domenica 6 gennaio 2019

Beni comuni - 27 gennaio 2019 a Camere d'Aria

Secondo Ugo Mattei, nel libro “I beni comuni. Un manifesto”: nella cultura politica dell'illuminismo i beni comuni sono stati esclusi dal novero delle categorie politiche e giuridiche rispettabili e sono stati relegati a luoghi del pre-moderno, del selvaggio e del medievale tanto da chi è favorevole tanto da chi è contrario alla proprietà privata. Il COMUNE cessa di essere uno statuto epistemologico dei beni avente pari dignità rispetto al PUBBLICO o al PRIVATO.
La nostra realtà è costruita intorno a categorie del possibile che escludono i beni comuni proprio perché la loro privatizzazione continua e progressiva, a scapito della natura e degli altri esseri umani, è considerata un dato naturale non solo certo e irreversibile ma anche desiderabile. Restituire dignità politico culturale ai beni comuni significa fondare il discorso politico e giuridico su un'altra realtà, quella di un MONDO NATURA, che non possono appartenere a qualcuno soltanto ma che devono essere condivisi e accessibili a tutti. Significa concepire prima gli interessi comuni di tutti gli umani concepiti come un ECOSISTEMA DI RELAZIONI DI RECIPROCA DIPENDENZA e solo successivamente gli interessi individuali, poiché gli individui non sono neppure materialmente concepibili come monadi isolate. I beni comuni smascherano gli assunti irrealistici dell'individualismo Borghese.
Nel libro “Comune, oltre il privato e il pubblico”, sorprendentemente Toni Negri ci dice che per ridare dignità ontologica al Comune non si può prescindere da una nuova forma-di-vita fondata su due concetti profondamente interrelati tra loro che giocano un ruolo assai significativo:
povertà e amore.
L'amore è un concetto che offre un'altra prospettiva per comprendere la potenza e la vita nel comune. L'amore è un modo per sfuggire alla solitudine dell'individualismo ma non, come il discorso dominante ci suggerisce, per isolarci di nuovo nella vita “privata” in coppia in famiglia.
Amare significa entrare in contatto, ovvero in una relazione produttiva, cioè efficace-creativa all'interno di una dimensione olistica, universalistica del mondo visto come un sistema complesso emergente vivo plurilivellare non lineare. Più semplicemente sentirsi parte del tutto, partecipare del tutto. Ovvero percepirsi essere tutto in tutti e tutti nel tutto. Sapendo che ogni cosa interagisce e è connessa con le altre. Una volta si sarebbe parlato di dimensione cosmologica. Dove il micro si rispecchiava nel macro e viceversa. Dove i livelli più sottili e apparentemente immanifesti interagivano a doppio senso con quelli più manifesti.
L'altro termine è quello di povertà.
Sentirsi parte del tutto vuol dire superare l'idea che qualcosa possa essere separato dal tutto per un uso privato, occasionale, locale.
Nulla ci appartiene. Questa è la dimensione più autentica della realtà.
Il Comune è inappropriabile, sebbene se ne possa fare uso se guidati da una “Intelligenza generale” diffusa.
Secondo Agamben ne ”L'uso dei corpi” per Benjamin la vera giustizia “non ha nulla a che fare con la ripartizione dei beni secondo i bisogni degli individui perché la pretesa del soggetto al bene non si fonda sui bisogni ma sulla giustizia e come tale si rivolge non a un diritto di proprietà della persona ma a un diritto al bene del bene”. Insomma la giustizia viene presentata non come una virtù, ma come UNO STATO DEL MONDO, come la categoria etica che corrisponde non al dover essere, ma all'esistente come tale. Ed è in questo senso che essa può essere definita come uno sforzo di fare del mondo il bene supremo. Fare del mondo il bene supremo può soltanto significare esperirlo come assolutamente inappropriabile. In questo modo la POVERTÀ non si fonda su una decisione del soggetto ma corrisponde a UNO STATO DEL MONDO.
Non si tratta dunque di dover rinunciare a qualcosa. La dimensione dell'avere è solo un abbaglio. Qui l'uso del mondo e di sé stessi si presenta come la relazione a un inappropriabile, come la sola relazione possibile a quello stato supremo del mondo, in cui esso, in quanto giusto, non può essere in alcun modo appropriato. Al massimo si può incarnare una relazione di amore con esso. Così possiamo definire ora l'amore come l’uso di sé in quanto relazione con un inappropriabile. Ciò di cui facciamo esperienza nell’intimità è il nostro tenerci in relazione con una zona inappropriabile di non-conoscenza. Essa non si traduce in alcun modo in qualcosa che possiamo padroneggiare.
Comune non è mai una proprietà ma solo l'inappropriabile. La condivisione di questo inappropriabile è l’amore.
Il soggetto di tale nuova forma-di-vita è quello della moltitudine.
La moltitudine è un insieme di singolarità costituite dalla povertà e dall'amore nella riproduzione, conservazione, accudimento del comune. Non prima di essersi spogliate di tutte le figure storico-politiche del mondo. L'uomo senza più classi di Marx, secolarizzazione dell'uomo messianico nella tradizione ebraico cristiana. In chiave profana l’uomo sottrattosi alla conta e alla distribuzione del potere operato dai dispositivi di soggettivazione politica. La pietra di inciampo irriducibile lì a denunciare la falsità insita nel profondo della politica dei diritti e delle classi come elemento sottaciuto di cattura e al contempo di esclusione di una parte.

mercoledì 21 febbraio 2018

Miss Sloane

Annichilire, annientare.
Ovvero ridurre al nulla.
La paura più grande.
Al punto da tenerti incollato alla poltrona a qualunque costo oppure a accettare l'ennesima sfida tra lobbisti. Così giusto per avere occupata la propria vita. Per non vedere cosa si nasconde dietro quella maschera. Il prosopon da cui deriva persona e personalità. La foglia di fico da indossare per celare quel vuoto insopportabile da sempre dietro l'angolo pronto a tirarti un agguato al momento opportuno. Una vera lobbista sa calare il proprio asso quando tutti gli altri hanno scoperto le carte. Dopo una continua escalation di successi la sfida più impegnativa. L'ultima. Per non essere sorpresa. La sfida con la vita e il suo potere di annichilire per trasformare in altro. Non accettarla e lasciarsi travolgere dal flusso vitale, dal dinamismo esistenziale incancrenendosi in un ruolo, la vera sconfitta. Smettere di resisterle, abbandonarvisi piuttosto, confondendovisi, l'unica soluzione. Anche a costo di tornare a essere nessuno. Via tutte le maschere. A questo livello non è più sufficiente vincere l'agone dialettico. Non importa più essere vincitore o perdente. Comunque si riproduce coattivamente quella logica perversa. È tutto il sistema a essere marcio. Fin nelle strutture generative più profonde. Non è nemmeno sufficiente mascherarsi dietro il paravento del bene contro il male. Anch'esso strumentale a tale logica. Alla fine non conta più da quale parte stai. Nel gioco drammatico della fuga dal ni-ente conta solo vincere per continuare a essere qualcuno. Per sfuggire a quella normalità tutto azzerante.
Far implodere tutto.
Arrestare il meccanismo non prima di averlo messo a nudo.
Lasciandosi poi crollare addosso tutto il tempio con i filistei.
Questa l'ultima sfida.
La più grande.
Per non esserne più connivente.
Per tornare a dormire la notte.
Per ridare a quel miss un valore più autentico.
Alla fine cosa rimane.
Cosa si cela dietro quella normalità da tutti evitata come la peste.
Ma prima bisogna disintossicarsi fin nel profondo.
Questa volta la vittoria ha un sapore amaro.
Lo sguardo fisso dopo il terremoto, non lascia trapelare nessun entusiasmo. Ad attendere Sloane c'è l'arresto, la pena certa da scontare. La via stretta dove purificarsi prima di conquistare la libertà.
Anche in questo caso nulla di scontato.
Cosa la attende là fuori una volta uscita?
Non basta più essere una mossa avanti al proprio avversario se questo si annulla per diventare imprendibile, indefinibile, inconsistente. Lo smarrimento il costo di vivere nell'incertezza della banalità quotidiana. Di fronte alla vita nuda. Da saper prendere così. Come viene.
Una volta usciti cosa fare?
Da dove ricominciare?
Dove andare?
Ecco salire lungo la schiena una certa vertigine.
Fino a paralizzarti.
Lo sguardo fisso verso l'ignoto.
Il volto senza più riflettere nulla se non quello smarrimento.
Ecce Sloane.

