La verna
In una parte
dell'Italia centrale compresa tra la toscana, l'umbria, le marche,
l'alto lazio c'è una regione detta santa. Partendo da nord, nel
casentino si può trovare la foresta santa. Appena più giù
spostandosi verso l'umbria c'è la valle santa. Lo stesso vale per la
piana in provincia di rieti, il centro d'italia. Sono i luoghi della
rinascita spirituale nel medioevo quando intere generazioni si erano
fatte carico di rinnovare la chiesa tornando alle origini, trovando
nella figura di cristo un modello da seguire alla lettera. San
benedetto, san domenico, san francesco, santa rita da cascia, angela
da foligno. Si potrebbe continuare ancora per molto. In ogni caso si
farebbe torto a pensare di voler ridurre tale fenomeno solo a queste
immense figure. Sebbene grazie al loro sforzo nulla fu più come
prima, esse rappresentavano solo la cuspide di una volontà di
rinnovamento sentito dai più. Un'esigenza spirituale così forte da
spingere centinaia, migliaia di persone di ogni stato sociale, genere
a trasformare radicalmente la propria esistenza per incarnare una
vita autentica avente cristo come modello, la sua passione la sequela
di eventi da meditare, ancor prima rivivere fino in fondo. A partire
da tale esempio ecco nascere il richiamo alla semplicità,
all'umiltà. Le basi per abbandonare il “secolo” in nome di
un'”altissima povertà”. In fondo un po' quanto sta succedendo
anche ai nostri giorni. Un tempo di decadenza, di tramonto dei valori
occidentali dove a contare sembrerebbe soltanto una visione economica
di un'esistenza improntata al consumismo sfrenato. Solo una volta
spogli di tutto si poteva cominciare il cammino per fare spazio allo
spirito, per mettersi nelle sue mani così da poterlo manifestare al
massimo grado. Certo francesco è stato il più famoso non senza
ragione. Il primo santo stigmatizzato, il motore di un rinnovamento
radicale all'interno della chiesa non senza idiosincrasie. Ancor
prima ha avuto il coraggio di rompere con le nuove abitudini della
classe mercantile appena nascente per una “forma di vita” dove a
contare era l'abbandono totale alla provvidenza. Con lo stesso
slancio di bambini entusiastici verso la loro madre amorevole. Non
senza mettere in atto pratiche spirituali severe in parte mutuate
dalle precedenti regole monastiche. Ecco allora l'esigenza di una
vita contemplativo-ascetica da effettuare in completo isolamento in
una grotta, in luoghi impervi, ai piedi di un precipizio, in un bosco
selvaggio per cercare di immedesimarsi attraverso la preghiera e la
meditazione alla figura di cristo. Tra digiuni, penitenze, silenzi
forzati, con in dosso solo un saio spartano a forma di croce, avendo
per letto una nuda pietra. Allo stesso tempo la trasformazione
interiore conseguente li spingeva a uscire da quella vita separata
per aprirsi al mondo, per cercare cristo in tutte quelle figure
marginali, reiette dalla società. I lebbrosi, i poveri, gli incolti
portando la buona novella a tutte le creature. Tali immense prove
diedero i loro frutti vividi ancora oggi in quest'epoca abbandonata
allo spirito della tecnica, alla globalizzazione compiuta. Un'epoca
in continua trasformazione che ha fatto della crisi il suo motore,
capace di divorare nichilisticamente ogni modello passato. Eppure
oggi come allora tale sete di purezza non si è affatto spenta.
Tutt'altro. Nonostante secoli di riduzionismo materialistico, la via
dello spirito o meglio di una materia rispiritualizzata è ancora
viva. Ecco allora una nuova apertura del mondo occidentale verso
quelle tradizioni spirituali ancora autentiche, non inquinate dalla
secolarizzazione di questi ultimi secoli. Ovvero quel movimento
storico che ha avuto la pretesa di ridurre l'esistenza a questa
dimensione mondana da portare al massimo grado di espressione. Niente
più vita aperta verso l'infinito, né vocata all'eternità. Tutto
andava riportato alla misura del presente. Prendi oggi quanto ti è
concesso perché “del diman non v'è certezza”. “Carpe diem”,
“occasio” i termini più in voga. Non tutti si sono lasciati
accecare da tali promesse. Insoddisfatti di questa forma di vita
profanizzata, profanata si sono rivolti a quelle tradizioni antiche
ancora resistenti. Come lo sciamanesimo dei nativi indiani o degli
indigeni della foresta amazzonica. Oppure il buddismo, l'induismo in
oriente dove ancora risplende forte il fuoco della devozione dei
monaci solitari sui monti del tibet. Dal dopoguerra, dai beatneak
fino agli hippy, ai successivi contraddittori movimenti new age si
sono rivolti a loro come ultima speranza per arrestare il baratro
scavato con le sue stesse mani dall'homo faber, tecnologicus,
oeconomicus. Nonostante secoli di desertificazione, reimenizzazione
della memoria spirituale passata, al punto da aver smarrito le
pratiche, i luoghi, la via per una nuova connessione diretta con lo
spirito. Quei movimenti pionieristici oggi sono diventati di massa.
Non di frequente una moltitudine spesso confusa, magari utilizzando
il tempo della vacanza, si è spinta nella ricerca di non si sa più
bene cosa. Un po' seguendo le mode, o quelle storie ancora capaci di
attivare l'immaginazione, prima di tumulare ancora tutto nella
routine quotidiana tra fabbrica, ufficio e vita domestica, tra le
fila di un supermercato, il chiacchiericcio inconsistente
dell'aperitivo, nei corsi di yoga “alla californiana”, momenti di
svago per antonomasia necessari per rilassare e scaricare le tensioni
accumulate in tanto fare vuoto. Sufficienti per tirare a campare alla
giornata, a soddisfare le esigenze consumistiche di desideri indotti
in maniera subliminare.
Giunta l'estate,
spesso senza sapere bene perché si parte. Complice la scusa della
buona salute ci si incammina in quei sentieri una volta percorsi a
piedi nudi da zelanti pellegrini. Zaino in spalla, muniti di scarpe,
vestiti, sacchi a pelo ipertecnologici predisposti a rispondere al
meglio alle condizioni di vita più estreme, in nome di una comodità
da salvaguardare a ogni costo. Affidati passo dopo passo a guide
dettagliate pronte a fissare le tappe, il chilometraggio, dove
dormire, mangiare. In questo modo non ci si sente soli. Soprattutto
non si corre il rischio di perdersi o di fare incontri imprevisti.
