venerdì 13 aprile 2012

3M 1100 & Ivan il terribile

3M 1100
Nel buio della notte si elevavano urla di dolore.
Una litania continua.
Fino al picco incontenibile.
Nulla riusciva a porre un freno a quel vocio delirante.
Le senti quelle voci?
No!
Sta gridando.
Basta.
Come testate d'ariete su di un muro quelle parola avevano il potere di spogliarlo di ogni convinzione.
Colpo su colpo.
Lentamente.
Impossibile resistere.
Non lasciarsi risucchiare in quel regime disumano.
Una soglia di non ritorno.
Un passo verso la follia.
La destrutturazione a oltranza.
Urla ancora dio santo.
I tappi.
Una volta infilati di colpo non si sentiva più nulla.
Se non un leggero ronzio come quando si avvicina una conchiglia all'orecchio.
Anche le voci dentro si erano placate.
Lo stesso la tensione capace di farti vibrare.
Senza più stimolazioni esterne tutto si era silenziato nell'indifferenza.
Nel buio della notte senza suoni, senza luce, avvolti nelle coperte come in una camera iperbarica, alla fine era prevalsa la stanchezza.
Sempre più forte il filtro alla vita fino quasi a annullarla del tutto.
Chiusura totale verso un mondo asettico, lontano, ovattato quanto basta per arrivare a mattina. Giusto il tempo di recuperare le forze e tornare di botto in trincea svegliati dai fragori delle bombe.
Veloce il logoramento.
Come pensare di opporsi a tanto.
Se non serrando il più possibile le porte della percezione.
Isolandosi completamente da un'altra parte.
Da ogni cosa.
Quasi senza respirare più.


Ivan il terribile
Ivan non voleva uscire.
Da giorni lo aspettavano invano.
Era al limite.
Dopo sarebbero intervenuti.
Eppure continuava a resistere.
Barricato.
Aveva già capito tutto.
Da qui non mi schiodo.
Mentre stringeva il cordone ombelicale a sé come una catena.
Reclamava in silenzio.
Al massimo lanciando passare qualche vibrazione a bassa frequenza.
Disattendendo le aspettative di quanti stavano fuori.
Intanto il suo peso aumentava.
L'unico modo per arrestare la fatale discesa.
Non passare più per quel buco stretto.
Diventare una cosa ingombrante al punto di occupare ogni centimetro disponibile.
Far dilatare la pancia fino a esplodere.
Come fosse una bomba a orologeria.
Pronto a tutto.
Al gesto estremo.
Un atto terroristico contro i dispositivi biologici attivati da tempo.
La prima manifestazione di dissenso.
Meglio affogare subito.
Attaccato all'endometrio con le mani da poco sviluppate, legato al cordone ombelicale come uno scafandro non ne voleva sapere di lasciare quel claustro tuttosommato accogliente.
Cosa lo avrebbe atteso fuori?
Un enigma atroce.
Mi butto o no.
La tentazione ricorrente.
Ma aveva resistito tenacemente.
Non ci era cascato.
Non me la date a bere.
Si ripeteva dentro.
Intanto il tempo passava.
Da lì avrebbe condotto meglio la sua battaglia.
Fuori sarebbe stato più difficile.
Lui da solo contro tutti.
In un mondo ostile, asfissiante, tutto da scoprire.
Un perdersi sicuro.
Una battaglia segnata in partenza.
In grande silenzio le teste di cuoio fuori erano pronte a intervenire con il bisturi in mano.
Lo scopo aprire una via di fuga.
Secondo loro di salvezza.
Cosa ne potevano sapere quegli anonimi funzionari della vita.
In fondo non contava tanto il risultato.
Quanto il valore di quel gesto, del messaggio simbolico lasciato filtrare attraverso quella membrana elastica. Anche grazie a calci, pugni, movimenti inconsulti.
Tutto per frenare la loro azione.
Attenti!
Se non vi fermate mi faccio esplodere.

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