venerdì 14 ottobre 2011

A morte lo zen e l'arte della manutenzione della bicicletta

Era inevitabile?
Nessuno può dirlo.
In tempi di crisi tutto si sospende. Spesso emergono comportanti inaspettati dettati più dalla sofferenza del cambiamento in atto. Difficile sopportare la prospettiva di morire per nascere in altro.
Nel volgere di un anno o poco più si era passati dalla ciclofficina esistenziale sospesa, destrutturata, minimale, a quella funzionale del fare.
Ma l'estate aveva portato scompiglio.
Alle più o meno complesse forme di stare insieme intorno alla bici si era affermato il caos anarchico. Ogni pratica comunitaria si era andata a farsi benedire. Così, vuoi per la mancanza di una parte dei ciclofficinari, vuoi per il naturale rilassamento estivo, c'era chi ne aveva approfittato. A man bassa avevano depredato la ciclofficina dei suoi strumenti, degli oggetti preziosi. Incuranti del futuro. Pronti a ferirla mortalmente. A tale situazione si era aggiunto la normale attitudine spensierata di chi veniva per la prima volta in ciclo senza avere le idee chiare.
Sarebbe bastato aspettare un po', dare modo a tutti di farsi le ossa, di innestare nuove dinamiche relazionali improntate sull'amicizia e la cura reciproca. Alla fine si sarebbe trovato un nuovo equilibrio. Se solo si fosse rimasti ancora un poco in apnea. Resistendo, sopportando questi naturali momenti di riassetto.
Invece no!
C'è chi non ce l'ha fatta a sospendere e frenare il proprio impulso a agire.
Già da un po' di tempo in ciclofficina era affiorata una insana tentazione di ordine e di disciplina.
La forma è il contenuto... qualcuno urlava!
Tutto andava catalogato, reso disponibile in modo chiaro, secondo un senso palese capace di innestare i giusti comportamenti consequenziali nell'applicazione delle normali regole di manutenzione.
Basta con le bici fuori posto!
Anche la disposizione degli utenti andava regolamentata secondo un disegno preciso, economico, utilitaristico. Presi per mano i nuovi arrivati venivano condotti nei loro box già preordinati.
Da ora si aggiusta le bici solo dentro gli spazi della ciclo.
Chi sta fuori è escluso.
La manutenzione della bicicletta si era meccanicizzata.
Niente più inconvenienti o imprevisti.
Tutto era diventato logico, rigoroso, secondo una catena causale di azioni e di conseguenze previste.
O bianco o nero!
A volte si rasentava l'eccesso e per chi era abituato ai vecchi standard la cosa dava un po' fastidio. Anche perché al caos creativo di prima si era sostituito un apparato gestionale di certo efficiente però disumano. La tecnica aveva prevalso sull'uomo. La ciclofficina utilitaristica portata all'eccesso era divenuta post-human. In linea con le tendenze generali già viste all'interno di una società tecnocratica, biopolitica.
Se prima si riusciva a perdonare le fisiologiche idiosincrasie grazie a delle dinamiche affettive compensatorie, ora in nome del senso, della verità si preferiva la disciplina, l'allineamento. Mossi da un antico spirito utopico di educazione certamente autoritario, pronto a sacrificare sull'altare della funzionalità tutto, compresa l'amicizia e le sue dinamiche non lineari.
A conti fatti tale regime austero non sarebbe durato a lungo.
La forza arcana della ciclofficina avrebbe prevalso ancora una volta.
Troppo duro il prezzo da pagare per i sacrificatori di turno, per i normali utenti privati delle loro abituali libertà.

