venerdì 29 novembre 2013

Ancora giù

Come da un po' di giorni succede.
Sveglia presto.
Sei e trenta.
Quasi un orologio.
Il sole non è ancora visibile offuscato dalle nubi all'orizzonte.
Però c'è tanta luce a filtrare dalle finestre con gli stipiti aperti.
Un pensiero fisso appena aperti gli occhi.
Come portare su la legna segata su per il costone ripido alto più di cinquanta metri.
Ieri la svolta.
In una ferramenta storica trovata la sega giusta. La lama di un metro, l'altezza di ventotto centimetri. Esageratamente basso il costo sei euro trenta. Nessuno le vuole più. Quasi a prezzo da regalo. Messa in spalla a mo' di arco l'ho portata in bici a torre. In mente i cavalieri di una volta sopra il loro fedele destriero.
Un'immagine inusuale per i presenti.
Il tempo di macinare a tutta l'ultimo chilometro e mezzo di irta salita fino a casa per contagiare fra.
Giù verso il canale.
Subito.
Giusto una paja rollata da fra e si è già in strada con la sega a tracolla. Di corsa lungo il sentiero imbrecciato fino alla casa diroccata, poi da lì verso le pendici della collina appena falciata dalla mietitrebbia per arrivare fino al limite camminabile.
Da lì appena visibile in basso il fosso asciutto nascosto da una fitta vegetazione, dai cespugli di pungitopo, edera, rami secchi. 
Prendiamo il sentiero appena segnato a terra.
Spinti dalla gravità arriviamo in fondo in un baleno con la terra fin dentro le scarpe.
Individuata la prima preda un lungo ramo secco.
A turno lo facciamo a pezzi.
Otto lunghi tronchi spessi una ventina di centimentri.
Proviamo a sollevarne uno in spalla e a incamminarci.
Difficile procedere avanti anche perché la terra è friabile e scivolare è la cosa più naturale di questo mondo. Con non poco sforzo riesco si e no a percorrere metà del tragitto. Poi sfinito abbandono il legno nel primo punto piano a disposizione.
Bisogna trovare un'altra soluzione. 
Forse delle corde andrebbero bene.
Con questi pensieri come un film a doppia velocità metto su l'acqua per il mathé ovvero the verde più mathè. Due litri possono bastare per arrivare a sera. Forse una slitta potrebbe essere la chiave di svolta. La stessa vista in tanti film western con gli indiani a cavallo negli spostamenti nel deserto o sulle montagne rocciose. So dove trovare le lunghe assi per costruire l'ossatura. Vicino la casa diroccata è stata deposta la legna della marchesa. Da un po' ne pilucchiamo piccole quantità. 
Non mi sono sbagliato.
Trovo almeno sei tronchi lunghi.
Messi in spalla li porto a casa.
Ne trovo due della stessa lunghezza abbastanza robusti.
Sono loro l'ossatura principale.
Dovranno essere abbastanza forti da resistere al peso di almeno tre quattro pezzi pesanti. Gli stessi segati ieri sera lì a attenderci nel letto del fiume.
Lo scopo scendere fin lì con la slitta appresso. Poi legarne una piccola quantita per provare a risalire.
Dopo aver legato ai due assi base quattro segmenti orizzontali con lo spago, la slitta è belle e pronta. Senza indugi mi dirigo diritto verso la meta. Con alle mani stretti i due lunghi bastoni. Lasciando una sottile scia lungo la strada arrivo a destinazione. 
Svolgo alla perfezione tutti i passaggi prima solo pensati.
È il momento della verità.
Su con tre rami legati stretti agli assi strascicanti per terra.
Niente da fare.
Troppo scosceso il suolo per non risultare impraticabile.
Con tutte le energie dsponibili riesco comunque a guadagnare lo stesso punto del giorno prima.
Mi fermo, sciolgo i nodi, libero la legna.
Una piccola catasta è pronta per essere portata fino in cima.
Urge un'altra soluzione.
Forse ha ragione fra.
Le corde sembrerebbero essere la soluzione migliore.
Svuotato di tutto torno a casa.
La maglietta è impregnata di sudore.
I capelli bagnati come se li avessi appena lavati.
Ora è possibile concentrarsi sulla colazione.

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