venerdì 29 novembre 2013

Arte del tamburo sciamanico

Aveva confermato la propria presenza su FB.
Ripa bianca il luogo.
Il trentuno settembre la data.
Altro non sapeva.
La mattina in bici da corsa si era diretto da quelle parti.
Da poco si era trasferito in campagna. Vicino alla guzzana. Una salita nota ai ciclisti della zona, non lontano dalla casa delle noci sonanti di fabrizio, una micro comunità spesso riconducibile alla sola figura del suo ispiratore. Specie nei momenti più duri, come l'inverno, quando senza luce, gas, acqua il vivere diventava proibitivo.
A risuonare dentro di lui la parola ripa bianca.
Dapprima andò nell'oasi ecologica sul fiume con quel nome. Il regno dell'airone cinerino, di tante altre specie animali fluviali.
Da lì era stato mandato nella via ripa bianca in un agriturismo omonimo.
Ma niente da fare.
Supportato dai mezzi tecnici degli amici a casa alla fine aveva recuperato il cellulare dell'organizzatrice.
Una telefonata per scoprire di essere distante solo una manciata di metri dalla meta.
Superato il cancello della casa colonica adibito a centro di meditazione, vide non c'era ancora nessuno. Nonostante l'appuntamento fosse per le dieci e trenta e avesse sforato di una decina di minuti buoni.
Come lui un'altra ragazza si trovava a zonzo per la campagna in cerca del luogo dell'appuntamento. Guidata da aghni alla fine era arrivata anche lei.
Ad attenderli un sociologo milanese esperto in counseling da tempo convertito allo sciamanesimo andino. Luigi, età quarantotto anni, capelli un po' lunghi, barba brizzolata, lineamenti snelli, vestito alla buona, maglietta in cotone chiaro, pantaloni fino al ginocchio, sandali. Viveva in una comunità a grondona dalle parti di alessandria. Là si trovavano a ritmo del candario astronimico per capanne sudatorie, ricerca di visione e via dicendo. Una delle sue specialità era l'arte di costruire il tamburo sciamanico. Una passione mutuata in tanti anni al punto da farne anche una professione. Lui musicista provetto al punto da collaborare come consulente per alcune ditte importatrici di chitarre. Certo tutta un'altra cosa rispetto al tamburo sciamanico.
Arrivare a avere un tamburo è un cammino complesso.
La logica di trovarlo già fatto, di poterlo comprare non funziona. È necessario risuonare proficuamente con tutte le forze cosmiche prima di arrivare a possedere la pelle di una capra, il legno necessario per la cassa dal diametro di quaranta centimentri. Perché non si tratta di materiale e basta ma di energia liberata pronta a essere investita in un nuovo progetto vitale. Per questo bisogna essere riconoscenti verso la natura per aver concesso tali oggetti, la capra, il legno per il dono della vita. Tutto partecipa di tutto. Niente è solo quanto appare. Dietro si nasconde un progetto occulto più grande. Basta metterlo alla luce, acconsentirne, diventarne un docile strumento operativo. Allora forze magiche si attivano, nuovi mondi, possibilità si realizzano dal nulla. 
Prima di cominciare il rito luigi aveva già predisposto il campo energetico dove contenerlo. Quattro pali piantati a terra secondo l'orientamento dei segni cardinali, una pietra di quarzo bianca al centro. A est il bastone giallo per indicare il sorgere della luce dal cielo, a sud il rosso, il luogo dove predomina l'elemento di fuoco, poi il nero a ovest dove si occulta il sole ed inizia la notte, il bianco a nord a significare le alte vette coperte di neve, la saggezza, il servizio. Ogni punto a indicare una tappa della vita. Per un totale di cinquantadue anni prima di tornare al punto di partenza per cominciare un nuovo ciclo. 
Definito il luogo ora era il momento di comunicare con potenza l'intento, ovvero le motivazioni di ciascuno per poter dirigere sapientemente le energie attivate dal rito. Essere illuminati vuol dire avere un intento chiaro, limpido. Solo se c'è questa lucidità intenzionale qualcosa accade. Spesso non basta pensarle. Più importante sentirle con il cuore. Prima però un'offerta alla natura per propiziare il rito secondo una strana logica dello scambio. Basta poco. A contare è più il gesto, l'intento. Ecco allora tre foglie d'alloro prese da un cespuglio lì nelle vicinanze donate alle forze spirituali agenti. Poi una volta seppellite ecco il momento di esprimere i propri desideri. 
Ora si è pronti per cominciare la costruzione del tamburo. 
Per i primitivi tutto era più difficile.
Bisognava prima cacciare la prede, scuoiarla, conciare la pelle, radere con una lama i peli della superficie. Poi occorreva pensare al legno. Trovare la pianta giusta solitamente una betulla, tagliarla per lungo per farne un listello di legno elastico pieghevole.
Oggi grazie a luigi è tutto più semplice.
La pelle e la base circolare in legno le porta lui già belle e pronte. Ai partecipanti spetta solo l'assemblaggio. Ovvero tagliare la pelle per farne una superficie rotonda, i lacci per tirarla. Poi stenderla sul tamburo passare i lacci in pelle tra i buchi laterali fino a tenderli al punto giusto. Certo, niente di trascendentale. Ma se non si è abbastanza motivati il prodotto finito difficilmente acquista un'anima. Alla fine a contare è più l'intenzione. Solo con tanto amore, dedizione puoi avere un tamburo bello, ben costruito, soprattutto efficace, con una personalità specifica. Perché non va mai dimenticato di stare manipolando non solo degli oggetti inerti, ma le energie potenti da essi supportate. Per questo i singoli materiali non sono scelti a caso ma secondo la propria sensibilità. Importante allora riconoscerli, toccandoli a occhi chiusi per farsi contagiare, sedurre. Ecco allora una pelle scura ruvida, maschia. Poi una chiara con delle venature. La senti più sottile, delicata, dal tocco feminile. Lo stesso vale per il legno. Senti le nervature, la consistenza. 
A ognuno il suo.
Seguendo diligentemente le indicazioni di luigi, alla fine tutti riescono a portare a termine l'impresa di costruire il proprio tamburo sciamanico. 
Ora è il momento di consacrarlo alle forze cosmiche per iniziarlo ai suoi futuri compiti oltre a generare un legame profondo con chi l'ha costruito. Un legame quasi di sangue. Indissolubile dal momento in cui si supera la soglia dal profano al sacro grazie al rito d'iniziazione. 
Con l'incenso fumante acceso, la penna nera alla mano di una specie volatile andina si comincia. Luigi dirige la cerimonia presentando i due soggetti come in un matrimonio. Dopo la presentazione la dichiarazione degli intenti comuni. Ovvero poter richiamare gli spiriti insieme, saper curare magicamente e via dicendo. Nel frattempo il possessore del tamburo dirige il fumo con la piuma verso il tamburo quasi volesse animarlo. Tutto ripetendolo quattro volte secondo le direzioni cardinali.
Alla fine col tamburo ancora fresco legato dietro la schiena via a cavallo della bicicletta verso la montagna, là dove il sole tramonta ogni giorno. Non prima di aver salutato tutti con affetto e riconoscenza.

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