Oltre ogni melanconia.
Al di là della speranza.
Provo a giocare con il potenziale.
In qualsiasi forma si presenti.
Nei modi, nei luoghi piu impensati.
Stando ai margini.
L'unica chance concessami per trascendere questa attualità.
Anche solo per un istante.
Sperimento una “debole forza messianica”.
Sottosogliare.
Non critica, apocalittica.
O comunque rivoluzionaria.
Roba da armata Brancaleone.
Alla Don Chichotte.
A conti fatti la rivoluzione non so nemmeno cosa sia.
Si tratta piuttosto di resistere.
Nonostante tutto.
Contro tutti.
Quando possibile.
giovedì 30 settembre 2010
venerdì 24 settembre 2010
Destino e rivoluzioni lunari
Destino
Non so cosa c'era prima.
Quali tavolette abbiamo scelto in sorte.
O quale bottone abbiamo pigiato senza saperlo.
Ma lo scenario apertosi è stato sublime.
Spiazzante.
Ammutolente.
Un'annunciazione nel deserto.
Un'epifania sottile.
Un chiamare e un rispondere reciproco.
Sento ancora viva la tua voce tremante.
Tanta la sorpresa di trovarmi li.
Quanto durerà?
Chi lo sa.
Magari è stata solo casualità.
Però la più improbabile.
Quante volte infinite si è ripetuta la scena senza successo?
Io in bici e tu a piedi.
Quante volte ci siamo cimentati a vuoto su quella salita amena senza incontrarci.
Immersi nei propri pensieri.
Nei propri silenzi.
Aspettando chissà cosa.
Quale incastro cosmico ha permesso ieri quella svolta?
Quale rivoluzione.
Non so rispondere.
Rimango ancora stupito.
All'ombra di una luna crescente spaccata nettamente in due.
Sullo sfondo di un cielo limpido di fine estate.
Rivoluzioni lunari
Anche oggi tramonterai dall'orizzonte.
Dopo esserti mostrata totalmente.
Scomparirai.
Per apparire in nuove forme.
Intanto assisto alla tua dissoluzione.
Differenze insanabili emergeranno.
Fino all'ecatombe.
Quando la luce del tuo volto si spegnerà del tutto.
Allora nuova vita sgorgherà ancora.
Inaspettata.
Si sarà ancora pronti?
Disposti a risuonare armonicamente insieme?
Però non passivamente.
Continuando a resistere a oltranza.
Per partecipare a qualcosa di entusiasmante.
Da definire.
Oltre eros.
Oltre agape.
Al di là di un divenire indifferente, spietato.
Al di là di una staticità paralizzante, anestetizzante.
Non so cosa c'era prima.
Quali tavolette abbiamo scelto in sorte.
O quale bottone abbiamo pigiato senza saperlo.
Ma lo scenario apertosi è stato sublime.
Spiazzante.
Ammutolente.
Un'annunciazione nel deserto.
Un'epifania sottile.
Un chiamare e un rispondere reciproco.
Sento ancora viva la tua voce tremante.
Tanta la sorpresa di trovarmi li.
Quanto durerà?
Chi lo sa.
Magari è stata solo casualità.
Però la più improbabile.
Quante volte infinite si è ripetuta la scena senza successo?
Io in bici e tu a piedi.
Quante volte ci siamo cimentati a vuoto su quella salita amena senza incontrarci.
Immersi nei propri pensieri.
Nei propri silenzi.
Aspettando chissà cosa.
Quale incastro cosmico ha permesso ieri quella svolta?
Quale rivoluzione.
Non so rispondere.
Rimango ancora stupito.
All'ombra di una luna crescente spaccata nettamente in due.
Sullo sfondo di un cielo limpido di fine estate.
Rivoluzioni lunari
Anche oggi tramonterai dall'orizzonte.
Dopo esserti mostrata totalmente.
Scomparirai.
Per apparire in nuove forme.
Intanto assisto alla tua dissoluzione.
Differenze insanabili emergeranno.
Fino all'ecatombe.
Quando la luce del tuo volto si spegnerà del tutto.
Allora nuova vita sgorgherà ancora.