venerdì 19 maggio 2017

Rumore

Cos'è il rumore.
La domanda di un amico un tempo infinito fa.
Difficile da rispondere.
Poca la voglia di filosofeggiarci sopra.
Certo i Soundgarden e company di rumore ne hanno fatto.
Allora con le chitarre, nei dischi, nei live, nella vita ordinaria.
Comunque imprendibili allora come oggi.
Incapaci di sopportare una maschera, di stare pacificati nei panni di quanti li vorrebbero chiudere entro una storia, per dare un senso, uno scopo per vivere.
Rumore puro.
Quanto di non identificabile, riconoscibile.
A qualificarlo un percorso.
A significarlo l'ultimo atto.
Non per donargli un senso ma per aprirlo a tutti e a nessuno.
Ultimo gesto cristallino.
Così cristallino da lasciare senza parole.
Inenarrabile, imprendibile, non catturabile.
Rumore puro.
Espressione di liberazione totale.
Dopo solo il silenzio.
Di parole giranti a vuoto.
Davanti a tale muro.
Allora di chitarre avvolgenti.
Quanto il laccio oggi di una corda al collo..

sabato 7 gennaio 2017

ming

Essere abbandonati da sempre.
Un destino comune
Il copione da mettere in scena
Ognuno a modo suo
Per venirne a capo e risolverlo
O delegarlo alle generazioni a venire
Lasciando alle spalle il testimone
Come in una staffetta mozzafiato
Ai posteri lo sforzo di raccoglierlo
Abbandonandosi al proprio mandato
Per compiere una volta per tutte il destino dell'umanità
Tornare a casa
Non prima di aver sigillato le porte aperte
Dopo averle attraversate tutte
Spogli di ogni veste
Contro il tempo
Fino al collasso
Poi solo silenzio e pace
Come nulla fosse stato
Come nulla fosse

