martedì 3 aprile 2012

Wilhelm's scream

Era alta.
Più delle altre ragazze a yoga.
Aveva la carnagione chiara.
Un corpo longilineo perfetto.
I capelli ricci crespo biondo rossastri.
Una fisionomia nordica.
Di un'eleganza british.
Non a caso seguiva le tendenze provenienti da quelle parti.
Sabato prima c'era stato James Blake al Tpo.
15 sacchi.
Troppi per lui.
Meglio investirli in un libro.
Però quello era l'evento della stagione.
Ci sarebbe voluto essere.
Per questo ci teneva a sapere come era andata, cosa si era perso.
James Blake conosciuto in rete per caso in una delle tante classifiche di fine anno era stato un incontro importante.
Dopo tanto tempo di routine musicale finalmente qualcosa di nuovo. Un punto di non ritorno rispetto al passato.
Grazie a lui si era aperto un pertugio in un mondo sconosciuto.
L'ultimo sviluppo musicale post tutto. Post-dubstep, a sua volta post electronic, post new wave, new darkstep post noise... Il tutto farcito di una ricercatezza sopraffine come non si sentiva da molto senza per questo rinunciare a una certa attitudine pop.
Una musica epocale.
Primi vagiti di un tempo nuovo in piena fibrillazione.
Per forza di cose post apocalittica.
Meglio after time.
Dopo la storia.
Emersa dal calore della brace viva sotto le macerie ancora fumanti.
Ritmi lentissimi.
Fino a 65 bpm.
Impensabili fino a poco prima.
Quando ancora imperava la tecno portata al limite estremo dell'hardcore. Giusto per arrivare alla velocità critica necessaria per trovarsi all'improvviso sdoppiati come sopra tanti rulli mobili l'uno di fianco a l'altro. In totale sospensione iperdinamica. Oltre il tempo. Da quel momento ogni istante andava a implodere in un eterno presente di simultaneità. Lo sguardo di dio. Immersi nel rumore puro a partire dal vuoto spinto. Fino a toccare i vertici dei 4' e 33'' di un Cage redivivo. Risorto in mille nuove varietà come un virus contagioso. Lì in quegli interstizi di assenza i presenti venivano risucchiati dentro fino a diventare involontariamente protagonisti. Musica democratica dal basso a partire dal caos. Dal rumore di una cerniera allacciata di colpo, da un ghigno sibilato, dal rumore del ghiaccio in un bicchiere. Il tutto ricomposto a caso in un mega pathwork schizofrenico.
Incerto il risultato.
Ma non era importante.
Quando tutto si accordava, il miracolo.
Spesso irripetibile.
Un unicum live.
La vita nuda smascherata in quel momento.
L'istantanea improvvisa.
Come voltarsi di scatto e guardarsi allo specchio.
Dopo rimaneva solo il tempo della melanconia.
Dell'elaborazione del lutto di ciò che era stato.
Appena prima.
Ma già non più.
In questo modo anche la musica elettronica aveva provato a divenire performativa, partecipativa. Per infondere nuova vita a quelle strutture altrimenti meccaniche. Le linee armonico-melodiche di sempre per assecondare un antico sentimento di liberazione si rifiutavano di seguire la parte prestabilita deragliando senza preavviso. Magari pischiftando le voci, oppure saltando da uno strumento all'altro o su di un rumore di fondo emerso di colpo da tutto il resto per un frangente. Per essere nervosamente rimpiazzato da qualche altro frammento sonoro. Poi uno stop improvviso. Mozzafiato. Una cesura degna del miglior Fontana capace di scaraventarti giù in un abisso senza fondo sovrastato da un silenzio rumoroso inquietante. Un istante lunghissimo destrutturante. Prima di venire affossati dal fragore del crollo delle pareti avvolgenti come le spire di un serpente al collo. Ecco allora partire impazzita una cassa sincopata carica di tensione. Lentissima e velocissima allo stesso tempo. In bilico tra estasi e ripartenze convulse. In tale dinamicità impazzita non c'era più tempo, né la possibilità di articolare le parole in frasi di senso compiuto. Rimanevano solo balbettii frammentari assemblati insieme a mattoncini di rumore tenuti su da potenti pulsazioni basse penetranti al punto da sgretolare i muri per le vibrazioni. Eppure non era un abbandonarsi al caos, ma un nuovo grado di organizzazione dello stesso a partire da un livello di complessità più elevato. La sfida dei nostri giorni. In fondo quella di sempre. Solo uno step più oltre.
Di certo fossero nati ora i Joy Division sarebbero stati tra di loro.
Sei andata al concerto?
Si.
Già questo bastava per farla emergere da tutto.
Come in un film di Fellini. Quando uno spot illuminava il personaggio di turno tirandolo in disparte.
All'improvviso si era aperto un canale di comunicazione.
Anch'io mi interesso di post dubstep.
Ah... Si chiama così?
Si.
Ma si ballava?
Certo!
Tutti insieme.
Da tempo immemore non si gettava nella mischia. Piuttosto preferiva stare dietro la consolle o meglio affidarsi al proprio scassato pc. Sotto sotto il vero dj di turno grazie alla funzione shaffle. Che so in ciclofficina con gli amici o ancor più a casa. Di sicuro non la si poteva più definire musica da ballo. Piuttosto era uno sprofondare nelle proprie macerie. Spesso da solo. Per testimoniare a non so bene chi di essere ancora sopravvissuto. Non senza epicità.
Finito yoga si separarono.
Fuori della sala si sedettero distanti l'uno di fronte a l'altra immersi nella penombra del corridoio antistante.
Mentre si cambiavano alzò lo sguardo verso di lei.
Lo stava osservando incuriosita.
Non senza essere sorpresa.
Il volto spiazzato brillava di silenzio.
Un fascio di luce li tenne uniti per un po'.
Un tempo lunghissimo come le pause di James Blake.
Prima di sprofondare secco nel buio rumoroso, indifferente di tutti i giorni.

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