Inaspettata.
Si sarà ancora pronti?
Disposti a risuonare armonicamente insieme?
Però non passivamente.
Continuando a resistere a oltranza.
Per partecipare a qualcosa di entusiasmante.
Da definire.
Oltre eros.
Oltre agape.
Al di là di un divenire indifferente, spietato.
Al di là di una staticità paralizzante, anestetizzante.
sabato 11 settembre 2010
Un piccolo paradiso per un giorno
Era arrivato a Stiore da solo.
Con la bici da corsa dopo una pedalata di circa trenta chilometri per la bassa.
Tirando a tutta per essere puntuale.
Quei posti li conosceva bene.
Erano gli itenerari soliti.
Per questo sapeva individuare tutte le scorciatoie e le strade secondarie.
Anche per evitare il traffico.
Ma soprattutto per mirare paesaggi incantevoli lì a portata di mano. In particolare quando il sole tramonta e la luce riverbera in tante sfumature intense.
Lì c'era l'appuntamento con i suoi amici.
Un luogo solitamente ameno ai più.
Di sicuro tagliato fuori da tutte le mappe turistiche di qualsiasi genere.
Un gruppo doveva venire da Savigno reduci da un matrimonio in campagna.
Una sorta di cerimonia pagana propiziatrice della vita.
Con i loro djembé avevano animato la nottata.
Guidati da Bacco avevano tirato l'alba.
Fino a quando una nebbia alcolica aveva preso il sopravvento.
Allora chi nel camper, chi nel sacco a pelo o dove possibile avevano depositato i loro corpi provati.
Dopo tali eccessi, Stiore poteva essere il posto giusto per rifocillarsi e riprendere le forze.
L'altro gruppetto sarebbe arrivato da Bologna.
Michele e la Cami erano da poco tornati da un giro in bici e tenda fino in Calabria.
Più di mille chilometri di avventura.
Abbandonati all'occasione pura e all'ospitalità casuale.
La festa di Stiore era un pretesto per riprendere insieme a pedalare.
Non solo.
Viaggiare in bici è anche un modo per affermare una scelta di vita differente e più sostenibile.
In fondo la macchina crea naturalmente una distanza.
Ti chiude in uno spazio protettivo.
Tu puoi vedere fuori e essere in parte nascosto dallo sguardo altrui.
Un po' come nei safari o al limite al cinema.
Lì è la pellicola a cambiare gli scenari.
Con la macchina sei tu a spostarti dentro.
Alla fine il risultato è lo stesso.
Con la bici invece è differente.
Si è più immersi nel contesto.
Non ci sono barriere di lamiera e di vetro.
Ci si vede negli occhi.
Anche se per un piccolo istante.
Senti i profumi e i rumori.
Inoltre può capitare più di frequente di smarrire la strada e essere costretti a chiedere informazioni.
Così diventa più naturale arrivare alla connoscenza di quelli del posto.
Se poi si è curiosi e desiderosi di sfidare la sorte, e si ha anche la sensibilità di cogliere al volo le situazioni giuste, si possono fare tanti incontri interessanti.
In fondo quando si va in questi posti in culo al mondo il gioco è abbastanza facile.
La domanda e l'offerta si incontrano facilmente.
Tu cerchi calore.
Loro buone nuove.
E tu porti quel tocco colorato all'interno della loro routine quotidiana.
Il tutto senza esagerazioni.
Se no si crea facilmente incomprensione e disturbo.
In questo senso la bici mantiene basso il profilo, esprimendo un certo stato di precarietà e di bisogno.
Per chi ti sta davanti viene naturale accoglierti e accudirti.
Se poi ritorni, sei subito riconosciuto.
Sei quello giunto in bici.
Vestito un po' strano.
Con i capelli lunghi spettinati dal vento.
Una strana borsa davanti al manubrio come la bisaccia dei viaggiatori del passato.
Per quanto puoi portare via, sarà sempre poco.
Perciò non sei temuto.
E poi se si è nella stagione giusta sfrecciare per le strade di campagna è come passeggiare in un piccolo Eden.
Lungo il ciglio della strada trovi di tutto.