venerdì 26 agosto 2016

Il cammino di francesco. La via dell'altissima povertà

La verna
In una parte dell'Italia centrale compresa tra la toscana, l'umbria, le marche, l'alto lazio c'è una regione detta santa. Partendo da nord, nel casentino si può trovare la foresta santa. Appena più giù spostandosi verso l'umbria c'è la valle santa. Lo stesso vale per la piana in provincia di rieti, il centro d'italia. Sono i luoghi della rinascita spirituale nel medioevo quando intere generazioni si erano fatte carico di rinnovare la chiesa tornando alle origini, trovando nella figura di cristo un modello da seguire alla lettera. San benedetto, san domenico, san francesco, santa rita da cascia, angela da foligno. Si potrebbe continuare ancora per molto. In ogni caso si farebbe torto a pensare di voler ridurre tale fenomeno solo a queste immense figure. Sebbene grazie al loro sforzo nulla fu più come prima, esse rappresentavano solo la cuspide di una volontà di rinnovamento sentito dai più. Un'esigenza spirituale così forte da spingere centinaia, migliaia di persone di ogni stato sociale, genere a trasformare radicalmente la propria esistenza per incarnare una vita autentica avente cristo come modello, la sua passione la sequela di eventi da meditare, ancor prima rivivere fino in fondo. A partire da tale esempio ecco nascere il richiamo alla semplicità, all'umiltà. Le basi per abbandonare il “secolo” in nome di un'”altissima povertà”. In fondo un po' quanto sta succedendo anche ai nostri giorni. Un tempo di decadenza, di tramonto dei valori occidentali dove a contare sembrerebbe soltanto una visione economica di un'esistenza improntata al consumismo sfrenato. Solo una volta spogli di tutto si poteva cominciare il cammino per fare spazio allo spirito, per mettersi nelle sue mani così da poterlo manifestare al massimo grado. Certo francesco è stato il più famoso non senza ragione. Il primo santo stigmatizzato, il motore di un rinnovamento radicale all'interno della chiesa non senza idiosincrasie. Ancor prima ha avuto il coraggio di rompere con le nuove abitudini della classe mercantile appena nascente per una “forma di vita” dove a contare era l'abbandono totale alla provvidenza. Con lo stesso slancio di bambini entusiastici verso la loro madre amorevole. Non senza mettere in atto pratiche spirituali severe in parte mutuate dalle precedenti regole monastiche. Ecco allora l'esigenza di una vita contemplativo-ascetica da effettuare in completo isolamento in una grotta, in luoghi impervi, ai piedi di un precipizio, in un bosco selvaggio per cercare di immedesimarsi attraverso la preghiera e la meditazione alla figura di cristo. Tra digiuni, penitenze, silenzi forzati, con in dosso solo un saio spartano a forma di croce, avendo per letto una nuda pietra. Allo stesso tempo la trasformazione interiore conseguente li spingeva a uscire da quella vita separata per aprirsi al mondo, per cercare cristo in tutte quelle figure marginali, reiette dalla società. I lebbrosi, i poveri, gli incolti portando la buona novella a tutte le creature. Tali immense prove diedero i loro frutti vividi ancora oggi in quest'epoca abbandonata allo spirito della tecnica, alla globalizzazione compiuta. Un'epoca in continua trasformazione che ha fatto della crisi il suo motore, capace di divorare nichilisticamente ogni modello passato. Eppure oggi come allora tale sete di purezza non si è affatto spenta. Tutt'altro. Nonostante secoli di riduzionismo materialistico, la via dello spirito o meglio di una materia rispiritualizzata è ancora viva. Ecco allora una nuova apertura del mondo occidentale verso quelle tradizioni spirituali ancora autentiche, non inquinate dalla secolarizzazione di questi ultimi secoli. Ovvero quel movimento storico che ha avuto la pretesa di ridurre l'esistenza a questa dimensione mondana da portare al massimo grado di espressione. Niente più vita aperta verso l'infinito, né vocata all'eternità. Tutto andava riportato alla misura del presente. Prendi oggi quanto ti è concesso perché “del diman non v'è certezza”. “Carpe diem”, “occasio” i termini più in voga. Non tutti si sono lasciati accecare da tali promesse. Insoddisfatti di questa forma di vita profanizzata, profanata si sono rivolti a quelle tradizioni antiche ancora resistenti. Come lo sciamanesimo dei nativi indiani o degli indigeni della foresta amazzonica. Oppure il buddismo, l'induismo in oriente dove ancora risplende forte il fuoco della devozione dei monaci solitari sui monti del tibet. Dal dopoguerra, dai beatneak fino agli hippy, ai successivi contraddittori movimenti new age si sono rivolti a loro come ultima speranza per arrestare il baratro scavato con le sue stesse mani dall'homo faber, tecnologicus, oeconomicus. Nonostante secoli di desertificazione, reimenizzazione della memoria spirituale passata, al punto da aver smarrito le pratiche, i luoghi, la via per una nuova connessione diretta con lo spirito. Quei movimenti pionieristici oggi sono diventati di massa. Non di frequente una moltitudine spesso confusa, magari utilizzando il tempo della vacanza, si è spinta nella ricerca di non si sa più bene cosa. Un po' seguendo le mode, o quelle storie ancora capaci di attivare l'immaginazione, prima di tumulare ancora tutto nella routine quotidiana tra fabbrica, ufficio e vita domestica, tra le fila di un supermercato, il chiacchiericcio inconsistente dell'aperitivo, nei corsi di yoga “alla californiana”, momenti di svago per antonomasia necessari per rilassare e scaricare le tensioni accumulate in tanto fare vuoto. Sufficienti per tirare a campare alla giornata, a soddisfare le esigenze consumistiche di desideri indotti in maniera subliminare.
Giunta l'estate, spesso senza sapere bene perché si parte. Complice la scusa della buona salute ci si incammina in quei sentieri una volta percorsi a piedi nudi da zelanti pellegrini. Zaino in spalla, muniti di scarpe, vestiti, sacchi a pelo ipertecnologici predisposti a rispondere al meglio alle condizioni di vita più estreme, in nome di una comodità da salvaguardare a ogni costo. Affidati passo dopo passo a guide dettagliate pronte a fissare le tappe, il chilometraggio, dove dormire, mangiare. In questo modo non ci si sente soli. Soprattutto non si corre il rischio di perdersi o di fare incontri imprevisti. Non sempre però tutto fila liscio. Impossibile gestire tutte le variabili. Anche perché a giocarci brutti scherzi è lo spirito stesso. Quell'ospite imprevisto pronto a rimescolare le carte in gioco, a farci inciampare il momento opportuno. Anche per non mancare di rispondere a quella domanda di infinito solitamente messa a tacere nel totale assorbimento del fare quotidiano. Ravvivando così quella fiammella quasi del tutto soffocata, il vero motore di tutto.
Carol era partita da firenze. Voleva ripercorrere il cammino di francesco. Da la verna a assisi. Tempo una settimana. Giusto per tornare poi a casa e imbarcarsi l'indomani per una vacanza già organizzata oltre confine. Un'altra settimana prima di tornare alla vita di tutti i giorni tra lavoro, amici, la famiglia. Ma non aveva fatto i conti con l'oste. A la verna la sorpresa di trovarsi senza portafoglio e documento d'identità. Esperienza finita ancora prima di cominciare. Eppure qualcosa la spingeva a non demordere, tanta la voglia di imbracciare lo zaino in spalla. Ma siamo nel luogo francescano per antonomasia, dove prima di morire, sul suo corpo si sono manifestate le stigmate. Lì come a greccio o all'eremo delle carceri di assisi assieme ai suoi frati andava a meditare, a fare ritiro spirituale per stare più vicino a cristo. A piedi nudi, spogli di tutto, immersi nella foresta vergine, tra rocce incavate, tormentate dalla durezza della natura. Il luogo ideale per fare ascesi, non senza l'aiuto di digiuni, silenzi interiori, dando la possibilità allo spirito di esprimersi con visioni, miracoli. Non prima di aver vinto se stessi, i desideri mutevoli del corpo. In quei luoghi allora non c'era nulla di più. Niente chiesette, alloggi per i viandanti, la mensa, il negozietto dei souvenir. Niente turisti, al limite qualche animale selvaggio, una moltitudine di uccelli a cantare la gloria del signore. E poi tanta foresta, grotte impervie, al massimo una piccola cappellina in pietra nuda per il rito comune dell'eucarestia, il carburante necessario prima di sprofondare dentro sé stessi, abbandonandosi al lato attivo dell'infinito. Quella forza destituente capace di interagire con i livelli più sottili per rigeneranti in modo nuovo, trasfigurandoti nel segno dell'amore. Fino a farti divenire un docile strumento nelle sue mani, per esprimere la potenza infinità d'amore, per partecipare a co-realizzare la sua opera.
Nella saletta messa a disposizione dai frati di la verna per i novelli viandanti spirituali, tutti stavano seduti rigorosamente nel proprio letto scelto a caso. La maggior parte era in procinto di cominciare il cammino l'indomani diretti verso assisi. Per non disturbare si parlava a bassa voce. Tra loro c'era anche carol. Per trovare conforto e comprensione, cercava di condividere sottovoce la propria storia, il proprio rammarico. Anche perché tanta era l'intenzione di continuare. Che fare? Tornare indietro per rifornirsi e poi ripartire? Niente paura. Lo spirito tutto predispone per il meglio. Utilizzando a caso i presenti, le parla, le offre una possibilità. Sta a lei saperla cogliere al volo. Abbandonandosi tra le sue braccia. Senza più “identità”, ridotta in un momentaneo stato di povertà, potrebbe scegliere di continuare comunque se seguisse la via già battuta da tanti frati a partire da francesco. Affidandosi alla provvidenza. Per ricevere ogni giorno quanto basta per andare avanti. Ringraziando lo spirito sia nel giorno della pancia piena sia in quella vuota. Tra i presenti qualcuno può farle un piccolo prestito. La metà di quanto previsto. Poco male. Va bene lo stesso. Il tempo di una telefonata. Poi la decisione di non fermarsi. Per il resto si vedrà lungo il cammino. Ecco allora aprirsi speranze, possibilità inattese, rompere abitudini consolidate. Mattone dopo mattone si sgretola il muro davanti. Una nuova luce comincia a filtrare. Qualcosa si insinua dentro come un germe sottile. Nulla sembra più come prima. Anche se non si conosce ancora la misura di quanto sta accadendo. Finito il viaggio ci sarà poi il tempo per valutare l'opera dello spirito, sempre non ci si lasci avvolgere dalle tenebre di un ottuso presente. Dopo sette giorni fantastici, dove la vita riprende a fluire liberamente fuoriuscendo dai stretti canali dove era stata relegata, ecco finalmente la meta finale, assisi. Un giorno ancora per avere il tempo di assaporare pienamente quanto vissuto, grazie anche all'ausilio della memoria, per prolungare ancora quegli attimi magici, per riviverli ancora una volta. L'indomani non ci sarà più tempo. Altri programmi già fissati da tempo aspettano di essere realizzati.

