venerdì 29 novembre 2013

Mary per sempre

Come ogni martedi su verso nord in autostop.
Ci provo ogni volta.
Trenta minuti fermo a torre sessanta.
Appena uscito di casa fino alla statale.
Ma la mattina i tanti lavoratori appena alzati sembra proprio non volerne sapere.
In testa solo il lavoro.
Arrivare puntuali.
Senza sbattimenti.
Così nessuno si ferma.
Oramai lo so, non ci faccio più caso.
Quasi una certezza.
Aspetto le otto per tornare indietro a prendere la macchina.
Direzione la stazione più vicina per guadagnare prima possibile il casello. 
Tanti i pensieri per la testa.
Lontani i tempi della leggerezza.
Vivere in campagna accompagnati.
Naturale avere i piedi ben piantati a terra.
Un peso sul groppone non indifferente.
Difficile rimanere spensierati.
Sarà anche la levataccia mattutina.
Oggi proprio non va.
Sarebbe bastato poco.
Un gesto in più.
E via nuove energie.
Ma a torre 58 c'è il deserto.
Puoi solo pedalare con le tue gambe.
Anche se sei senza benza.
Eppure qualcosa si muove.
La prima a caricarmi è mery.
Una signora romana trasferita a ravenna.
Fa la guardia giurata in un museo.
Per lei un anno basta per conoscere un uomo, sposarlo, farci un figlio.
Da poco la stessa storia.
Libera del passato, dei figli oramai grandi, un altro compagno. Conosciuto l'anno prima. Uno skipper con poche pretese. Un lupo di mare. Per stare bene gli basta una passeggiare lungo la spiaggia. Il resto non conta. Vive con quanto c'è. Molto poco non fa differenza. 
Dopo un anno l'ha sposato.
Ora vivono insieme.
Una nuova giovinezza.
Mi offre un caffè.
All'autogrill si fa avanti un giovane napoletano di trentuno anni. Sembra più vecchio. Ha le braccia tatuate. Da giovane rubava motorini. Mille euro al giorno il ricavato. Ma l'hanno beccato. Ora per la stessa cifra ci mette un mese. A quindici anni un figlio. Meglio vendere calzetti per strada. Il passato è passato e lui ha pagato.
Mery senza fiatare tira fuori cinque euro.
Il prezzo di tre calzetti.
Neanche contratta.
Poi me li offre.
Senza dire nulla li prendo.
Mi lascia a cesena nord a uno sputo dalla meta.
Ancora un passaggio e arrivo alla barriera sud di bologna.
Da lì solo pochi chilometri e sono a casa.
Una macchina targata perugia mi accoglie.
Dentro una strana coppia.
Per farmi spazio devono liberare una montagna di scartoffie, oggetti sparsi dappertutto. 
Lui fa il fantino.
Ma a colpirmi è la sua dama.
Capelli ossigenati biondissimi.
Come un personaggio lynciano.
Si chiama olivia.
Sguardo profondo.
Sempre sorridente.
Fa la pranoterapeuta.
Ne approfitto subito.
Ogni punto dolente viene vagliato dalle sue dita sensibili. 
Ne sa. 
Lo percepisco subito. 
Mi togli un gonfiore al malleolo dopo un atterraggio di fortuna di un ceppo di legno spaccato in due dall'ascia. Poi mi diagnstica uno spostamento vertebrale tra la quinta e la sesta cervicale. Mi da la terapia.
Ora tocca alle fragili ginocchia.
Le sue mani attirano la troppa energia.
Sento freddo.
Anche in questo caso la diagnosi precisa e la cura.
Mi sento coccolato.
Oggi è giorno di grazia.
Tocca a me prendere.
Non rifiuto.
Anche perché sono alle corde.
Una boccata di ossigeno.
Con olivia ci salutiamo in silenzio, a lungo, senza distogliere lo sguardo l'uno dell'altra. Un minuto e più intensissimo. Sempre con il sorriso e gli occhi lucidi di vita. Una boccata al cuore inattesa.
Difficile staccarsi da tanta energia positiva.
Ma il marito incalza.
Ei su scendi.
Ho un appuntamento.
Prendo lo zaino e via, direzione casa.
Marzia allertata è gia lì a aggiungere un posto a tavola.

Nessun commento:

Posta un commento