Non sempre però tutto fila liscio. Impossibile gestire tutte le
variabili. Anche perché a giocarci brutti scherzi è lo spirito
stesso. Quell'ospite imprevisto pronto a rimescolare le carte in
gioco, a farci inciampare il momento opportuno. Anche per non mancare
di rispondere a quella domanda di infinito solitamente messa a tacere
nel totale assorbimento del fare quotidiano. Ravvivando così quella
fiammella quasi del tutto soffocata, il vero motore di tutto.
Carol era partita
da firenze. Voleva ripercorrere il cammino di francesco. Da la verna
a assisi. Tempo una settimana. Giusto per tornare poi a casa e
imbarcarsi l'indomani per una vacanza già organizzata oltre confine.
Un'altra settimana prima di tornare alla vita di tutti i giorni tra
lavoro, amici, la famiglia. Ma non aveva fatto i conti con l'oste. A
la verna la sorpresa di trovarsi senza portafoglio e documento
d'identità. Esperienza finita ancora prima di cominciare. Eppure
qualcosa la spingeva a non demordere, tanta la voglia di imbracciare
lo zaino in spalla. Ma siamo nel luogo francescano per antonomasia,
dove prima di morire, sul suo corpo si sono manifestate le stigmate.
Lì come a greccio o all'eremo delle carceri di assisi assieme ai
suoi frati andava a meditare, a fare ritiro spirituale per stare più
vicino a cristo. A piedi nudi, spogli di tutto, immersi nella foresta
vergine, tra rocce incavate, tormentate dalla durezza della natura.
Il luogo ideale per fare ascesi, non senza l'aiuto di digiuni,
silenzi interiori, dando la possibilità allo spirito di esprimersi
con visioni, miracoli. Non prima di aver vinto se stessi, i desideri
mutevoli del corpo. In quei luoghi allora non c'era nulla di più.
Niente chiesette, alloggi per i viandanti, la mensa, il negozietto
dei souvenir. Niente turisti, al limite qualche animale selvaggio,
una moltitudine di uccelli a cantare la gloria del signore. E poi
tanta foresta, grotte impervie, al massimo una piccola cappellina in
pietra nuda per il rito comune dell'eucarestia, il carburante
necessario prima di sprofondare dentro sé stessi, abbandonandosi al
lato attivo dell'infinito. Quella forza destituente capace di
interagire con i livelli più sottili per rigeneranti in modo nuovo,
trasfigurandoti nel segno dell'amore. Fino a farti divenire un docile
strumento nelle sue mani, per esprimere la potenza infinità d'amore,
per partecipare a co-realizzare la sua opera.
Nella saletta messa
a disposizione dai frati di la verna per i novelli viandanti
spirituali, tutti stavano seduti rigorosamente nel proprio letto
scelto a caso. La maggior parte era in procinto di cominciare il
cammino l'indomani diretti verso assisi. Per non disturbare si
parlava a bassa voce. Tra loro c'era anche carol. Per trovare
conforto e comprensione, cercava di condividere sottovoce la propria
storia, il proprio rammarico. Anche perché tanta era l'intenzione di
continuare. Che fare? Tornare indietro per rifornirsi e poi
ripartire? Niente paura. Lo spirito tutto predispone per il meglio.
Utilizzando a caso i presenti, le parla, le offre una possibilità.
Sta a lei saperla cogliere al volo. Abbandonandosi tra le sue
braccia. Senza più “identità”, ridotta in un momentaneo stato
di povertà, potrebbe scegliere di continuare comunque se seguisse la
via già battuta da tanti frati a partire da francesco. Affidandosi
alla provvidenza. Per ricevere ogni giorno quanto basta per andare
avanti. Ringraziando lo spirito sia nel giorno della pancia piena sia
in quella vuota. Tra i presenti qualcuno può farle un piccolo
prestito. La metà di quanto previsto. Poco male. Va bene lo stesso.
Il tempo di una telefonata. Poi la decisione di non fermarsi. Per il
resto si vedrà lungo il cammino. Ecco allora aprirsi speranze,
possibilità inattese, rompere abitudini consolidate. Mattone dopo
mattone si sgretola il muro davanti. Una nuova luce comincia a
filtrare. Qualcosa si insinua dentro come un germe sottile. Nulla
sembra più come prima. Anche se non si conosce ancora la misura di
quanto sta accadendo. Finito il viaggio ci sarà poi il tempo per
valutare l'opera dello spirito, sempre non ci si lasci avvolgere
dalle tenebre di un ottuso presente. Dopo sette giorni fantastici,
dove la vita riprende a fluire liberamente fuoriuscendo dai stretti
canali dove era stata relegata, ecco finalmente la meta finale,
assisi. Un giorno ancora per avere il tempo di assaporare pienamente
quanto vissuto, grazie anche all'ausilio della memoria, per
prolungare ancora quegli attimi magici, per riviverli ancora una
volta. L'indomani non ci sarà più tempo. Altri programmi già
fissati da tempo aspettano di essere realizzati.
La follia
dell'amore
Appena partito già si trovava con una manciata di denari in tasca.
Era arrivato in bici a la verna verso il tramonto. Da qualche tempo
aveva preso a frequentare quel luogo magico. Come fosse attirato da
una calamita. Vuoi per il bosco secolare, per la vertigine di
meditare ai piedi dello strapiombo. In fondo gli stessi condivisibili
motivi di quanti prima di lui lo avevano preceduto. A partire da
francesco, antonio, frate leone.
Di giorno era un crogiolo di persone attirate dalla stessa forza
sottile. Molti erano solo turisti di passaggio, scolaresche. Non
mancavano tanti pellegrini dell'ultima ora, emuli di quelli di certo
più famosi. Nonostante le tante scritte di stare in silenzio in ogni
luogo sia dentro l'eremo che fuori era un vociare continuo. Nella
cappella dove francesco aveva preso le stimmate, nella piazza
antistante la chiesa principale, nel bosco. Come se tutte quelle
persone fossero preda di una pulsione irrefrenabile ad esternare a
briglia sciolta ogni pensiero. Difficile riuscire a sottrarvisi.
Lontano ricordo quella tranquillità sottile cercata dai primi
frequentatori di quel luogo ameno. Solo verso sera, dopo la messa,
quelle voci pian piano si acquietavano. Certo facilitate
dall'atmosfera sublime del tramonto sulle montagne all'orizzonte. Ma
anche perché alle sette e trenta era l'ora della cena. E la maggior
parte si ritirava nelle sale interne per mangiare o per coricarsi a
letto vinte dalla stanchezza. Allora in giro restavano in pochi.