La follia dell'amore
Appena partito già si trovava con una manciata di denari in tasca. Era arrivato in bici a la verna verso il tramonto. Da qualche tempo aveva preso a frequentare quel luogo magico. Come fosse attirato da una calamita. Vuoi per il bosco secolare, per la vertigine di meditare ai piedi dello strapiombo. In fondo gli stessi condivisibili motivi di quanti prima di lui lo avevano preceduto. A partire da francesco, antonio, frate leone.
Di giorno era un crogiolo di persone attirate dalla stessa forza sottile. Molti erano solo turisti di passaggio, scolaresche. Non mancavano tanti pellegrini dell'ultima ora, emuli di quelli di certo più famosi. Nonostante le tante scritte di stare in silenzio in ogni luogo sia dentro l'eremo che fuori era un vociare continuo. Nella cappella dove francesco aveva preso le stimmate, nella piazza antistante la chiesa principale, nel bosco. Come se tutte quelle persone fossero preda di una pulsione irrefrenabile ad esternare a briglia sciolta ogni pensiero. Difficile riuscire a sottrarvisi. Lontano ricordo quella tranquillità sottile cercata dai primi frequentatori di quel luogo ameno. Solo verso sera, dopo la messa, quelle voci pian piano si acquietavano. Certo facilitate dall'atmosfera sublime del tramonto sulle montagne all'orizzonte. Ma anche perché alle sette e trenta era l'ora della cena. E la maggior parte si ritirava nelle sale interne per mangiare o per coricarsi a letto vinte dalla stanchezza. Allora in giro restavano in pochi. Quello era il momento migliore per godere appieno di quei luoghi. Si poteva stare soli con sé stessi, magari seduti sulle scale della piazza o appoggiati al muretto di recinzione della piazza, riscaldati dagli ultimi raggi di sole. Oppure si aveva l'opportunità di fraternizzare intimamente con i pochi rimasti. Ad esempio marco, poggiato a una parete della cappellina sulla piazza, del tutto preso a fermare i pensieri su di un tablet. Al contrario degli altri aveva deciso di non cenare per rispettare la pratica vipasana. Ovvero mangiare solo a colazione e a pranzo non oltre le dodici, mettendo radicalmente in discussioni le “normali” abitudini condivise. In tali pratiche aveva trovato la sua dimensione provando anche un certo piacere nel riuscire a disciplinare, a mettere volontariamente a regime il proprio corpo. Per sondarne i limiti, scoprirne le potenzialità remote. Con l'oscurità a fare capolino poteva capitare di condividere la cena frugale con il vicino. Che so una gentile signora romana emigrata tempo fa a francoforte ora desiderosa di vivere fino in fondo la spiritualità francescana trasudante da ogni angolo di quel luogo arcano. Al punto di fermarsi in quelle zone per un anno intero, compreso il rigido, piovoso inverno solitamente evitato dai pellegrini. Era stata lei a fargli conoscere per via provvidenziale un interessante testo su francesco dal semplice titolo “francesco d'assisi” di vauchez edito in francia nel 2009. Un lavoro esaustivo utile per capire a fondo la possibile storia di francesco e del suo movimento nei secoli, ma anche per operare una eventuale traduzione per i nostri giorni di quei concetti cardine del suo pensiero, ancor prima della sua esperienza totalmente attuali. A partire dall'”altissima povertà” come forma di vita esemplare da condividere con i propri fratelli prendendosene amorevolmente cura. Abbracciando la mancanza assoluta, lo “spoliamento chenotico”, come via per aprirsi a cristo, alla sua potenza trasformativa. Seguendo l'insegnamento della sua passione. Povertà e amore fraterno. I due pilastri del francescanesimo. Confidando che non si è mai soli. Solo donando tutto sé stessi ci si apre agli imponderabili piani dello spirito che tutto provvede. Per questo non attaccarsi a nulla. Tanto si è solo pellegrini di passaggio. Né pensare di mettere radici da qualche parte. No loro i frati si spostavano di continuo per testimoniare l'unica cosa importante, il cristo non tanto a parole, ma con le opere, il fare esemplare. Così non si fermavano nello stesso posto mai più di una notte, viaggiando non meno di due, per donarsi al proprio fratello, da amare prima di sé stessi. Secondo la “legge” dell'amore. Per cadere tutti nelle braccia provvidenti del padre, meglio della madre accudente, come tanti bambini bisognosi di tutto. Non c'è molto altro da fare per cambiare radicalmente la propria vita se non affidarsi. Ma prima bisogna arrestare la propria corsa impazzita, sospendere quelle pratiche stordenti, ingabbianti la coscienza per poi lasciare agire liberamente la grazia infinita dello spirito. Per scoprire di essere un sol corpo. Così è possibile trasformarsi al momento opportuno in un docile strumento nelle sue mani. Per manifestare in tutta la sua potenza la sua follia d'amore eterno. Senza se, senza ma.
Oltre la sera, anche la mattina presto, quando fuori era ancora buio e in giro non c'era più nessuno, era un momento magico. Appoggiato alla porta chiusa della chiesa vedeva le ombre delle piante mosse dal vento. Nel momento più buio della notte anche per il suo sibilo sinistro si insinuavano dentro sensazioni inquietanti. Poi di colpo a rompere il silenzio della notte un colpo secco sulla sbarra a bloccare la porta. A seguire il cigolio lento delle pesanti ante ruotare verso l'interno. Per ripiombare nel giro di pochi secondi nel silenzio più pesto. Soli i passi via via lontani di una grossa ombra ondeggiante. Rotti i sigilli, d'incanto ecco spalancarsi magicamente uno spazio oscuro. Come quando si è davanti a un luogo antico abbandonato da secoli con ancora il pulviscolo filtrato dalla prima luce dell'alba imminente. Nonostante l'orario di apertura al pubblico fosse per le sei e trenta, già un'ora prima un frate volenteroso era lì per permettere l'entrata nella casa del signore. Non un frate qualunque, ma un omaccione anziano dalle proporzioni importanti, ciondolante ogni passo come un pendolo. Come avesse già tutto programmato, volta le spalle all'uscita e inerzialmente va a sprofondare lentamente dentro uno dei confessionali lungo la parete laterale della navata. A attestarne la presenza solo il leggero rantolo del respiro affannoso. Nessuno a fare la fila per la confessione, ma non importava. Valeva solo l'essere sempre disponibili. Non si sa mai. Nel buio della chiesa, dopo un leggero attimo di esitazione, si accomodò nella panca più vicina alla porta aperta, sufficiente a far entrare la luce quanto basta per lasciare emergere le ombre da tanto nero. Pochi istanti per affondare nel proprio silenzio interiore. Quello era il momento più bello. Con gli occhi chiusi, immobile come una statua, totalmente assorbito in se stesso. Il tempo allora si fermava come per magia. Dopo un lungo istante indefinibile il rumore di un interruttore a accendere le luci. Riportato a forza nella realtà era arrivata l'ora delle lodi mattutine. Aperti gli occhi si scopriva non più solo. Qua e là altre suore e frati mattinieri pronti a intonare il canto di lode a dio. Anche il guardiano dopo aver adempiuto al suo dovere si fermò in ginocchio al centro della chiesa a masticare ave maria.
La sera prima si era trovato a fare la conoscenza di carol, a condividere la sua esperienza. In preda a quello spirito incarnato dai frati non aveva esitato a soccorrere la giovane pellegrina. Tanto aveva con se la carta prepagata delle poste se fosse stato necessario. Venti euro potevano bastare almeno fino alla prossima meta imminente. Nel fatto accaduto a carol aveva intravisto anche per lui la possibilità di fare l'esperienza della privazione e dell'abbandono. Alla fine sempre più convinto sentiva di doversi affidare completamente alla provvidenza, alla generosità del prossimo. Ringraziando carol per l'opportunità offertagli. E così è stato. Saper lasciare tutto prima di ricevere con abbondanza. La solita legge dell'amore.
Mosso da un entusiasmo e da una decisione come non mai trovava lungo la strada la frutta di stagione quando aveva fame. Ma era nelle case dove era ospitato, in particolare dai suoi amici, a sentire con maggior forza quell'afflato dello spirito. Accolto amorevolmente riceveva quanto aveva bisogno in abbondanza ovunque andasse. A viterbo da flavia, ad albano da alberto e elisabetta. Alla fine arrivato a campobasso aveva ancora quasi del tutto la somma intera. Là si sarebbe fermato per un poco almeno fino a ferragosto. Quel luogo era diventato da tempo un po' la sua seconda casa da quando con i suoi amici aveva costruito il forno a legna per il pane. Come se qualcosa di misterioso lo avesse legato a quella terra selvaggia lasciata fuori dal “progresso”.

