Di notte.
In autostrada.
La performance di
rrose è terminata da poco.
Ancora i timpani
frastornati da tanto.
Al club adriatico la
stagione è aperta.
Senza badare a
compromessi si è fatto arrivare quanto di meglio sul mercato.
Direttamente da
amsterdam.
Dove ha suonato la
sera prima.
Un'ora solo.
Ma da paura.
Al club la serata
era cominciata con un dj locale.
Per far capire la
direzione una nebbia artificiale a coprire tutto.
Ad avvolgere i corpi
come gli schiavi di michelangelo immersi nella pietra o i corpi in
movimento di bacon tra il colore fluido.
Solo taglienti
fendenti di luce a illuminarli radenti.
A farli emergere per
qualche istante come fantasmi.
Poi di nuovo buio
pesto.
Come immersi
nell'oceano.
Senza punti di
riferimento.
Si è da soli.
Consegnati al
proprio vuoto interiore.
Mentre il corpo si
muove a ritmo di tecno.
La più deep del
momento.
Spiazzante,
destabilizzante.
Implosiva fino alle
viscere.
L'impianto il
migliore da sempre.
Suoni bassi profondi
ti attraversano come onde di terremoto.
Certo manca lo
sporco noise dei tempi migliori.
Ma questo è un
club.
Non un posto
alternativo d'avanguardia.
Alla fine qualcosa
si paga al mercato, al gusto comune.
Alle due rrose
attacca.
Meglio stacca.
I ritmi martellanti
si arrestano.
Con il fumo i suoni
bassi, rarefatti ti avvolgono come in un magma denso. Non so per
quanti minuti un urlo straziante monotonale in caduta libera.
Poi arrivano i colpi
bassi.
Siamo sui 125 bpm in
crescendo.
La tecno di oggi.
I pezzi pregiati da
sempre in playlist te li vedi articolare uno dietro l'altro con una
potenza inaudita.
Una discesa
devastante nei recessi più intimi.
Impossibile
contenere le urla.
Qualcosa di
imperioso ti fa muovere fino a riempirti.
Un'euforia
inspiegabile la risposta.
Con gli occhi
chiusi.
Tanto anche aperti
sarebbe lo stesso.
A dimenare il corpo
senza più pensieri.
Come viene.
Quasi danzando
leggeri sui cristalli.
Come tante canne
mosse dalle onde basse soffiate con forza dalle casse sul soffitto.
Sulla strada del
ritorno.
La stessa nebbia a
avvolgere ogni cosa.
I fari tagliano la
coltre quanto basta per vedere la linea continua bianca.
Gli occhi fissi sul
parabrezza come fosse lo schermo di un videogiochi.
Ogni tanto fari
amici a guidarci.
Incollati a distanza
non li perdiamo di vista.
A loro ci affidiamo.
Come se al volante ci
fosse dio in persona.
A volte invece da
tanta caligine emerge la sagoma di auto indecise.
Senza pensarci su si
pigia l'acceleratore per superarle prima possibile.
Meglio prevenire.
Non esserne alla
mercè.
Ancora a risuonare
le parole antiche di viaggiatori andati incontrati tanti autostop fa.
Quando c'è nebbia.
Mai rallentare.
Tirare dritti
casomai.
Per stare davanti.
Non restare
bloccati.
Ecco allora
accelerare a fronte del primo ostacolo.
La lancetta si muove
veloce.
Pochi metri.
Un altro veicolo di
troppo.
Giù a pigiare sul
pedale.
La macchina scivola
decisa sulla strada in accelerazione spinta.
La velocità
aumenta.
Nessuna paura.
Un altro stop
ancora.
Via, andare oltre
senza ripensamenti.
Più in fretta
possibile.
Divorando l'asfalto.
Il tempo.
Ancora qualcuno a rallentare.
Si è quasi al
limite massimo.
Il motore ruggisce.
Si viene appiccicati
al sedile.
Accelerazione
massima.
L'ultimo ostacolo.
Poi più nessuno.
L'auto in piena
corsa lentamente solleva il muso.
Come un aereo stacca
le ruote anteriori da terra.
Poi dopo poco anche
le posteriori.
Senza più attriti
va da sé.
L'ultima macchina è
già sotto.
Via così.
Ancora più in alto.
Ora più niente a
ostacolare la corsa.
Oltre la coltre la
luna.
Lì in posa a
mostrare impassibile il suo splendore riflesso.
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