mercoledì 12 ottobre 2011

Minuteria

Strati su strati di bulloni, viti, nipple, piccoli oggetti di ferro più o meno accatastati nei luoghi del riciclo. Dei piccoli contenitori a cassetti appoggiati al muro con su scritto il nome della categoria generica. Che so coni, sferette, chiavelle... Ma il luogo più interessante è un contenitore a settori abbastanza grosso da coprire la superficie increspata di un vecchio tavolo di legno. Quello è l'abisso della ciclofficina. Il punto zero dove affonda la struttura complessa di una bicicletta. Sorta di buco nero capace di assorbire la materia ordinata per neutralizzarla. Lì c'è il livello minimo, atomico dal quale potrà rigenerarsi qualsiasi cosa. Basta un po' di pazienza e una non comune predisposizione archeologica. La sedimentazione delle ciclofficine passate ha compiuto il suo corso. Ne rimangono solo le tracce confuse, mescolate.
Chi ha messo lì i pezzi?
Chi li ha smembrati e conservati?
Di loro rimane le vestigia del lavoro di sminuzzamento, l'attitudine a differenziare il materiale in categorie distinte. Mossi dalla pulsione di fare ordine, di dare luogo a un nuovo corso tutto da inventare.
Con il ditino indice proteso in avanti, la testa bassa, lo sguardo focalizzato su di un piccolo settore si rovista piano piano spostando il materiale a destra e sinistra. Di poco. A caso. Come farebbe un bravo archeologo sulla sabbia a caccia di reperti. Qualcosa emergerà da tale caos. Mescolandolo ancora. Basta avere un'idea vaga di cosa cercare in tanto marasma. Si lavora in prospettiva. Raccogliendo pezzo dopo pezzo come con un mosaico. Senza sapere bene dove si arriverà. Piuttosto ci si lascia guidare dall'intuito. Alla fine i pezzi combaceranno in qualche modo. Prima o poi emergerà una forma conchiusa, un oggetto di nuovo funzionale.
Il piacere della ricerca è immenso.
Ci si può passare ore e ore a rovistare nel nulla per portare quei frammenti a essere ancora qualcosa.
La varietà incontrata è sorprendente.
Una quantità smisurata di minuteria tutta differente inventata per scopi oramai dimenticati.
Massimo il potere creativo.
Lo stesso di quando si giocava con i lego.
Ci puoi costruire un grattacielo se vuoi.
A partire da un nulla.
La formula segreta della creatività.
Oltre il regno della tecnica, della funzionalità seriale.
Basta immergersi.
Stare in apnea il più possibile per scovare i frammenti giusti.
La seduzione dell'oggetto è totale.
Si viene posseduti dalla forma di una vite, di un bullone.
Tanta l'ammirazione e lo sconcerto per il pezzo trovato.
Si potrebbe arrivare sulla luna da lì.
Con un po' di volontà, un pizzico di spirito critico. Il tutto condito da un'attitudine creativa non facilmente incline a lasciarsi influenzare dalla mancanza, dalla paura abissale.
Prima però bisogna sospendere tutto.
Fissarsi lì in quei pochi centimetri davanti al naso senza fiatare.
Qualcosa succederà.

lunedì 3 ottobre 2011

La ciclofficina spettacolare

A fianco di tutte le ciclofficine finora affrontate, quella esistenziale, del fare, utilitaristica, antieconomica, esiste un ulteriore livello tenuto finora in ombra.
Di tutti è il più astratto, il meno tangibile.
Però c'è. E sebbene faccia fatica a affrontarlo mi trovo costretto a parlarne. Per onore del vero.
Si tratta della ciclofficina virtuale, evenemenziale, spettacolare, mediatica. Come già accennato di tutte è la più inconsistente. Forse non sussiste nemmeno. Anche perché non ha bisogno di un luogo per esistere. Basta solo se ne parli. Attraverso i blog, per radio, sul giornale. Sono loro a decretarne l'esistenza. Alla fine a contare più di tutto è l'evento in sé isolato da una volontà ostinata a far emergere qualcosa dal silenzio, dall'oscurità. Per farlo entrare strumentalmente nel circuito della comunicazione, del dialogo al fine di parlare d'altro. Di politica, di moda, di sociologia, di costume. Per scovare che so... lo spirito del tempo, per denunciare gli abusi sociali in nome della giustizia.
Tale ciclofficina ha i suoi sacerdoti e i suoi adepti. Per farne parte è sufficiente partecipare a una riunione reale o virtuale al fine di far emergere una volontà generale condivisa. Il prezzo la separazione tra la parola e l'azione, il legislativo dall'esecutivo, l'atto locutorio dal performativo. Non più dico mentre faccio ma qualcuno farà qualcosa secondo quanto disposto. Così c'è chi pensa l'evento per farne oggetto di condivisione attraverso i media e chi si adopererà per allestirlo ad hoc. Bell'è pronto per apparire sulla scena davanti ai riflettori avidi di inquadrature, di notizie apprezzabili. Entrambi complici della società dello spettacolo, della violenza dell'opinione fondatrice di verità, del consenso, nonché strumento. Una volta consumato l'evento chi s'è visti s'è visti. Le biciclette scassate ritornano a vegetare tra cumuli irriducibili di spazzatura e di sporcizia, tra detriti informi in attesa di essere catturate e valorizzate da uno sguardo oggettivizzante poco incline a sporcarsi le mani.