Greccio
Era tempo di tornare.
Quando era partito non aveva stilato un programma preciso. Non era nella sua natura. Il percorso si sarebbe chiarito strada facendo. Certo la verna, l'unica meta prefissata, lo aveva cambiato assai. Lo spirito francescano si era fatto in lui più forte. Soprattutto aveva recepito profondamente il messaggio dell'amore fraterno necessario per vivere nel modo migliore l'altissima povertà. Da soli non si va da nessuna parte. Troppo elevato il prezzo da pagare.
Fino allora aveva fatto un cammino di liberazione improntato più sulla ricerca dell'autonomizzazione autarchica per provare a rompere i legami con i dispositivi soggioganti della società, della famiglia, delle amicizie omologate.
A la verna aveva capito che ci si può emancipare solo amando profondamente l'altro. Al di là di ogni logica dualistica. Riconoscendo in tutte le cose una manifestazione dello spirito. Si è tutto in tutti. Si partecipa di tutto. L'altro sono io e viceversa. Una massima già incontrata. Forse presa da rimbaud o da ricoeur. A memoria l'“autre comme soi-meme”. Da quando era giunto a questa conclusione, aveva smesso di cercare luoghi appartati dove ritirarsi. Come se di colpo avesse abbattuto una barriera, gli riusciva molto più facile conoscere nuove persone. Senza bisogno di fare alcuno sforzo. Spesso erano loro a farsi avanti spontaneamente. Ora meditava dove capitava, dove sentiva di fermarsi, senza preoccuparsi se al suo fianco stava un signore al cellulare a parlare forte incurante dell'intimità dei luoghi. Tra dentro e fuori non c'era più contraddizione. Riprendendo uno slogan buddista era come se il nirvana, la meta finale della meditazione, venisse a coincidere con il samsara. Non c'era più distinzione. Tutto è spirito. Questa la nuova consapevolezza raggiunta.
No, il viaggio non era terminato.
C'era ancora tempo per mettersi in gioco.
In fondo era solo a metà del percorso.
Per evitare le rotte più battute, in particolare quelle strade a alto scorrimento, tutte uguali, contenute da guardrail infiniti, dove per chilometri non si incontra se non autogrill o bar anonimi, decise di passare per le montagne per seguire quelle vie pressoché abbandonate. Intanto aveva pure individuato la meta per continuare il cammino francescano. Greccio. Una delle quattro dimore francescani situate nella valle santa di rieti. A averlo convinto una foto vista prima di partire. Un eremo in mezzo alla natura, per di più affacciato su una roccia a strapiombo. Oramai aveva cominciato a capire bene lo spirito ascetico di francesco. I luoghi da lui preferiti per ritirarsi. E quello sembrava il posto ideale per fermarsi una notte. Anche perché c'era una foresteria per il pellegrino abbastanza spartana. Dopo aver trovato il numero di telefono si era accordato con luciano, un frate del convento, per assicurarsi un letto. La notte prima si era fermato a popoli, a pochi passi da sulmona, lungo la strada per l'aquila. Da quando era ripartito e aveva dato un ulteriore senso al cammino, una mano invisibile sembrava guidarlo. Senza l'ausilio di cartine o mappe stra dettagliate preferiva affidarsi ai passanti incontrati lungo la strada. In particolare quelli del posto. In questo modo gli era permesso conoscere strade provinciali periferiche pressoché disabitate, fuori da ogni percorso programmabile. Anche perché di solito nelle mappe comuni o su internet a essere selezionate erano le vie fatte a posta per le auto. Certo spesso la strada si allungava un po'. Però scegliendo i vecchi sentieri solitamente progettati dal genio costruttivo dei romani si evitavano gallerie pericolose, salite impossibili. Loro privilegiavano le vie più semplici, di preferenza affiancando il letto di un fiume. Così le strade attraversavano pianure verdeggianti incastonate tra boschi di faggio, lerici, quercie. Spesso l'asfalto anche per lo stato di abbandono cronico era pieno di buche. Tante volte il rimedio era peggiore del danno. Certe strade le aveva soprannominate a patchwork o a mosaico. Quando era un susseguirsi di toppe su toppe per coprire l'asfalto danneggiato. Non di rado, anche per lo stato avanzato di abbandono, la carreggiata era invasa da frasche selvatiche. Anche questo poteva avere i suoi vantaggi. Senza troppi sforzi poteva trovare more, fichi, rusticani. La manna necessaria per andare avanti. Quelle erano anche le strade preferite dai ciclisti locali sempre pronti a indicargli il cammino, a sostenerlo. Passo dopo passo grazie a tutti i consigli ricevuti si costruiva la mappa giusta, così riusciva a evitare le strade più difficili. “Là c'è una salita durissima puoi aggirarla se passi da quella parte”. “Per evitare le gallerie prendi la vecchia strada napoleonica”. Così non si sentiva mai solo, al momento del bisogno c'era sempre qualcuno a dargli la dritta giusta. A volte anche gli imprevisti diventavano l'occasione per segnalargli qualcosa. Tutta la realtà intorno sembrava parlasse con lui. Come a popoli. La sera era ormai prossima e non aveva ancora deciso dove fermarsi per trovare un posto per dormire. Il sole era ancora alto. Nonostante la stanchezza cominciasse a fare capolino c'era ancora il tempo per avvantaggiarsi per il giorno dopo. In una curva leggermente in salita mentre stava cambiando rapporto scende la catena. Inevitabile l'arresto. Per fortuna vicino a una fontana davanti a una croce in cemento. In lontananza dei rumori di voci. Alzò lo sguardo scorgendo sullo sfondo una processione religiosa popolare con tanto di santo in spalla. Da buon pellegrino decise di partecipare anche lui. Era la festa di san rocco portato in giro per le vie della città con al seguito un manipolo di fedeli a recitare il rosario. Pochi i giovani, per lo più anziane devote, qualche curioso. A contornare il cammino gli abitanti del posto a segnarsi di croci al passaggio del santo. Il tutto avveniva con un tono abbastanza dimesso. Specie se ci si allontanava dalla testa della processione. Allora non era infrequente sentire soprapporsi alle avo maria i discorsi profani di vecchie comari a braccetto incapaci di mantenere la fila ordinata. Nel frattempo il sole stava per scomparire all'orizzonte. A breve sarebbe stato buio. Forse era il momento di fermarsi. Alla fine del tragitto davanti alla chiesa del santo, in veste di pellegrino accreditato, aveva provato a chiedere al parroco ospitalità. Da poco avevano predisposto due posti per i viandanti