Dalle ciliegie alle mele.
Dalle more alle prugne selvatiche, quelle un po' aspre.
Ma anche uva, nocciole, noci e castagne a seconda del periodo.
Così dopo aver pedalato per un po', quando comincia a affiorare la fatica, ti fermi davanti a tali prelibatezze.
Semplicemente allunghi la mano e ti rifocilli.
Quando sei stanco e affamato poi, tutto ti sembra buonissimo e allettante.
In ogni caso i prodotti presi dalla pianta sono più saporiti e genuini di quelli comperati in qualche supermercato.
In questo periodo la natura non è troppo avara e ci si può soddisfare con ciò di cui si ha bisogno.
A volte quando ci si spinge più in là verso la montagna si può arrivare in certi caseifici artigianali.
Allora a prezzi modici si può portare a casa anche del buon formaggio.
Almeno lì hai la possibilità di vedere di fianco le vacche al pascolo e un po' ci si sente garantiti.
Per concludere.
Se si riesce a concepire il giro in bici non solo come una performance atletica o un momento di sfogo, si possono fare tanti piccoli incontri fortuiti.
Un po' come se si fosse in viaggio sebbene a uno sputo da casa.
È vero non ti cambiano la vita.
Però se ci si lascia andare qualcosa di sorprendente accade sempre.
Quel lato epico celato anche in queste piccole esperienze alla fine viene fuori.
E quando meno te lo aspetti.
Basta essere ben disposti.
Cioè disimpegnati da tutto.
Dal lavoro, dagli affetti, dai sensi di fallimento o dal voler arrivare chissà dove a qualunque costo.
In fondo anche questo è un modo piacevole d'oziare.
Ovviamente nella sua accezione alta.
Come quella formulata dagli antichi.
Ma tornando a noi...
Quel giorno c'era anche la festa del vino a Calderino.
Un paese lì vicino.
Era quello l'evento clow del fine settimana.
Lì sarebbe confluita tutta la gente della piana.
Attirata dal nettare degli dei come le api dal miele.
Eppure si era optato per la piccola festa di Stiore, dedicata a sant'Egidio.
Un giusto equilibrio tra il diavolo e l'acqua santa.
Anche per continuare la tradizione dei don Camillo e don Peppone di turno. Sebbene qui più pacificati e spesso a braccetto insieme.
Stando al volantino ciclostilato, alla mattina si comincia con le laudi mattutine.
Poi c'è il torneo di burraco e la messa.
Una dietro l'altra tutto d'un fiato fino al pranzo gestito dall'associazione culturale del luogo.
Dopo il caffé ancora burraco, la tombola e i balli medioevali.
Nient'altro?
A i vespri.
Per chiudere la giornata ringraziando le divinità autoctone qui ancora vive.
Anche perché la vallata sembra un piccolo protettorato del paradiso in terra. Preservata da tutte quelle calamità metropolitane così caotiche e perturbanti.
Per questo non è difficile vedere affiorare il sorriso nel volto di quelli del luogo.
Nella loro semplicità sanno trasmetterti calore e affetto.
Basta uno sguardo, un piccolo gesto e ti senti subito in sintonia con loro.
Qua i ritmi sono differenti dal tram tram quotidiano e la gente non è stressata.
In più il vino è quello buono.
Direttamente prelevato dalle botti del contadino.
Al bar, non ci si arrovella certo a come fare la cresta sul pellegrino di turno.
Un bicchiere di cabernet o di pignoletto costa solo settantacinque centesimi.
Record per ora battuto solo dal mitico ritrovo degli anziani di Castelbellino.
Nelle Marche.
Lì un bicchiere di verdicchio alla “spina”, prelevato ingegnosamente dalla damigiana e refrigerato al momento, lo si prende a quaranta.
Senza parole.
Come si diceva, lo scopo non è arricchirsi.
Piuttosto si prova a vincere la ripetitività della natura.
Allora ci si stringe fianco a fianco tutti insieme.
Magari bevendo un sorso di vino sotto l'ombra del portico antistante il bar del circolo culturale.