Quello era il momento migliore per godere appieno di quei luoghi. Si
poteva stare soli con sé stessi, magari seduti sulle scale della
piazza o appoggiati al muretto di recinzione della piazza, riscaldati
dagli ultimi raggi di sole. Oppure si aveva l'opportunità di
fraternizzare intimamente con i pochi rimasti. Ad esempio marco,
poggiato a una parete della cappellina sulla piazza, del tutto preso
a fermare i pensieri su di un tablet. Al contrario degli altri aveva
deciso di non cenare per rispettare la pratica vipasana. Ovvero
mangiare solo a colazione e a pranzo non oltre le dodici, mettendo
radicalmente in discussioni le “normali” abitudini condivise. In
tali pratiche aveva trovato la sua dimensione provando anche un certo
piacere nel riuscire a disciplinare, a mettere volontariamente a
regime il proprio corpo. Per sondarne i limiti, scoprirne le
potenzialità remote. Con l'oscurità a fare capolino poteva capitare
di condividere la cena frugale con il vicino. Che so una gentile
signora romana emigrata tempo fa a francoforte ora desiderosa di
vivere fino in fondo la spiritualità francescana trasudante da ogni
angolo di quel luogo arcano. Al punto di fermarsi in quelle zone per
un anno intero, compreso il rigido, piovoso inverno solitamente
evitato dai pellegrini. Era stata lei a fargli conoscere per via
provvidenziale un interessante testo su francesco dal semplice titolo
“francesco d'assisi” di vauchez edito in francia nel 2009. Un
lavoro esaustivo utile per capire a fondo la possibile storia di
francesco e del suo movimento nei secoli, ma anche per operare una
eventuale traduzione per i nostri giorni di quei concetti cardine del
suo pensiero, ancor prima della sua esperienza totalmente attuali. A
partire dall'”altissima povertà” come forma di vita esemplare da
condividere con i propri fratelli prendendosene amorevolmente cura.
Abbracciando la mancanza assoluta, lo “spoliamento chenotico”,
come via per aprirsi a cristo, alla sua potenza trasformativa.
Seguendo l'insegnamento della sua passione. Povertà e amore
fraterno. I due pilastri del francescanesimo. Confidando che non si è
mai soli. Solo donando tutto sé stessi ci si apre agli imponderabili
piani dello spirito che tutto provvede. Per questo non attaccarsi a
nulla. Tanto si è solo pellegrini di passaggio. Né pensare di
mettere radici da qualche parte. No loro i frati si spostavano di
continuo per testimoniare l'unica cosa importante, il cristo non
tanto a parole, ma con le opere, il fare esemplare. Così non si
fermavano nello stesso posto mai più di una notte, viaggiando non
meno di due, per donarsi al proprio fratello, da amare prima di sé
stessi. Secondo la “legge” dell'amore. Per cadere tutti nelle
braccia provvidenti del padre, meglio della madre accudente, come
tanti bambini bisognosi di tutto. Non c'è molto altro da fare per
cambiare radicalmente la propria vita se non affidarsi. Ma prima
bisogna arrestare la propria corsa impazzita, sospendere quelle
pratiche stordenti, ingabbianti la coscienza per poi lasciare agire
liberamente la grazia infinita dello spirito. Per scoprire di essere
un sol corpo. Così è possibile trasformarsi al momento opportuno in
un docile strumento nelle sue mani. Per manifestare in tutta la sua
potenza la sua follia d'amore eterno. Senza se, senza ma.
Oltre la sera, anche la mattina presto, quando fuori era ancora buio
e in giro non c'era più nessuno, era un momento magico. Appoggiato
alla porta chiusa della chiesa vedeva le ombre delle piante mosse dal
vento. Nel momento più buio della notte anche per il suo sibilo
sinistro si insinuavano dentro sensazioni inquietanti. Poi di colpo a
rompere il silenzio della notte un colpo secco sulla sbarra a
bloccare la porta. A seguire il cigolio lento delle pesanti ante
ruotare verso l'interno. Per ripiombare nel giro di pochi secondi nel
silenzio più pesto. Soli i passi via via lontani di una grossa ombra
ondeggiante. Rotti i sigilli, d'incanto ecco spalancarsi magicamente
uno spazio oscuro. Come quando si è davanti a un luogo antico
abbandonato da secoli con ancora il pulviscolo filtrato dalla prima
luce dell'alba imminente. Nonostante l'orario di apertura al pubblico
fosse per le sei e trenta, già un'ora prima un frate volenteroso era
lì per permettere l'entrata nella casa del signore. Non un frate
qualunque, ma un omaccione anziano dalle proporzioni importanti,
ciondolante ogni passo come un pendolo. Come avesse già tutto
programmato, volta le spalle all'uscita e inerzialmente va a
sprofondare lentamente dentro uno dei confessionali lungo la parete
laterale della navata. A attestarne la presenza solo il leggero
rantolo del respiro affannoso. Nessuno a fare la fila per la
confessione, ma non importava. Valeva solo l'essere sempre
disponibili. Non si sa mai. Nel buio della chiesa, dopo un leggero
attimo di esitazione, si accomodò nella panca più vicina alla porta
aperta, sufficiente a far entrare la luce quanto basta per lasciare
emergere le ombre da tanto nero. Pochi istanti per affondare nel
proprio silenzio interiore. Quello era il momento più bello. Con gli
occhi chiusi, immobile come una statua, totalmente assorbito in se
stesso. Il tempo allora si fermava come per magia. Dopo un lungo
istante indefinibile il rumore di un interruttore a accendere le
luci. Riportato a forza nella realtà era arrivata l'ora delle lodi
mattutine. Aperti gli occhi si scopriva non più solo. Qua e là
altre suore e frati mattinieri pronti a intonare il canto di lode a
dio. Anche il guardiano dopo aver adempiuto al suo dovere si fermò
in ginocchio al centro della chiesa a masticare ave maria.
La sera prima si era trovato a fare la conoscenza di carol, a
condividere la sua esperienza. In preda a quello spirito incarnato
dai frati non aveva esitato a soccorrere la giovane pellegrina. Tanto
aveva con se la carta prepagata delle poste se fosse stato
necessario. Venti euro potevano bastare almeno fino alla prossima
meta imminente. Nel fatto accaduto a carol aveva intravisto anche per
lui la possibilità di fare l'esperienza della privazione e
dell'abbandono. Alla fine sempre più convinto sentiva di doversi
affidare completamente alla provvidenza, alla generosità del
prossimo. Ringraziando carol per l'opportunità offertagli. E così è
stato. Saper lasciare tutto prima di ricevere con abbondanza. La
solita legge dell'amore.