spirituali. Ma quella sera niente da fare. Tutto pieno. Al massimo avrebbe potuto utilizzare il bagno per rinfrescarsi. Decise di fermarsi in piazza anche perché aveva notato una serie di palchi in legno, il luogo ideale per srotolare il proprio sacco a pelo per la notte. Ma non aveva fatto i conti con le esigenze estive del piccolo paese. In concomitanza con la festa del santo quella sera c'era un concerto di liscio. A esibirsi un gruppo direttamente dalla romagna a quanto pare assai conosciuto. Calato il sole la città si era animata oltre ogni previsione. Ogni via, bar, pizzeria si erano riempiti di gente di tutte le età. Ovviamente l'attrazione del giorno era nella piazza centrale. Alle dieci e trenta il via alle danze. Ecco l'evento capace di accendere gli animi fino a notte fonde. Altro che processione religiosa. Da vere star i musicisti, la giovane cantante al seguito riescono a tenere botta fino a tardi, quando terminato il concerto scendono dal palco per raggiungere i loro fan per gli autografi e i complimenti dovuti. Di dormire neanche a parlarne. Troppo alti i volumi, la voce onnipervasiva del frontman a ripetere con enfasi il nome della cantante come fosse scesa dal cielo la madonna. Che ci vuoi fare. Così va la vita. All'indomani presto via in sella verso greccio. Senza perdere neanche un minuto in più.
Una cosa è sicura. A accomunare i luoghi francescani la salita irta non meno del quindici per cento, la roccia a picco forata da tante piccole grotte dove poter soggiornare. Così dopo tre chilometri e mezzo di ascesa durissima ecco finalmente il monastero. A colpirlo nelle insegne a indicare il nome del paese, il gemellaggio con la città di betlemme. Pochi istanti per svelare l'arcano. Quello è il posto dove francesco giullare di dio ha inscenato per la prima volta il presepe. Ovvero la rappresentazione della natività di gesù. Dando l'avvio a una tradizione popolare ancora assai viva. Stupefacente.
Portata la bici nella foresteria fuori del convento, deposti i pochi bagagli sul letto, c'era giusto il tempo per salire qualche istante nella grotta del presepe prima della chiusura serale.
A quell'ora poca gente.
Meno famoso di la verna e di assisi, qui tutto è più a misura d'uomo. Anche i frati sono più rilassati e disponibili.
Sul piazzale antistante la chiesa nuova solo qualche famiglia di passaggio oltre un frate pellegrino con un giovane al seguito.
Il tempo stringe, nella grotta è già tempo di vespri. Luciano, qualche altro frate del convento a celebrare le lodi al signore prima di ritirarsi a letto, non prima del lauto pasto.
Terminate le preghiere della sera, pian piano la cappella si svuota. A rimanere solo in tre. Il frate, il giovane amico, più il ciclista appena arrivato. Il clima è meno formale rispetto gli altri centri francescani più noti. A giovarne una certa intimità. Il frate e il suo accompagnatore sono diretti ad assisi. Per loro la possibilità di celebrare una messa privata a porte chiuse. Data la situazione viene coinvolto anche il terzo pellegrino provvidenzialmente lì di passaggio. Il frate si ritira per indossare i paramenti da officiante, il ragazzo al suo fianco si procura una chitarra per accompagnare i canti di estrazione neocatecuminale. Vengono lette le letture del giorno, il vangelo, un breve commento incentrato sulla natività come opportunità di rinascita dello spirito assopito, poi il momento della comunione. Per parteciparvi occorre rispettare gli altri sacramenti, in particolare quello della confessione per preparare la propria anima all'incontro con il corpo di cristo. Da tempo non partecipava a quel rituale. Ma quel giorno sentiva essere diverso. Anche per il clima particolarmente caloroso creatosi, la situazione coinvolgente. Decise di far parte dei commensali. A patto di confessarsi subito dopo. Così fece. Dopo la celebrazione, come convenuto, chiese al frate di procedere. Usciti dalla grotta, seduti su di una panca a ridosso del precipizio con il cielo stellato a fare da spettatore, iniziarono la confessione conclusa con tanto di imposizione delle mani. In un clima estremamente familiare, accogliente. Dopo l'atto ufficiale i due continuarono a parlare amichevolmente, raccontandosi l'uno a l'altro. Con meraviglia scoprirono di essere partiti entrambi da campobasso. Di più. giancarlo, questo il nome del frate, era stato per anni il parroco della diocesi dove era stato ospitato. Conosceva pure i nonni del suo amico, dei fedeli praticanti. Rimasero sorpresi. Ancora un tiro dello spirito così da farli interagire strumentalmente nel modo più armonioso possibile. Quasi avessero bisogno l'uno dell'altro per confrontarsi, per crescere ancora. La provvidenza lungo il cammino a disposizione di chi si abbandona con fede. Parlarono con fervore di francesco, dell'amore cristiano, di nichilismo. Anche il cognome del ciclista sembrava messo lì a posta, facendo il paio al nome dell'arcangelo michele a cui era assai devoto francesco. Sembrava come se lo spirito, per manifestarsi, prendesse lungo il cammino quanto disponibile per assemblare creativamente concatenazioni di nomi, situazioni, persone, storie, per impartire insegnamenti amorevoli. A una sola condizione. Accettare di essere aperti a diventare uno strumento tra le sue mani. Intrecciare narrazioni inimmaginabili, aprire scenari possibili a volerlo era il modo per farsi conoscere, per dispiegare quel folle progetto provvidenziale. Alla fine i due si abbracciarono fraternamente proponendosi di rivedersi ancora. Il frate prima di andare si preoccupò per la cena del nuovo amico. Niente paura, ad aspettarlo pane, ceci, pomodori e carrube. Nella foresteria intanto erano arrivati altri due pellegrini. Marco e francesco un tempo scout provetti. Come di copione erano straorganizzati rispettando alla lettera quanto appreso fin da piccoli nei campi estivi. Per loro era una fatto di celata nostalgia. Avevano con sé ogni ben di dio. Il fornello, i biscotti, i tegamini per potersi assicurare almeno un pasto caldo al giorno. Certo tutto questo aveva il suo prezzo in termini di peso. Anche a costo di dover sopportare il dolore delle vesciche ai piedi.
Quella sera davanti al fuoco del fornello a gas fecero conoscenza mentre lentamente si scaldava l'acqua per un tè chay. Giusto quello che ci voleva prima di abbandonare le stanche membra sul letto. Anche perché l'indomani sarebbero partiti presto al sorgere del sole.

