussioni è ricomparso nella lista della spesa anche il fatidico centraruote...
A quanto pare uno strumento imprescindibile nell'attuale imprinting genetico della ciclofficina. Pronto a fare capolino quando meno te lo aspetti.
Stando a recenti studi esegetici...
Quando Mosè scese dal monte Sinai con le leggi in mano, trovò gli israeliti in adorazione davanti a un "centraruote d'oro”.
(Grazie Sofista per la citazione dotta).
Non se ne esce...

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