venerdì 29 novembre 2013

L'ultimo autostoppista

Era rimasto da solo.
Lungo la tratta adriatica nessun altro a fargli compagnia.
Aveva cominciato a diciotto anni.
Per andare via da casa.
Per provare l'ebrezza della libertà.
In tre verso nürnberg. Il pretesto un concerto poco memorabile.
Dopo tanti anni aveva ricominciato. Complice la donna del momento anche lei autostoppista. Molte cose erano cambiate. Innanzitutto le strategie per adeguarle ai mutamenti tecnologici a partire dal telepass. Il vero oggetto ammazza autostop. Se prima l'importante era arrivare al casello aspettare le auto fermarsi per prendere il biglietto, domandare la direzione in modo convincente. Ora diventava un compito improbabile. Niente più sosta. Una breve rallentata, il tempo di far alzare la sbarra e via lontano con l'acceleratore premuto a tutta. Impossibile qualsiasi contatto umano. Neanche il tempo di un sorriso, di vedere negli occhi la controparte barricata entro abitacoli blindati, vetri spessi e opachi. Meglio allora partire da un autogrill, aspettare l'autista all'uscita dopo la pausa caffè. Anche in questo caso non sempre andava bene. Fare autostop non è come prendere il treno. Si è vero, spesso ti va bene. Allora i tempi si contraggono e voli come un fulmine. Ma quel giorno era nato storto. Arrivato alla stazione di bevano, la più trafficata della zona, nessuno disposto a farti spazio al suo fianco. Complici anche le feste dei morti imminenti. Così pochi lavoratori, molti vacanzieri titubanti, paurosi fino al parossismo. Nutriti di notizie scioccanti, di violenza gratuita snocciolata come mantra penetranti. Così poi una volta dentro ti dicono: eh di questi tempi bisogna stare attenti. E tu replichi: mi scusi ma lei tutta questa violenza la vive veramente? Un attimo di silenzio, poi la solita risposta negativa. Però quel giorno niente da fare. Un muro impenetrabile rendeva quelle opinioni per sentito dire una certezza ferma. Gli unici a non stare al gioco i camionisti. Avvezzi alla vita dura, a stare per strada sul serio, lontano dalla famiglia, un po' per scelta. Perché se dovessero fermarsi per sempre poi si romperebbero da morire. Meglio il materassino della cuccetta riscaldata, una bottiglia di vetro piena di caffè al fianco e zitti e mosca. Da soli contro tutto. Tartassati da leggi ferree, braccati dalla stradale, impossibilitati a far salire estranei per un momento di compagnia e di condivisione. Eppure non tutti accettavano tale situazione. Perché una persona bisognosa non la si lascia per strada. Un po' la stessa regola di chi va in mare. In fondo un po' navigatori anche loro, con il mezzo a solcare la fitta rete di strade come i canali di una volta.
Quel giorno avevo trovato la solidarietà di domenico.
In silenzio dietro di me, poggiato al muro, assisteva sconfortato alle irritabili risposte di automobolisti cafoni alle mie richieste di passaggio. 
Vorrei vederli al tuo posto con la macchina rotta a chiedere aiuto. Questo il laconico commento.
Poi scorge una macchina ferma al parcheggio un po' sbilanciata sul fianco sinistro. 
Subito la diagnosi. 
Ha una ruota buca.
Si avvicina, si è buca.
Arriva la proprietaria.
Una signora di reggio emilia.
Lavora all'inps.
Deve andare in bosnia.
Ha la gomma buca signora.
Se vuole gliela cambio.
Ah...
C'è un meccanico nell'autogrill?
E poi perché farebbe tutto questo per me?
Non è di questo mondo.
Totalmente immersa nella sua parte fino alla fine.
Nonostante le prove contrarie davanti agli occhi.
Ancora a pensare al complotto.
Le cambiamo la gomma.
Un chiodo conficcato dentro.
Ce lo avete sparato voi?
Non vale neanche rispondere.
Va nella stessa meta dove devo andare.
Ci provo.
Le chiedo il passaggio.
Dovrebbe essersi tranquillizzata dopo tanto petting.
Ma no.
Troppa la paura di essere tranvata.
Perché la vita è solo una fregatura.
Nulla potrà farle canbiare idea.
Mi ringrazia, si scusa, mi lascia li come un baccalà.
Di ritorno dal bagno sorpreso domenico mi dice:
Ancora qua?
Già.
Alla fine in culo alle regole mi fa salire. 
È la seconda volta a essere salvato da un camionista. Naufrago in quelle isole sperse lontano da tutto frequentate solo da viaggiatori occasionali. Non metto neanche le cinture, tanto quando c'è un incidente quello è il posto del morto. Va bè.
Dura la vita del camionista.
Sformati nel fisico, con la schiena rotta, un po' malinconici, un po' volgari con il loro sleng, fin troppo diretti riguardo al femminile. Ma ci sono sempre quando hai veramente bisogno.
Grazie!

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