lunedì 2 aprile 2012

Una domenica da leoni

Da molto non succedeva.
Destrutturato a oltranza al massimo biascicava qualcosa a fatica.
Il parlare era diventato un compito noioso.
Non portava da nessuna parte.
Senza più navigatore serviva solo per farsi capire basilarmente. Il minimo necessario per la sopravvivenza sociale.
Anche perché quando provava a agire diversamente per attivare comportamenti più complessi non c'era nessuno a rispondere.
Certo, si trattava di gestire l'ennesimo trapianto nei luoghi di sempre divenuti nel frattempo sconosciuti, ameni a causa dei pochi mesi di lontananza.
Tutto da ricostruire anche questa volta.
Nella speranza di gettare le basi per spiccare un nuovo volo.
Nonostante il vento gelido degli ultimi giorni l'inverno era oramai alle porte.
Accerchiato dalla primavera si apprestava all'ultima resistenza prima del tracollo definitivo.
Era tempo di semina e la natura reclamava il suo spazio con una vitalità inaudita. Anche questa volta il miracolo della rigenerazione seguiva il suo corso nonostante l'abbondante nevicata invernale come da tempo immemore non accadeva.
Bastava gettare i semi nella terra umida per assistere alla potenza della vita. Dopo poco facevano capolino dei puntini verdi appena visibili. I nuovi germogli a caccia di luce intenzionati a ridurre la distanza dal sole quanto più possibile.
Quel giorno con gli amici vecchi e nuovi della ciclofficina si mangiava pizza insieme.
A lui erano spettati due ottavi di un paio di pizze farcite.
Alla fine un quarto abbondante.
Sufficienti a neutralizzare la fame.
Stava bene.
Si sentiva a casa all'Xm
Tutti insieme seduti su di un tavolo imbrattato di scritte nere contro dio.
Lo stupore il vedere ancora qualcuno perderci tempo.
Anche solo per smascherarlo.
O al limite ingiuriarlo.
Duro a morire nonostante tutto.
O meglio difficile per qualcuno digerirne la morte.
Quel giorno il parlare fluiva naturale.
Le parole si assemblavano l'una dietro l'altra da sole come per incanto. Trovando intrecci impossibili.
Tutto per gioco.
Così si poteva passare dallo shabbat a una ciabatta come fosse la cosa più normale di questo mondo. Non c'era nulla a ostacolare il flusso creativo intento a tracciare piacevolmente strade inaudite.
Non si fermavano più.
Una battuta dietro l'altra.
A ripetizione.
Una più effimera e impalpabile dell'altra.
Un parlare a vuoto.
L'inconsistenza fattasi carne.
Parole fatte a pezzettini giusto il tempo di pronunciarle.
Un sacrificio perfetto.
In piena libertà.
Oltre qualsiasi uso, dispositivo se non quello del piacere puro dello stare insieme.
Un lusso raramente concesso.
L'effetto palpabile lo stesso delle fuse di un gatto con gli occhi socchiusi di piacere, di un cane scodinzolante con la bocca semiaperta quanto basta per far ciondolare la lingua ansimante.
Quella sera veniva naturale sparare a raffica battute.
Mascherati di sorriso.
Alle categorie di uomo finora classificate si sarebbe dovuto aggiungere quella dell'homo ridens, una declinazione particolare dell'homo ludens, a ben pensare ancor prima sacer.

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