martedì 24 aprile 2012

Festa della zuppa


In cinque su un risciò.
Quattro vogatori più il dj attento a cliccare il brano giusto sul lettore mp3. Tra i due guidatori una sfera di vetro a mosaico luccicante stile studio 54. Sul tetto una filotto di lucine colorate lampeggianti come un albero di natale.
Per sottolineare ancor più la vocazione hippie psichedelica, un grosso fiore dai petali colorati di plastica trasparente.
Ne sono rimasti poco più della metà.
Il resto è andato perso in chissà quale altra avventura.
Non serve altro.
Via.
Pronti a immergersi tra la folla.
La partenza... un varo.
Non prima di aver stappato la bottiglia di birra.
Tolti i cunei si comincia a scendere lenti.
Pian piano si prende velocità.
Un tonfo lungo...
E si sprofonda nelle acque fino a sparire per buona parte.
Allora la corsa si arresta.
Rimane solo un movimento inerziale.
Il varo è andato.
Indietro non si torna.
Meglio buttarsi decisi nella baraonda.
La musica a palla vomitata dalle due grosse casse sotto il carro una davanti, una dietro.
Brani leggeri, easy, adatti alla situazione.
Da un classico pop a un canto popolare.
Il risciò nelle mani di abili navigatori solca la folla come un rompighiaccio.
La musica lo strumento per sciogliere i blocchi davanti.
Sfiorati i bottoni giusti le persone intorno si lasciano andare. Danzando si spostano leggiadre. Neanche si fosse al carnevale di Rio.
Sono tutti sorridenti, aperti, ben disposti.
I più sorpresi i bambini.
Spiazzati da tale marchingegno a quattro ruote lo guardano quasi avessero visto un'astronave.
La bocca aperta.
Gli occhi sgranati.
Paralizzati lo seguono lentamente con lo sguardo mentre tutto intorno ribolle, si contorce.
C'è chi allunga un cinque, chi vuole salire a bordo per qualche metro.
Da sopra il carro si risponde a tutti con un sorriso, facendo schioccare forte i palmi delle mani l'uno contro l'altro. Un modo come un altro per contagiarsi con la gente. Quasi si fosse portati a braccio sospesi da terra per volare chissà dove. Un pò come nelle processioni rituali dell'america latina o del sud. Però qua è tutto pacificato. Lontano ricordo i segni della morte. C'è spazio solo per il divertimento, la voglia di stare bene. Dimentichi di tutto il resto. Storditi dalla folla, dalla musica, dal vino contadino profuso a mo' di acqua santa.
Voilà la nuova ritualità dionisiaca depurata di ogni simbologia sacra. Superficialità pura da consumare subito. Il paradiso per un giorno. Anche per trovare le forze di affrontare docilmente il calvario quotidiano incagliati sopra montagne di libri o persi nelle fauci di qualche lavoro precario. Uno, due secondo necessità. Pur di fare quadrare i conti di una fragile economia domestica. Affidati spesso a una cieca provvidenza a termine.
Ma che ce frega.
Oggi via tutti i problemi.
Spazio solo al sorriso, all'entusiasmo.
All'improvviso una sirena.
Non una di quelle seducenti in mare.
Solo l'urlo penetrante di un'ambulanza con i fari accesi a tutta birra.
Come il mar Rosso di fronte a Mosé le acque si ritraggono.
Ecco aprirsi la via per una possibile salvezza.
Giusto il tempo del transito.
Poi il varco si richiude.
Ogni cosa viene sommersa dalla fiumana colorata.
L'onda in movimento solo per un istante trattenuta riprende il suo cammino con lo stesso tran tran di prima.
Di nuovo scende la notte.
Dopo un incedere nomade inarrestabile la carovana festaiola si dirige verso il parco.
Spiaggiati lì nel prato verde la luce si fa sempre più fioca.
Chi può si avvinghia calorosamente con qualcuno per alleviare la temperatura scesa repentinamente.
È arrivato il momento di volgere lo sguardo in alto verso il cielo stellato.
Davanti una notte lunga tutta da inventare.
Che domani è un'altro giorno.



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