[mentre trascrivo queste testimonianze entusiastiche l'ennesimo terremoto con distruzione e morti. La memoria va al terremoto di lisbona a tutti i discorsi sulla teodicea. Ma questo scritto non vuole essere una apologia di nessun dio. È solo il tentativo di estrapolare una mappa di ontologia effettuale ricavata dall'osservazione diretta delle esperienze spirituali. Insomma una scuola di vita. Non vuole gettare nessun giudizio di valore, né prendere posizione sul bene o il male della creazione. Tanto a che servirebbe. Meglio semmai operare una sospensione del giudizio. A partire da una situazione di fatto, si vuole dimostrare come attraverso la partecipazione a delle dinamiche amorevoli e di abbandono si può operare nel proprio quotidiano per migliorare la vivibilità se supportati da una vigile attenzione cosciente, da una volontà attiva. Provando a fare qualcosa spesso non facendo all'apparenza niente]

Assisi
Dopo la chiacchierata con giancarlo aveva intravisto anche una terza ultima meta. Come voler mettere la ciliegina sopra la torta. In fondo ogni cammino di francesco che si rispetti dovrebbe almeno terminare ad assisi. L'alfa e l'omega del percorso di francesco. Secondo l'esperienza del frate, tre sono i luoghi francescani per antonomasia. La verna, greccio e le carceri di assisi. Frequentando questi siti si avrebbe avuto un ulteriore opportunità per afferrare nel profondo la spiritualità di francesco, la sua fede.
Ancora una volta condotto per mano decise di puntare diritto per assisi. Dopo una sosta di un giorno a rieti per salutare andrea, il compagno di meditazione bolognese, l'indomani partì presto. Ancora una volta un ciclista a guidarlo. Un seguace di francesco anche lui. A accompagnarlo nella val nerina fino a sant'anastasio per indirizzarlo nel modo migliore. Prima di separarsi una sosta al bar per condividere un caffé insieme. Poi saltato in bici le ultime parole. “E ricorda! Non si è mai soli”.
Dopo un tempo abbastanza lungo ecco alla fine fare capolino assisi adagiata ai piedi della montagna. Altri quattro chilometri più in alto la cima del subasio e l'eremo delle carceri. Per carceri in passato non si intendeva affatto un luogo di reclusione, ma un posto appartato, solitario adatto per la vita di preghiera. Secondo copione anche stavolta una salita mozzafiato. La più tosta di tutte. Messo il rapporto più leggero, a denti stretti, una pedalata dietro l'altra per ridurre centimetro dopo centimetro la distanza. Tutto intorno solo boschi, roccia nuda. Nonostante la lontananza dalla città in tanti a voler raggiungere la stessa meta. Chi a piedi, chi in auto, in taxi, in autobus. Ecco il cuore pulsante di tutto il movimento francescano a attirare frotte di pellegrini, turisti, monaci, suore da tutte le parti del mondo. A colpirlo tanti giovani sorridenti, dinamici, spesso molto devoti. Tutt'altra musica rispetto al clima di popoli.
Una volta lì non c'era nulla. Solo tanta foresta selvaggia, soprattutto una serie di grotte scavate naturalmente nella roccia dove francesco e i suoi frati erano soliti ritirarsi per lunghi periodi.
Il tempo di cambiarsi, di farsi strada con la bici portata a mano tra tanta folla entusiasta, ecco la portineria. Contrariamente a quanto suggerito da un frate a san damiano, nessuna possibilità di essere ospitati. Tale privilegio è concesso solo agli ordinati. Non è possibile nemmeno mettere il sacco a pelo da qualche parte. Il frate a vigilare l'entrata sembra essere irremovibile. Come dargli torto. Dalla mattina alla sera a dover rispondere a una moltitudine di persone tutte a chiedere qualcosa. A questo punto scendere a valle neanche a pensarlo. Troppa la fatica per tornare l'indomani. E l'eremo era sul punto di chiudere. Qualcosa sembrava non andare più nel verso giusto. I meccanismi fino a allora così oleati sembravano non funzionare più. Come se la realtà tutto intorno avesse perduto il suo collante e stesse cadendo a pezzi. Appena fuori dall'eremo un incidente tra due auto a bloccare l'uscita. In tanta concitazione ecco la polizia con le sirene accese nel tentativo di riportare la calma. La cerniera della borsa anteriore della bici al minimo contatto si rompe. Cosa stava succedendo? Una sensazione sinistra per l'aria. Centocinquanta metri più giù uno spiazzo con la croce, un tavolo e due panchine a lato. Meglio rifiatare un attimo. A ben vedere ecco il posto giusto per passare la notte lontano da volpi, cinchiali e furetti. Nel borsello ancora una manciata di monetine. Poco lontano un piccolo ristorante. La speranza di una cena a prezzo pellegrino. Per non smentire quell'alone di gelo, il barista fa di tutto per non rendere facili le cose. Alla fine si accordano. Tutto quanto c'è nel borsellino per un piatto di verdure e qualche fetta di formaggio. Seduto fuori sui tavoli lo spettacolo davanti di tutta la valle santa con assisi in bilico sui monti. Il sole al tramontare. L'aria satura. L'orizzonte piano piano si stava stempera fino a sfumarsi in tanti colori accesi. Tutto sembrava sospendersi in un silenzio eterno quasi a risucchiarti.
Di colpo un giovane ragazzo vestito di bianco con una bisaccia al collo compare sulla strada in salita. Sale verso l'eremo nonostante l'ora tarda. Gli sguardi si incrociano. Quasi fossero lì l'uno per l'altro. Facile entrare in comunicazione. Si salutano. Poi viene invitato a sedersi al tavolo. Accetta. Anche lui è un pellegrino. Viene dalla francia. Non è solo. Viaggia insieme a un altro amico incontrato provvidenzialmente in un convento dove era in ritiro prima di partire. Hanno intrapreso il viaggio senza denari, in puro spirito di povertà. Affidandosi ciecamente al prossimo. Da genova un mese per arrivare a assisi. Non parlano italiano. Lungo il viaggio hanno appreso giusto il minimo per la questua quotidiana. Alla fine ce l'hanno fatta, ogni giorno il miracolo di ricevere qualcosa vissuto ogni volta come una grande festa. Invitato a condividere la cena preferisce rispettare il digiuno del venerdì fino al giorno dopo. Un momento. Ecco spiegato l'arcano. È venerdi! Il giorno della passione. Il momento dell'abbandono e del grido forte al cielo sulla croce. Il punto massimo di crisi, di distacco tra terra e cielo, tra il figlio e il padre. Tutto chiaro no? Ecco spiegato l'impasse pomeridiano.
I due continuarono a parlare per lungo tempo. Tanti gli interessi comuni. Dall'antropologia, alla filosofia, alla teologia, alla mistica. Per approfondire la vita monastica per i suoi studi aveva vissuto per un po' in un convento in normandia. A interessargli il concetto di regola monastica. Da lì a cercare le differenze rispetto a l'originale “forma di vita” francescana. Il tentativo di superare ogni tipo di legalità o di regola vivendo una vita formata secondo l'ideale dell'amore e della povertà. Alla fine si salutarono fraternamente. Un incontro impossibile. In un luogo oramai desolato. Anche vista l'ora tarda. Eppure plausibile in questo giorno straordinario.
L'indomani mattina presto eccolo di nuovo all'eremo. Alle sei e trenta puntuali. Il cancello è ancora chiuso. Il tempo di essere inquadrato dalla videocamera e magicamente si aprono le porte. L'unico locale accessibile a quell'ora è la chiesa nuova. Lì verranno dette le laudi e la messa mattutine. Alla fine delle celebrazioni esce dalla chiesetta. Si fa avanti lo stesso frate del giorno prima. È molto premuroso. Si preoccupa se nelle borracce c'è l'acqua. Le va a riempire. In più porta anche un caffè appena uscito dalla macchinetta espresso.
Eh si oggi è un altro giorno.
Si chiama valerio. Viene da roma. È entrato nell'ordine a quarantaquattro anni. Sedici anni fa. Lavorava come operatore video. Si sente molto vicino ai pellegrini, al loro spirito di sacrificio. Va in ufficio e prende un dépliant facendogliene dono. Indica un sentiero tra i boschi fino a raggiungere la gola sottostante. Un ambiente suggestivo con tante grotte nascoste dove vivevano i frati pellegrini di un tempo. Un ultimo giro tra foreste magiche, piante secolari, grotte piene di storia.
Prima di fare ritorno a casa.

Ritorno a casa
Nella periferia dello spirito a prevalere è la secolarizzazione in tutte le sue forme.
Il vero deserto ora è vivere la quotidiana normalità. Come se i ruoli si fossero invertiti. Quei luoghi selvaggi tra boschi, grotte, una volta isolati dal mondo, per questo scelti dagli asceti passati, sono oggi così animati da brulicare di vita. Vi puoi trovare di tutto, dal turista distratto al pellegrino devoto. Abituato alla dieta spirituale dei nostri giorni è una boccata d'ossigeno. Anche perché hai la possibilità di incontrare quelle figure altrimenti disperse in altri deserti analoghi. Non ti senti più solo. Senti salire l'entusiasmo. Le pile si ricaricano. Scompare la sensazione di essere l'ultimo testimone di una tradizione in via di estinzione.
Oggi in periferia in chiesa non va più nessuno.
La gente preferisce di gran lunga andare al mare.
A prevalere il clima della vacanza. Vestitini corti, occhiali da sole hawaiani come si fosse in spiaggia.
Il tutto stride ancor più se si è di ritorno dall'immersione spirituale in quei luoghi santi.
Una volta riemersi stare a galle è difficile.
Ma niente scoramento perché “non si è mai soli”.
Una volta i poveri di spirito erano i lebbrosi, gli affamati.
In chiesa, oggi, a seguire le preghiere delle monache di clausura non c'è più nessuno. Solo qualche vecchietta vestita di nero, un nonno con il bastone, un giovane dallo sguardo tonto. Eccoli i nuovi poveri di spirito. Sono loro i nuovi fratelli. Con loro si recita insieme il rosario guidato dal treno di parole scandito a ritmo dalle ultime suore ancora vive. Quelle in prima linea per annunciare la buona novella nel vuoto pesto. Il polmone spirituale residuale di un'umanità comatosa.
Allo stesso tempo una sensazione di anacronismo ti assale. A confortare il ricordo ancora fresco dei giorni appena passati. Gli incontri fruttuosi, gli esempi di spiritualità viva difficilmente dimenticabili. Quando lo spirito lo si percepiva in ogni manifestazione tangibile e si veniva risucchiati in un vortice coinvolgente oltre ogni aspettativa.