Mosso da un entusiasmo e da una decisione come non mai trovava lungo
la strada la frutta di stagione quando aveva fame. Ma era nelle case
dove era ospitato, in particolare dai suoi amici, a sentire con
maggior forza quell'afflato dello spirito. Accolto amorevolmente
riceveva quanto aveva bisogno in abbondanza ovunque andasse. A
viterbo da flavia, ad albano da alberto e elisabetta. Alla fine
arrivato a campobasso aveva ancora quasi del tutto la somma intera.
Là si sarebbe fermato per un poco almeno fino a ferragosto. Quel
luogo era diventato da tempo un po' la sua seconda casa da quando con
i suoi amici aveva costruito il forno a legna per il pane. Come se
qualcosa di misterioso lo avesse legato a quella terra selvaggia
lasciata fuori dal “progresso”.
Greccio
Era tempo di tornare.
Quando era partito non aveva stilato un programma preciso. Non era
nella sua natura. Il percorso si sarebbe chiarito strada facendo.
Certo la verna, l'unica meta prefissata, lo aveva cambiato assai. Lo
spirito francescano si era fatto in lui più forte. Soprattutto aveva
recepito profondamente il messaggio dell'amore fraterno necessario
per vivere nel modo migliore l'altissima povertà. Da soli non si va
da nessuna parte. Troppo elevato il prezzo da pagare.
Fino allora aveva fatto un cammino di liberazione improntato più
sulla ricerca dell'autonomizzazione autarchica per provare a rompere
i legami con i dispositivi soggioganti della società, della
famiglia, delle amicizie omologate.
A la verna aveva capito che ci si può emancipare solo amando
profondamente l'altro. Al di là di ogni logica dualistica.
Riconoscendo in tutte le cose una manifestazione dello spirito. Si è
tutto in tutti. Si partecipa di tutto. L'altro sono io e viceversa.
Una massima già incontrata. Forse presa da rimbaud o da ricoeur. A
memoria l'“autre comme soi-meme”. Da quando era giunto a questa
conclusione, aveva smesso di cercare luoghi appartati dove ritirarsi.
Come se di colpo avesse abbattuto una barriera, gli riusciva molto
più facile conoscere nuove persone. Senza bisogno di fare alcuno
sforzo. Spesso erano loro a farsi avanti spontaneamente. Ora meditava
dove capitava, dove sentiva di fermarsi, senza preoccuparsi se al suo
fianco stava un signore al cellulare a parlare forte incurante
dell'intimità dei luoghi. Tra dentro e fuori non c'era più
contraddizione. Riprendendo uno slogan buddista era come se il
nirvana, la meta finale della meditazione, venisse a coincidere con
il samsara. Non c'era più distinzione. Tutto è spirito. Questa la
nuova consapevolezza raggiunta.
No, il viaggio non era terminato.
C'era ancora tempo per mettersi in gioco.
In fondo era solo a metà del percorso.
Per evitare le rotte più battute, in particolare quelle strade a
alto scorrimento, tutte uguali, contenute da guardrail infiniti, dove
per chilometri non si incontra se non autogrill o bar anonimi, decise
di passare per le montagne per seguire quelle vie pressoché
abbandonate. Intanto aveva pure individuato la meta per continuare il
cammino francescano. Greccio. Una delle quattro dimore francescani
situate nella valle santa di rieti. A averlo convinto una foto vista
prima di partire. Un eremo in mezzo alla natura, per di più
affacciato su una roccia a strapiombo. Oramai aveva cominciato a
capire bene lo spirito ascetico di francesco. I luoghi da lui
preferiti per ritirarsi. E quello sembrava il posto ideale per
fermarsi una notte. Anche perché c'era una foresteria per il
pellegrino abbastanza spartana. Dopo aver trovato il numero di
telefono si era accordato con luciano, un frate del convento, per
assicurarsi un letto. La notte prima si era fermato a popoli, a pochi
passi da sulmona, lungo la strada per l'aquila. Da quando era
ripartito e aveva dato un ulteriore senso al cammino, una mano
invisibile sembrava guidarlo. Senza l'ausilio di cartine o mappe stra
dettagliate preferiva affidarsi ai passanti incontrati lungo la
strada. In particolare quelli del posto. In questo modo gli era
permesso conoscere strade provinciali periferiche pressoché
disabitate, fuori da ogni percorso programmabile. Anche perché di
solito nelle mappe comuni o su internet a essere selezionate erano le
vie fatte a posta per le auto. Certo spesso la strada si allungava un
po'. Però scegliendo i vecchi sentieri solitamente progettati dal
genio costruttivo dei romani si evitavano gallerie pericolose, salite
impossibili. Loro privilegiavano le vie più semplici, di preferenza
affiancando il letto di un fiume. Così le strade attraversavano
pianure verdeggianti incastonate tra boschi di faggio, lerici,
quercie. Spesso l'asfalto anche per lo stato di abbandono cronico era
pieno di buche. Tante volte il rimedio era peggiore del danno. Certe
strade le aveva soprannominate a patchwork o a mosaico. Quando era un
susseguirsi di toppe su toppe per coprire l'asfalto danneggiato. Non
di rado, anche per lo stato avanzato di abbandono, la carreggiata era
invasa da frasche selvatiche. Anche questo poteva avere i suoi
vantaggi. Senza troppi sforzi poteva trovare more, fichi, rusticani.
La manna necessaria per andare avanti. Quelle erano anche le strade
preferite dai ciclisti locali sempre pronti a indicargli il cammino,
a sostenerlo. Passo dopo passo grazie a tutti i consigli ricevuti si
costruiva la mappa giusta, così riusciva a evitare le strade più
difficili. “Là c'è una salita durissima puoi aggirarla se passi
da quella parte”. “Per evitare le gallerie prendi la vecchia
strada napoleonica”. Così non si sentiva mai solo, al momento del
bisogno c'era sempre qualcuno a dargli la dritta giusta. A volte
anche gli imprevisti diventavano l'occasione per segnalargli
qualcosa. Tutta la realtà intorno sembrava parlasse con lui. Come a
popoli. La sera era ormai prossima e non aveva ancora deciso dove
fermarsi per trovare un posto per dormire. Il sole era ancora alto.
Nonostante la stanchezza cominciasse a fare capolino c'era ancora il
tempo per avvantaggiarsi per il giorno dopo. In una curva leggermente
in salita mentre stava cambiando rapporto scende la catena.