domenica 2 ottobre 2011

La ciclofficina a nudo

Punto a capo.
La ciclofficina è di nuovo senza timoniere.
Va alla deriva allo sbaraglio come una nave fantasma.
Ma non affonda.
Resiste nonostante le falle, nonostante sia stata depredata degli strumenti necessari. Le chiavi inglesi, lo smaglia catene, i tiraraggi.
Senza più capo il caos ha prevalso di nuovo.
Ogni cosa è abbandonata dagli utenti distratti dove capita.
C'è ancora qualcuno intento a reclamare una dieci.
Ma nessuno risponde.
Pazienza, occorre trovare un'altra soluzione.
Oggi ad aprire c'è solo Igor.
Senza di lui i battenti sarebbero rimasti giù.
Non c'è la calca del mercoledì, quando la ciclo si riempe di studenti impazienti di aggiustare la bici nel modo più veloce possibile. Non senza un pizzico di arroganza.
Dopo la ciclofficina esistenziale, del fare cosa accadrà ancora?
A resistere come nulla fosse è solo la ciclofficina migrante. E Said è il suo profeta.
Lo scopo è minimale. Aggiustare la bici quel tanto necessario per farla funzionare sulla strada l'indomani. Non conta il tipo di guarnitura, la marca dell'asse della ruota. Basta solo farle camminare ancora un po' con quanto a disposizione. Lo stretto necessario. Riciclando il più possibile. Questa è la ciclofficina più primitiva, originaria. Lo zoccolo duro da cui potrà emergere ancora chissà quale nuova forma di vita complessa.
Eppure in tanta disorganizzazione c'è qualcuno mosso da uno spirito originale.
Alessandro ha trovato nel cortile di casa una bici abbandonata con il telaio storto. Si è sentito in dovere di ridonarle un'altra chance. Come fosse stato infatuato da quell'oggetto reclamante ancora vita. Con tutto se stesso ha accettato la sfida all'apparenza impossibile. Dopo averla smontata pezzo dopo pezzo sta portando il telaio ferito a nudo. Seduto in un angolo gratta delicatamente la vernice azzurra con la carta vetrata. Piano piano emerge in superficie un argento luminoso. Non durerà per molto. In poco tempo prevarrà la ruggine. Ma anche così l'effetto è mozzafiato.
Intanto il vero problema rimane il telaio storto.
Non sarà facile riportarlo a un nuovo equilibrio.
Però non si perde d'animo.
Fiducioso continua la sua missione.
Non importa finire oggi.
Prima o poi si arriverà.
Alessandro ha portato pure una bottiglia di vino.
Vuole condividere questi momenti con qualcuno.
Sotto sotto da vita alla sua idea di ciclofficina.
In silenzio.
Senza apparire.
Dopo l'ennesimo sterminio la ciclofficina regredita a un nuovo grado zero di significazione è pronta per risorgere dalle sue ceneri.
Il vecchio è già digerito. Disperso tra le macerie di tentativi di ordine andati a vuoto. Tra tanto caos c'è ancora lo spazio per generare nuove possibili opportunità.
La ciclofficina sotto sotto è in fermento.
Lei non si preoccupa affatto del suo futuro.
Sempre pronta a rigenerarsi come un'araba fenice.
Quante volte è stata data per morta.
Eppure è ancora lì. A dispetto di quanti ne hanno preventivato la fine. Piuttosto sono stati loro a scomparire risucchiati dalla vita.
Impossibile non rimanere affascinati da tanta potenzialità pronta a esplodere all'improvviso.
Nuova vita alla nuova ciclofficina!


Ampioraggio
Forse è finito un ciclo.
Tutto quanto c'era da apprendere è stato preso.
Ora rimane il tempo di restituirlo a qualcun altro.
Per svuotarsi ulteriormente, per ricambiare il dono.
Ai nuovi, a chi è desideroso di intraprendere tale cammino.
Per non fermare l'esperienza all'interno del ciclo dell'identico.
In modo da far dischiudere nuove opportunità!
Questa ciclo ha fatto il suo tempo.
È ora di battere nuovi sentieri inesplorati tutti da scoprire.
Mettendosi a nudo ancora!
Aprendosi a nuovi orizzonti.