Resurrezione
Dopo appena tre giorni dal rientro a casa era già ripartito in viaggio. Tanto il tempo di sopportazione della vita cittadina spogliata dall'estate. Una prima tappa fiorentina da giulia, poi ancora verso la valle santa. Davanti a sé vedeva scorrere posti oramai familiari. Lungo la strada per la verna, su di una collina, delle torri antiche imponenti, poi un cartello stradale indicante una pieve antica. D'istinto decise di deviare il cammino per dirigersi là. Una discesa di mille ottocento metri, ecco infine una chiesetta romanica in pietra lungo la via romena una delle tante strade percorse dai pellegrini per roma come il nome suggerisce. A poca distanza un castello in rovina a dominare il passo, in lontananza il borgo turrito di poppi stretto su di una collina. Basta poco per capire di trovarsi in un luogo particolare. A differenza di tante altre bellissime chiesette romaniche austere come può esserlo un monumento arcano con i suoi misteri nascosti forse per sempre, la senti ancora vibrante. A averla resuscitata a nuova vita una crisi esistenziale spirituale del parroco locale tanto tempo fa. Poi la decisione di trasferirsi lì in mezzo alla campagna per tornare alle origini. A accogliere i pellegrini con semplicità, amore. Di acqua ne è passata assai dai quei venticinque anni or sono. Al vecchio complesso medioevale si è aggiunta di recente una stalla abbandonata trasformata in auditorio, libreria, bar. Mentre la casa dei contadini a ridosso della chiesa è divenuto il luogo di accoglienza per i nuovi pellegrini. Anche grazie all'ampia sala dell'auditorio ogni anno si svolgono tante conferenze, dei corsi per laici e ordinati sul futuro della spiritualità cristiana e non solo. L'opera più significativa nata da tanto travaglio è il cammino della resurrezione in otto punti tutto intorno all'abbazia. A gestire il complesso una piccola comunità di fratellanza. Tranne tiziana, nessun altro abita fisso il complesso, nemmeno il parroco. Nessuna gerarchia tra di loro. Ognuno è mosso dalla propria volontà di partecipare allo stesso progetto. A colpire maggiormente è la sensazione di totale apertura. La chiesa è a porte spalancate quasi volesse invitarti a entrare con il suo abbraccio. Dentro è addobbata con opere di artisti recenti pronti a assecondare ringiovanendolo quello spirito minimale del romanico. Materiali essenziali, legno, pietre, oggetti artigianali della tradizione. Insomma arte povera quasi a voler dimostrare la continuità con il territorio, la semplicità contadina. Anche nel rispetto di una scritta latina su uno dei capitelli “construpta in tempore famis”, cioè costruita in tempo di crisi, di carestia. Il tutto produce un certo calore inatteso. La luce del sole a filtrare dalla porta rivolta verso oriente, la musica d'ambiente in filodiffusione. Gli spazi accessibili secondo la propria volontà. L'assenza di porte a ostacolare il passaggio. Gli sgabelli in mezzo la sala disposti circolarmente per guardarsi alla pari. Facile sentirsi a proprio agio. Tutto è a disposizione di chi entra. Quasi si fosse a casa propria. Forse il risultato più tangibile di una chiesa capace di digerire due millenni di tradizioni per tradurre il proprio messaggio alle nuove generazioni. Attaccandosi al potere trasformativo dell'amore, dell'umiltà e alla fiducia smisurata verso un uomo pensato libero dai lacci in cui si trova stretto dalla nascita.
Aveva incontrato il percorso della resurrezione mentre perlustrava la zona dopo aver preso una strada in leggera salita verso il castello. Si era trovato davanti la parola libertà. Vuoi per il caldo, per una certa irrequietezza di fondo a accompagnarlo per tutto il giorno sentiva di voler affrancarsi da quel percorso programmato chiuso entro un recinto. Pieno di vuoto alla prima apertura era già fuori. Solo dopo un lungo vagare tra la campagna arsa dal sole, sentieri a salire tra rovi nutrienti aveva fatto ritorno dentro il recinto per cercare la tappa successiva. La leggerezza. Poi tutte le altre fino alla settima, la tenerezza. Dell'ottava neanche una traccia. Arrivato oramai sul bordo della strada asfaltata aveva pensato a qualche trucco. Come se l'ultima parola, la più importante, fosse da trovare per caso da qualche parte. A pochi metri un gruppo di turisti romagnoli utili per avere informazioni. Anche loro due anni fa si erano fermati a quel punto. Non c'era altro. Non persuaso del tutto fece ritorno verso la libreria. Nella speranza di trovare prima o poi la soluzione. A indirizzarlo francesca, la ragazza al bar. Vai oltre la strada. Come se per arrivarvi bisognasse fare un salto oltre le proprie convinzioni. Un salto quantico capace di trasportarti in una nuova dimensione. Non prima di essere resuscitato in un altro essere, anzi in un altro, meglio nell'altro tout court. Tornò sui suoi passi. Attraversò la strada come fosse sulla zattera di caronte per raggiungere l'altra sponda. Le indicazioni della sua beatrice non trovano ancora riscontro nella realtà. Il giuggiolo, il famigerato riferimento da ricercare, sembrava più un miraggio. Percorse tutta la staccionata fino al confine. Ancora niente. Come se quella parola non fosse per lui. Non si perse d'animo. Risalito al bordo della strada a partire da una freccia indicatrice ricostruì un altro possibile cammino. Alla fine ecco la tanto agognata meta. Un cartello con su scritto la parola amore. Cristo santo era poi tanto difficile? Amore la parola magica dietro tutto quel fare. Quanto aveva percepito in quel luogo. A partire dai muri, le cose, le persone incontrate. Milena, francesca, marco, federica, tiziana. Tutte animate da quel sentimento sottile. Senza però dimenticare le altre qualità essenziali dall'umiltà alla fiducia, dalla libertà alla leggerezza, dalla fedeltà al perdono, alla tenerezza. Come se mescolandole alchemicamente si potesse produrre poi quell'effetto miracoloso. E si miracoloso. Perché l'amore non è di questo mondo. O almeno ne è solo una possibilità eventuale. Una conquista da ottenere dopo tanti sforzi mettendo in gioco tutto se stessi. Senza risparmio. Accettando innanzitutto di perdere quanto acquisito finora, per divenire leggeri come l'etere. Per non essere più attaccati a niente. Aperti a tutto, plasmabili come un vaso d'argilla. Solo allora si può morire per rinascere a nuova vita. Non prima di essersi affidati “a tutto quanto move”. Lo spirito d'amore. Quell'energia sottile a tenere il mondo unito armonicamente. L'unica a essere in grado di trasformarti nella coscienza, nelle sensazioni, nel corpo. Basta pronunciare le parole magiche. Fiat. Così sia. Non prima di essere tornati bambini ma con la consapevolezza di un adulto, la scaltrezza di un serpente. Per una pienezza di vita conquistata passo dopo passo. Non senza aver attraversato il deserto per inabissarsi e perdersi nell'oceano infinito. Trovando il sole anche di notte. Quel luogo era un'oasi d'amore, o almeno provava a esserlo con tutta la sincerità possibile. Per questo era diventata una tappa fondamentale per quei pellegrini assetati, oramai spogli di tutto. I cosiddetti poveri di spirito.

sabato 19 marzo 2016

In ascolto

Andare al fondo del nostro essere
Là dove tutto ha avuto inizio
Là dove tutto finirà
Nel silenzio sottile
Senza paura del vuoto
Per vedere cosa succede
Solo rumore di fondo
Oltre ogni apparenza
Dopo maya

lunedì 14 marzo 2016

Il funerale del funerale

Prima di partire
Vorremmo spendere due parole in merito al funerale della saracca
La saracca è un rito
Un auspicio di rigenerazione
per una vita rinnovata ancora
Grazie anche a un sacrificio
Quello della sardina
Un piccolo pesce povero
Eppure è grazie a esso se tante famiglie sopravvivevano all'inverno
La vita e la morte
Inscindibili
Spesso da lasciare senza parole
Ma il vento fa il suo giro
Così come la vita
Volenti o nolenti
Anche quest'anno siamo lì pronti a festeggiare spensieratamente
spinti da un vitalismo inarrestabile
Anche quest'anno ci apprestiamo a vivere dei momenti di svago insieme
Consapevoli però di quel sacrificio
Pronti a accogliere la vita
a rispettare la morte
Con il sorriso in volto
la malinconia nel cuore
Ora bando alle ciance
Una giornata davanti ancora
Una nuova impresa
Perché il funerale della saracca non ha confini né tempo
se non quello della vita
Perciò tutti pronti a salire in sella
Giovedì a camere d'aria per preparare il mezzo
Domenica per le strade di campagna
se il tempo lo permetterà
Direzione da qualche parte
dove compiere ancora il miracolo della vita
Non troppo lontano da Monte Uliveto
Né troppo vicino
Con nel sacco cose semplici da condividere
A partire dall'entusiasmo

Ancora la lotta tra la vita e la morte
Perché morire è innanzitutto accettare di spegnersi dentro
Pensare la morte come l'ineluttabile
Il nemico invincibile
Memento mori
diceva l'untore
Bada...
Memento vivere
Nonostante tutto
Consapevoli come non mai
Eppure leggeri come l'entusiasmo puro di un bambino
Oggi è il giorno giusto
Facciamola finita
Le parole di un amico sconsolato
Un tempo lontano eppure vicino
Troppa la voglia di vivere quel giorno
Per lasciarsi andare
No
Oggi no