Inevitabile l'arresto. Per fortuna vicino a una fontana davanti a una
croce in cemento. In lontananza dei rumori di voci. Alzò lo sguardo
scorgendo sullo sfondo una processione religiosa popolare con tanto
di santo in spalla. Da buon pellegrino decise di partecipare anche
lui. Era la festa di san rocco portato in giro per le vie della città
con al seguito un manipolo di fedeli a recitare il rosario. Pochi i
giovani, per lo più anziane devote, qualche curioso. A contornare il
cammino gli abitanti del posto a segnarsi di croci al passaggio del
santo. Il tutto avveniva con un tono abbastanza dimesso. Specie se ci
si allontanava dalla testa della processione. Allora non era
infrequente sentire soprapporsi alle avo maria i discorsi profani di
vecchie comari a braccetto incapaci di mantenere la fila ordinata.
Nel frattempo il sole stava per scomparire all'orizzonte. A breve
sarebbe stato buio. Forse era il momento di fermarsi. Alla fine del
tragitto davanti alla chiesa del santo, in veste di pellegrino
accreditato, aveva provato a chiedere al parroco ospitalità. Da poco
avevano predisposto due posti per i viandanti spirituali. Ma quella
sera niente da fare. Tutto pieno. Al massimo avrebbe potuto
utilizzare il bagno per rinfrescarsi. Decise di fermarsi in piazza
anche perché aveva notato una serie di palchi in legno, il luogo
ideale per srotolare il proprio sacco a pelo per la notte. Ma non
aveva fatto i conti con le esigenze estive del piccolo paese. In
concomitanza con la festa del santo quella sera c'era un concerto di
liscio. A esibirsi un gruppo direttamente dalla romagna a quanto pare
assai conosciuto. Calato il sole la città si era animata oltre ogni
previsione. Ogni via, bar, pizzeria si erano riempiti di gente di
tutte le età. Ovviamente l'attrazione del giorno era nella piazza
centrale. Alle dieci e trenta il via alle danze. Ecco l'evento capace
di accendere gli animi fino a notte fonde. Altro che processione
religiosa. Da vere star i musicisti, la giovane cantante al seguito
riescono a tenere botta fino a tardi, quando terminato il concerto
scendono dal palco per raggiungere i loro fan per gli autografi e i
complimenti dovuti. Di dormire neanche a parlarne. Troppo alti i
volumi, la voce onnipervasiva del frontman a ripetere con enfasi il
nome della cantante come fosse scesa dal cielo la madonna. Che ci
vuoi fare. Così va la vita. All'indomani presto via in sella verso
greccio. Senza perdere neanche un minuto in più.
Una cosa è sicura. A accomunare i luoghi francescani la salita irta
non meno del quindici per cento, la roccia a picco forata da tante
piccole grotte dove poter soggiornare. Così dopo tre chilometri e
mezzo di ascesa durissima ecco finalmente il monastero. A colpirlo
nelle insegne a indicare il nome del paese, il gemellaggio con la
città di betlemme. Pochi istanti per svelare l'arcano. Quello è il
posto dove francesco giullare di dio ha inscenato per la prima volta
il presepe. Ovvero la rappresentazione della natività di gesù.
Dando l'avvio a una tradizione popolare ancora assai viva.
Stupefacente.
Portata la bici nella foresteria fuori del convento, deposti i pochi
bagagli sul letto, c'era giusto il tempo per salire qualche istante
nella grotta del presepe prima della chiusura serale.
A quell'ora poca gente.
Meno famoso di la verna e di assisi, qui tutto è più a misura
d'uomo. Anche i frati sono più rilassati e disponibili.
Sul piazzale antistante la chiesa nuova solo qualche famiglia di
passaggio oltre un frate pellegrino con un giovane al seguito.
Il tempo stringe, nella grotta è già tempo di vespri. Luciano,
qualche altro frate del convento a celebrare le lodi al signore prima
di ritirarsi a letto, non prima del lauto pasto.
Terminate le preghiere della sera, pian piano la cappella si svuota.
A rimanere solo in tre. Il frate, il giovane amico, più il ciclista
appena arrivato. Il clima è meno formale rispetto gli altri centri
francescani più noti. A giovarne una certa intimità. Il frate e il
suo accompagnatore sono diretti ad assisi. Per loro la possibilità
di celebrare una messa privata a porte chiuse. Data la situazione
viene coinvolto anche il terzo pellegrino provvidenzialmente lì di
passaggio. Il frate si ritira per indossare i paramenti da
officiante, il ragazzo al suo fianco si procura una chitarra per
accompagnare i canti di estrazione neocatecuminale. Vengono lette le
letture del giorno, il vangelo, un breve commento incentrato sulla
natività come opportunità di rinascita dello spirito assopito, poi
il momento della comunione. Per parteciparvi occorre rispettare gli
altri sacramenti, in particolare quello della confessione per
preparare la propria anima all'incontro con il corpo di cristo. Da
tempo non partecipava a quel rituale. Ma quel giorno sentiva essere
diverso. Anche per il clima particolarmente caloroso creatosi, la
situazione coinvolgente. Decise di far parte dei commensali. A patto
di confessarsi subito dopo. Così fece. Dopo la celebrazione, come
convenuto, chiese al frate di procedere. Usciti dalla grotta, seduti
su di una panca a ridosso del precipizio con il cielo stellato a fare
da spettatore, iniziarono la confessione conclusa con tanto di
imposizione delle mani. In un clima estremamente familiare,
accogliente. Dopo l'atto ufficiale i due continuarono a parlare
amichevolmente, raccontandosi l'uno a l'altro. Con meraviglia
scoprirono di essere partiti entrambi da campobasso. Di più.
giancarlo, questo il nome del frate, era stato per anni il parroco
della diocesi dove era stato ospitato. Conosceva pure i nonni del suo
amico, dei fedeli praticanti. Rimasero sorpresi. Ancora un tiro dello
spirito così da farli interagire strumentalmente nel modo più
armonioso possibile. Quasi avessero bisogno l'uno dell'altro per
confrontarsi, per crescere ancora. La provvidenza lungo il cammino a
disposizione di chi si abbandona con fede. Parlarono con fervore di
francesco, dell'amore cristiano, di nichilismo. Anche il cognome del
ciclista sembrava messo lì a posta, facendo il paio al nome
dell'arcangelo michele a cui era assai devoto francesco. Sembrava
come se lo spirito, per manifestarsi, prendesse lungo il cammino
quanto disponibile per assemblare creativamente concatenazioni di
nomi, situazioni, persone, storie, per impartire insegnamenti
amorevoli. A una sola condizione. Accettare di essere aperti a
diventare uno strumento tra le sue mani. Intrecciare narrazioni
inimmaginabili, aprire scenari possibili a volerlo era il modo per
farsi conoscere, per dispiegare quel folle progetto provvidenziale.