giovedì 22 settembre 2011

In missione

È notte fonda.
In un vicolo buio cieco sta adagiata una bicicletta da corsa Montanari. È senza lucchetto. Abbandonata al suo destino.
È bellissima... tutta guarnita campagnolo con la sella brooks!
Da mesi sta lì. Un gioiello ignorato sotto una coltre di polvere e smog! Da vari giorni è entrata nel nostro mirino. Senza fretta l'abbiamo lasciata lì! In attesa di deciderne la destinazione!
Nel frattempo nessuno l'ha presa!
È ancora dove l'abbiamo vista la prima volta!
Ad Ancona a un nostro amico è stata rubata la bici da corsa e non sa come fare!
È arrivato il momento di agire!
Con la fissa lanciata mi spingo repentino verso la meta agognata come attratto da una calamita irresistibile.
Niente può distogliermi. Non vedo altro.
Ancora poche pedalate e ci sono!
Rallento un poco per trovare il passaggio giusto tra le macchine parcheggiate al centro della carreggiata per attraversare la strada!
In giro non c'è più nessuno.
Poi all'improvviso una ragazza giovane con il casco in mano mi corre incontro gridandomi di fermarmi.
Di sicuro ha meno di diciotto anni.
Mi racconta la sua storia.
Non ci faccio caso più di tanto, tanto non cambierebbe nulla.
Deve prendere un taxi...
Se no ciccia... niente ritorno a casa...
E non fa più caldo come qualche giorno indietro.
Non ho moneta cartacea... Solo qualche spiccio. Il resto del resto.
Decido di aiutarla per quanto posso.
Mi colpisce una sua frase...
Se tutti quanti incontrati mi avessero dato due euro il problema sarebbe già risolto...
E va bé ecco i due euro...
Quanto atteso... né più né meno.
Non troppo per me, abbastanza per lei...
E in bocca al lupo!
Riprendo la strada sebbene con tanta perplessità e stupore. Come se qualcosa di potente si fosse frapposto ai miei progetti segreti. Quasi un presagio! Qualcosa si è incrinato. E non sono più tranquillo e deciso. La sensazione è di stare trasgredendo qualcosa di profondo.
Pieno di dubbi imbocco la strada.
La percorro fino in fondo.
La bici non c'è più presa da chissà chi.
Di colpo un senso di leggerezza mi pervade.
Mi sento all'improvviso libero, affrancato da tutto.
Mi torna pure il sorriso.
Dietrofront!
Danzando sulla bicicletta me ne torno a casa.
Buonanotte a tutti!

giovedì 15 settembre 2011

Nuova vita

Per le strade desolate, negli angoli più oscuri lontano dalle luci dei lampioni giacevano biciclette ferite mortalmente.
Ancora poco e sarebbe stata la fine.
Già monche di una ruota, di una sella aspettavano il colpo definitivo. Che so la perdita dei pedali, dei freni ad opera dello sciacallo di turno.
Legate al palo da una grossa catena altro non potevano fare se non guardare inermi il proprio sfascio.
A ogni colpo si levava alto nella notte l'urlo dalle lamiere contorte e arrugginite.
Non durava per molto.
Dopo ripetuti colpi man mano le forze venivano meno.
Allora non si sentiva più nulla.
Stremate si lasciavano morire in silenzio durante la spoliazione selvaggia.
Quanto rimaneva sarebbe finito nel dimenticatoio come lo scheletro di tanti animali del deserto incappati in circostanze avverse. Tutto il resto avrebbe rimpolpato vecchie biciclette inferme in attesa di un trapianto.
Le più esposte le più belle. Quelle con gli ornamenti ricercati, una guarnitura di marca, dei pedali resistenti.
Per loro la fine era quasi immediata.
Per le altre l'agonia durava molto più.
In attesa del colpo di grazia.
Tra di esse, le più sprovvedute o lungimiranti, aspettavano il salvatore. L'uomo della notte venuto a portare altra vita, a suturare le ferite con nuovi pezzi.
Come novelle Lazzaro speravano nel miracolo della resurrezione.
Ma quell'incontro non si era ancora verificato.
Da tempo immemore aspettavano invano.
Tutti quanti si erano avvicinati lo avevano fatto solo per depredarle di qualcosa.
Difficilmente quella sera sarebbe successo il contrario.

venerdì 2 settembre 2011

Memorie di uno schiavo

A far compagnia alla zia ora c'è anche Yzu.
È morto la fine di agosto.
Di cancro.
Come la zia.
Sembra non si sia voluto affidare alle cure del caso e abbia accettato di restituire tutto prima possibile per essere definitivamente libero. Lui che si chiamava per scelta Yzu schiavo.
La notizia non sorprende più di tanto.
Aveva la morta scritta in corpo, nel volto.
In fondo come tutti.
Però lui non lo nascondeva.
Per un po' ha provato a prendersene beffa, a sfidarla.
Come scagliarsi contro i mulini a vento.
Forse morire è stata una soluzione.
Non so se un bene.
Comunque una liberazione.
Dal mal di vivere.
Dal risentimento di esserci.
Dopo aver appreso la notizia, di notte sono andato a vedere la sua pagina internet. A caccia delle ultime tracce lasciate.
Al posto della solita foto c'erano le sacche di sangue con i tubi allacciati.
Una scena già vista.
Ironica per chi vestiva abitualmente i panni di un vampiro randagio assetato di alcol.
Durante l'estate, con la zia moribonda, l'ho incontrato più di una volta al solito baretto vicino al teatro comunale.
L'aspetto non era per niente buono.
Ma non troppo differente da tante altre volte reduce da sbronze, nottate insonni.
Sapeva tutto ma non ha mai lasciato trapelare nulla. Come se non stesse succedendo niente di particolare.
In fondo si muore da sempre.
Con il contagocce.
Teneva tutto nel groppone in silenzio.
Con la pesantezza camuffata di un Atlante.
Senza fiatare.
Portando sulle spalle il proprio fardello.
Con dignità.
Sempre pronto alla battuta.
Fino alla fine.