Alla fine i due si abbracciarono fraternamente proponendosi di
rivedersi ancora. Il frate prima di andare si preoccupò per la cena
del nuovo amico. Niente paura, ad aspettarlo pane, ceci, pomodori e
carrube. Nella foresteria intanto erano arrivati altri due
pellegrini. Marco e francesco un tempo scout provetti. Come di
copione erano straorganizzati rispettando alla lettera quanto appreso
fin da piccoli nei campi estivi. Per loro era una fatto di celata
nostalgia. Avevano con sé ogni ben di dio. Il fornello, i biscotti,
i tegamini per potersi assicurare almeno un pasto caldo al giorno.
Certo tutto questo aveva il suo prezzo in termini di peso. Anche a
costo di dover sopportare il dolore delle vesciche ai piedi.
Quella sera davanti al fuoco del fornello a gas fecero conoscenza
mentre lentamente si scaldava l'acqua per un tè chay. Giusto quello
che ci voleva prima di abbandonare le stanche membra sul letto. Anche
perché l'indomani sarebbero partiti presto al sorgere del sole.
[mentre trascrivo queste testimonianze entusiastiche l'ennesimo
terremoto con distruzione e morti. La memoria va al terremoto di
lisbona a tutti i discorsi sulla teodicea. Ma questo scritto non
vuole essere una apologia di nessun dio. È solo il tentativo di
estrapolare una mappa di ontologia effettuale ricavata
dall'osservazione diretta delle esperienze spirituali. Insomma una
scuola di vita. Non vuole gettare nessun giudizio di valore, né
prendere posizione sul bene o il male della creazione. Tanto a che
servirebbe. Meglio semmai operare una sospensione del giudizio. A
partire da una situazione di fatto, si vuole dimostrare come
attraverso la partecipazione a delle dinamiche amorevoli e di
abbandono si può operare nel proprio quotidiano per migliorare la
vivibilità se supportati da una vigile attenzione cosciente, da una
volontà attiva. Provando a fare qualcosa spesso non facendo
all'apparenza niente]
Assisi
Dopo la chiacchierata con giancarlo aveva intravisto anche una terza
ultima meta. Come voler mettere la ciliegina sopra la torta. In fondo
ogni cammino di francesco che si rispetti dovrebbe almeno terminare
ad assisi. L'alfa e l'omega del percorso di francesco. Secondo
l'esperienza del frate, tre sono i luoghi francescani per
antonomasia. La verna, greccio e le carceri di assisi. Frequentando
questi siti si avrebbe avuto un ulteriore opportunità per afferrare
nel profondo la spiritualità di francesco, la sua fede.
Ancora una volta condotto per mano decise di puntare diritto per
assisi. Dopo una sosta di un giorno a rieti per salutare andrea, il
compagno di meditazione bolognese, l'indomani partì presto. Ancora
una volta un ciclista a guidarlo. Un seguace di francesco anche lui.
A accompagnarlo nella val nerina fino a sant'anastasio per
indirizzarlo nel modo migliore. Prima di separarsi una sosta al bar
per condividere un caffé insieme. Poi saltato in bici le ultime
parole. “E ricorda! Non si è mai soli”.
Dopo un tempo abbastanza lungo ecco alla fine fare capolino assisi
adagiata ai piedi della montagna. Altri quattro chilometri più in
alto la cima del subasio e l'eremo delle carceri. Per carceri in
passato non si intendeva affatto un luogo di reclusione, ma un posto
appartato, solitario adatto per la vita di preghiera. Secondo copione
anche stavolta una salita mozzafiato. La più tosta di tutte. Messo
il rapporto più leggero, a denti stretti, una pedalata dietro
l'altra per ridurre centimetro dopo centimetro la distanza. Tutto
intorno solo boschi, roccia nuda. Nonostante la lontananza dalla
città in tanti a voler raggiungere la stessa meta. Chi a piedi, chi
in auto, in taxi, in autobus. Ecco il cuore pulsante di tutto il
movimento francescano a attirare frotte di pellegrini, turisti,
monaci, suore da tutte le parti del mondo. A colpirlo tanti giovani
sorridenti, dinamici, spesso molto devoti. Tutt'altra musica rispetto
al clima di popoli.
Una volta lì non c'era nulla. Solo tanta foresta selvaggia,
soprattutto una serie di grotte scavate naturalmente nella roccia
dove francesco e i suoi frati erano soliti ritirarsi per lunghi
periodi.
Il tempo di cambiarsi, di farsi strada con la bici portata a mano tra
tanta folla entusiasta, ecco la portineria. Contrariamente a quanto
suggerito da un frate a san damiano, nessuna possibilità di essere
ospitati. Tale privilegio è concesso solo agli ordinati. Non è
possibile nemmeno mettere il sacco a pelo da qualche parte. Il frate
a vigilare l'entrata sembra essere irremovibile. Come dargli torto.
Dalla mattina alla sera a dover rispondere a una moltitudine di
persone tutte a chiedere qualcosa. A questo punto scendere a valle
neanche a pensarlo. Troppa la fatica per tornare l'indomani. E
l'eremo era sul punto di chiudere. Qualcosa sembrava non andare più
nel verso giusto. I meccanismi fino a allora così oleati sembravano
non funzionare più. Come se la realtà tutto intorno avesse perduto
il suo collante e stesse cadendo a pezzi. Appena fuori dall'eremo un
incidente tra due auto a bloccare l'uscita. In tanta concitazione
ecco la polizia con le sirene accese nel tentativo di riportare la
calma. La cerniera della borsa anteriore della bici al minimo
contatto si rompe. Cosa stava succedendo? Una sensazione sinistra per
l'aria. Centocinquanta metri più giù uno spiazzo con la croce, un
tavolo e due panchine a lato. Meglio rifiatare un attimo. A ben
vedere ecco il posto giusto per passare la notte lontano da volpi,
cinchiali e furetti. Nel borsello ancora una manciata di monetine.
Poco lontano un piccolo ristorante. La speranza di una cena a prezzo
pellegrino. Per non smentire quell'alone di gelo, il barista fa di
tutto per non rendere facili le cose. Alla fine si accordano. Tutto
quanto c'è nel borsellino per un piatto di verdure e qualche fetta
di formaggio. Seduto fuori sui tavoli lo spettacolo davanti di tutta
la valle santa con assisi in bilico sui monti. Il sole al tramontare.
L'aria satura. L'orizzonte piano piano si stava stempera fino a
sfumarsi in tanti colori accesi. Tutto sembrava sospendersi in un
silenzio eterno quasi a risucchiarti.
Di colpo un giovane ragazzo vestito di bianco con una bisaccia al
collo compare sulla strada in salita. Sale verso l'eremo nonostante
l'ora tarda. Gli sguardi si incrociano. Quasi fossero lì l'uno per
l'altro. Facile entrare in comunicazione. Si salutano. Poi viene
invitato a sedersi al tavolo. Accetta. Anche lui è un pellegrino.
Viene dalla francia. Non è solo. Viaggia insieme a un altro amico
incontrato provvidenzialmente in un convento dove era in ritiro prima
di partire. Hanno intrapreso il viaggio senza denari, in puro spirito
di povertà. Affidandosi ciecamente al prossimo. Da genova un mese
per arrivare a assisi. Non parlano italiano. Lungo il viaggio hanno
appreso giusto il minimo per la questua quotidiana. Alla fine ce
l'hanno fatta, ogni giorno il miracolo di ricevere qualcosa vissuto
ogni volta come una grande festa. Invitato a condividere la cena
preferisce rispettare il digiuno del venerdì fino al giorno dopo. Un
momento. Ecco spiegato l'arcano. È venerdi! Il giorno della
passione. Il momento dell'abbandono e del grido forte al cielo sulla
croce. Il punto massimo di crisi, di distacco tra terra e cielo, tra
il figlio e il padre. Tutto chiaro no? Ecco spiegato l'impasse
pomeridiano.
I due continuarono a parlare per lungo tempo. Tanti gli interessi
comuni. Dall'antropologia, alla filosofia, alla teologia, alla
mistica. Per approfondire la vita monastica per i suoi studi aveva
vissuto per un po' in un convento in normandia. A interessargli il
concetto di regola monastica. Da lì a cercare le differenze rispetto
a l'originale “forma di vita” francescana. Il tentativo di
superare ogni tipo di legalità o di regola vivendo una vita formata
secondo l'ideale dell'amore e della povertà. Alla fine si salutarono
fraternamente. Un incontro impossibile. In un luogo oramai desolato.
Anche vista l'ora tarda. Eppure plausibile in questo giorno
straordinario.
L'indomani mattina presto eccolo di nuovo all'eremo. Alle sei e
trenta puntuali. Il cancello è ancora chiuso. Il tempo di essere
inquadrato dalla videocamera e magicamente si aprono le porte.
L'unico locale accessibile a quell'ora è la chiesa nuova. Lì
verranno dette le laudi e la messa mattutine. Alla fine delle
celebrazioni esce dalla chiesetta. Si fa avanti lo stesso frate del
giorno prima. È molto premuroso. Si preoccupa se nelle borracce c'è
l'acqua. Le va a riempire. In più porta anche un caffè appena
uscito dalla macchinetta espresso.
Eh si oggi è un altro giorno.
Si chiama valerio. Viene da roma. È entrato nell'ordine a
quarantaquattro anni. Sedici anni fa. Lavorava come operatore video.
Si sente molto vicino ai pellegrini, al loro spirito di sacrificio.
Va in ufficio e prende un dépliant facendogliene dono. Indica un
sentiero tra i boschi fino a raggiungere la gola sottostante. Un
ambiente suggestivo con tante grotte nascoste dove vivevano i frati
pellegrini di un tempo. Un ultimo giro tra foreste magiche, piante
secolari, grotte piene di storia.
Prima di fare ritorno a casa.
Ritorno a casa
Nella periferia dello spirito a prevalere è la secolarizzazione in
tutte le sue forme.
Il vero deserto ora è vivere la quotidiana normalità. Come se i
ruoli si fossero invertiti. Quei luoghi selvaggi tra boschi, grotte,
una volta isolati dal mondo, per questo scelti dagli asceti passati,
sono oggi così animati da brulicare di vita. Vi puoi trovare di
tutto, dal turista distratto al pellegrino devoto. Abituato alla
dieta spirituale dei nostri giorni è una boccata d'ossigeno. Anche
perché hai la possibilità di incontrare quelle figure altrimenti
disperse in altri deserti analoghi. Non ti senti più solo. Senti
salire l'entusiasmo. Le pile si ricaricano. Scompare la sensazione di
essere l'ultimo testimone di una tradizione in via di estinzione.
Oggi in periferia in chiesa non va più nessuno.
La gente preferisce di gran lunga andare al mare.
A prevalere il clima della vacanza. Vestitini corti, occhiali da sole
hawaiani come si fosse in spiaggia.
Il tutto stride ancor più se si è di ritorno dall'immersione
spirituale in quei luoghi santi.
Una volta riemersi stare a galle è difficile.
Ma niente scoramento perché “non si è mai soli”.
Una volta i poveri di spirito erano i lebbrosi, gli affamati.
In chiesa, oggi, a seguire le preghiere delle monache di clausura non
c'è più nessuno. Solo qualche vecchietta vestita di nero, un nonno
con il bastone, un giovane dallo sguardo tonto. Eccoli i nuovi poveri
di spirito. Sono loro i nuovi fratelli. Con loro si recita insieme il
rosario guidato dal treno di parole scandito a ritmo dalle ultime
suore ancora vive. Quelle in prima linea per annunciare la buona
novella nel vuoto pesto. Il polmone spirituale residuale di
un'umanità comatosa.
Allo stesso tempo una sensazione di anacronismo ti assale. A
confortare il ricordo ancora fresco dei giorni appena passati. Gli
incontri fruttuosi, gli esempi di spiritualità viva difficilmente
dimenticabili. Quando lo spirito lo si percepiva in ogni
manifestazione tangibile e si veniva risucchiati in un vortice
coinvolgente oltre ogni aspettativa.
Resurrezione
Dopo appena tre giorni dal rientro a casa era già ripartito in
viaggio. Tanto il tempo di sopportazione della vita cittadina
spogliata dall'estate. Una prima tappa fiorentina da giulia, poi
ancora verso la valle santa. Davanti a sé vedeva scorrere posti
oramai familiari. Lungo la strada per la verna, su di una collina,
delle torri antiche imponenti, poi un cartello stradale indicante una
pieve antica. D'istinto decise di deviare il cammino per dirigersi
là. Una discesa di mille ottocento metri, ecco infine una chiesetta
romanica in pietra lungo la via romena una delle tante strade
percorse dai pellegrini per roma come il nome suggerisce. A poca
distanza un castello in rovina a dominare il passo, in lontananza il
borgo turrito di poppi stretto su di una collina. Basta poco per
capire di trovarsi in un luogo particolare. A differenza di tante
altre bellissime chiesette romaniche austere come può esserlo un
monumento arcano con i suoi misteri nascosti forse per sempre, la
senti ancora vibrante. A averla resuscitata a nuova vita una crisi
esistenziale spirituale del parroco locale tanto tempo fa. Poi la
decisione di trasferirsi lì in mezzo alla campagna per tornare alle
origini. A accogliere i pellegrini con semplicità, amore. Di acqua
ne è passata assai dai quei venticinque anni or sono. Al vecchio
complesso medioevale si è aggiunta di recente una stalla abbandonata
trasformata in auditorio, libreria, bar. Mentre la casa dei contadini
a ridosso della chiesa è divenuto il luogo di accoglienza per i
nuovi pellegrini. Anche grazie all'ampia sala dell'auditorio ogni
anno si svolgono tante conferenze, dei corsi per laici e ordinati sul
futuro della spiritualità cristiana e non solo. L'opera più
significativa nata da tanto travaglio è il cammino della
resurrezione in otto punti tutto intorno all'abbazia. A gestire il
complesso una piccola comunità di fratellanza. Tranne tiziana,
nessun altro abita fisso il complesso, nemmeno il parroco. Nessuna
gerarchia tra di loro. Ognuno è mosso dalla propria volontà di
partecipare allo stesso progetto. A colpire maggiormente è la
sensazione di totale apertura. La chiesa è a porte spalancate quasi
volesse invitarti a entrare con il suo abbraccio. Dentro è addobbata
con opere di artisti recenti pronti a assecondare ringiovanendolo
quello spirito minimale del romanico. Materiali essenziali, legno,
pietre, oggetti artigianali della tradizione. Insomma arte povera
quasi a voler dimostrare la continuità con il territorio, la
semplicità contadina. Anche nel rispetto di una scritta latina su
uno dei capitelli “construpta in tempore famis”, cioè costruita
in tempo di crisi, di carestia. Il tutto produce un certo calore
inatteso. La luce del sole a filtrare dalla porta rivolta verso
oriente, la musica d'ambiente in filodiffusione. Gli spazi
accessibili secondo la propria volontà. L'assenza di porte a
ostacolare il passaggio. Gli sgabelli in mezzo la sala disposti
circolarmente per guardarsi alla pari. Facile sentirsi a proprio
agio. Tutto è a disposizione di chi entra. Quasi si fosse a casa
propria. Forse il risultato più tangibile di una chiesa capace di
digerire due millenni di tradizioni per tradurre il proprio messaggio
alle nuove generazioni. Attaccandosi al potere trasformativo
dell'amore, dell'umiltà e alla fiducia smisurata verso un uomo
pensato libero dai lacci in cui si trova stretto dalla nascita.
Aveva incontrato il percorso della resurrezione mentre perlustrava la
zona dopo aver preso una strada in leggera salita verso il castello.
Si era trovato davanti la parola libertà. Vuoi per il caldo, per una
certa irrequietezza di fondo a accompagnarlo per tutto il giorno
sentiva di voler affrancarsi da quel percorso programmato chiuso
entro un recinto. Pieno di vuoto alla prima apertura era già fuori.
Solo dopo un lungo vagare tra la campagna arsa dal sole, sentieri a
salire tra rovi nutrienti aveva fatto ritorno dentro il recinto per
cercare la tappa successiva. La leggerezza. Poi tutte le altre fino
alla settima, la tenerezza. Dell'ottava neanche una traccia. Arrivato
oramai sul bordo della strada asfaltata aveva pensato a qualche
trucco. Come se l'ultima parola, la più importante, fosse da trovare
per caso da qualche parte. A pochi metri un gruppo di turisti
romagnoli utili per avere informazioni. Anche loro due anni fa si
erano fermati a quel punto. Non c'era altro. Non persuaso del tutto
fece ritorno verso la libreria. Nella speranza di trovare prima o poi
la soluzione. A indirizzarlo francesca, la ragazza al bar. Vai oltre
la strada. Come se per arrivarvi bisognasse fare un salto oltre le
proprie convinzioni. Un salto quantico capace di trasportarti in una
nuova dimensione. Non prima di essere resuscitato in un altro essere,
anzi in un altro, meglio nell'altro tout court. Tornò sui suoi
passi. Attraversò la strada come fosse sulla zattera di caronte per
raggiungere l'altra sponda. Le indicazioni della sua beatrice non
trovano ancora riscontro nella realtà. Il giuggiolo, il famigerato
riferimento da ricercare, sembrava più un miraggio. Percorse tutta
la staccionata fino al confine. Ancora niente. Come se quella parola
non fosse per lui. Non si perse d'animo. Risalito al bordo della
strada a partire da una freccia indicatrice ricostruì un altro
possibile cammino. Alla fine ecco la tanto agognata meta. Un cartello
con su scritto la parola amore. Cristo santo era poi tanto difficile?
Amore la parola magica dietro tutto quel fare. Quanto aveva percepito
in quel luogo. A partire dai muri, le cose, le persone incontrate.
Milena, francesca, marco, federica, tiziana. Tutte animate da quel
sentimento sottile. Senza però dimenticare le altre qualità
essenziali dall'umiltà alla fiducia, dalla libertà alla leggerezza,
dalla fedeltà al perdono, alla tenerezza. Come se mescolandole
alchemicamente si potesse produrre poi quell'effetto miracoloso. E si
miracoloso. Perché l'amore non è di questo mondo. O almeno ne è
solo una possibilità eventuale. Una conquista da ottenere dopo tanti
sforzi mettendo in gioco tutto se stessi. Senza risparmio. Accettando
innanzitutto di perdere quanto acquisito finora, per divenire leggeri
come l'etere. Per non essere più attaccati a niente. Aperti a tutto,
plasmabili come un vaso d'argilla. Solo allora si può morire per
rinascere a nuova vita. Non prima di essersi affidati “a tutto
quanto move”. Lo spirito d'amore. Quell'energia sottile a tenere il
mondo unito armonicamente. L'unica a essere in grado di trasformarti
nella coscienza, nelle sensazioni, nel corpo. Basta pronunciare le
parole magiche. Fiat. Così sia. Non prima di essere tornati bambini
ma con la consapevolezza di un adulto, la scaltrezza di un serpente.
Per una pienezza di vita conquistata passo dopo passo. Non senza aver
attraversato il deserto per inabissarsi e perdersi nell'oceano
infinito. Trovando il sole anche di notte. Quel luogo era un'oasi
d'amore, o almeno provava a esserlo con tutta la sincerità
possibile. Per questo era diventata una tappa fondamentale per quei
pellegrini assetati, oramai spogli di tutto. I cosiddetti poveri di
spirito.