Quando si entra dentro si vede subito sulla sinistra un banchetto di libri.
Anche per non tradire una certa vocazione culturale.
I libri sono di seconda mano.
I titoli se ci si avvicina un po' di più possono sorprendere.
Ma sono la fotografia più autentica di un'Italia anfibia.
Quella silenziosa dedita umilmente a portare avanti tutta la baracca.
Di certo non è esposta al vento travolgente dell'ultima novità di mercato.
Oltre a trovare romanzi gialli e d'amore appassionato del tipo nove settimane e mezzo fa bella mostra anche Manzoni con il suo libro più famoso.
I promessi sposi.
Incredibile.
Un libro normalmente dato al macero dopo il filtro scolastico tritatutto.
Oggi la “libreria” è stata spostata fuori sulla piazzetta antistante insieme alle altre bancarelle.
Lì si possono trovare vestiti e bigiotteria di ottima fattura e a prezzi stracciati.
Ripeto lo scopo non è quello di guadagnare.
Ma è solo il pretesto per incontrarsi, parlare insieme, conoscersi, fare battute, spettegolare un po' ma senza malizia.
Anche per rendere un po' più memorabile la giornata.
Il tutto funziona.
E si viene contagiati piacevolmente da questo spirito magico senza troppi effetti speciali.
Qui ci si commuove con poco.
Ma è l'essenziale.
Per questo non c'è bisogno di musica urlata come sfondo.
Al massimo si sente il vociare della chiacchiara paesana, qualche risata, il rumore degli oggetti spostati e dei bicchieri.
A commuovere è lo stringersi insieme come si stesse davanti al focolare del salotto buono del paese.
In effetti ogni cosa è ordinata e pulita.
Il tutto mette di buon umore e predispone all'apertura.
Di fianco alla tavolata del pranzo c'è anche un biliardino.
Ovviamente non occorrono monete per gareggiare.
Chi vuole può cimentarsi.
Ricordandosi che si è in collina.
Così il campo pende un po'.
Però basta farci l'abitudine.
Tutto è fatto per gioco.
Non a caso i giovani del paese si divertono a portare le succulenti pietanze locali, compreso il friggione
Il tutto con delicatezza e leggerezza.
Insomma bravi ragazzi impegnati a svolgere al meglio il loro compito.
Grazie a loro, polenta e stracchino, lasagne al ragù, carne ai ferri giungono a destinazione nei tavoli numerati.
Ce ne sono una quindicina.
Ma tanto basta a soddisfare la richiesta dei commensali.
Alla fine tutti riescono a trovare posto.
E poi per chi volesse strafare...
Crescentine e tigelle dopo le quattro.
Imperdibili!
Nonostante il chilometro di salita ripida lì ad attenderci subito ai piedi di Monte Oliveto.
Vabbè meglio non pensarci.
E farsi un'altro bicchiere di cabernet.
Non prima di aver partecipato all'immancabile tombola e ai balli medioevali francesi.
Un modo per poter mostrare sotto tanta semplicità anche un lato nascosto raffinato.
Spiazzanti!
Tra quei campi di uva e di ciliegie sembra essersi realizzato miracolosamente quel connubio tra cielo e terra all'apparenza impossibile.
Almeno per questa domenica.
Nonostante la pioggia pomeridiana abbia provato a rovinare tutto.
A monito per gli altri giorni a venire...
Con la bici da corsa dopo una pedalata di circa trenta chilometri per la bassa.
Tirando a tutta per essere puntuale.
Quei posti li conosceva bene.
Erano gli itenerari soliti.
Per questo sapeva individuare tutte le scorciatoie e le strade secondarie.
Anche per evitare il traffico.
Ma soprattutto per mirare paesaggi incantevoli lì a portata di mano. In particolare quando il sole tramonta e la luce riverbera in tante sfumature intense.
Lì c'era l'appuntamento con i suoi amici.
Un luogo solitamente ameno ai più.
Di sicuro tagliato fuori da tutte le mappe turistiche di qualsiasi genere.
Un gruppo doveva venire da Savigno reduci da un matrimonio in campagna.
Una sorta di cerimonia pagana propiziatrice della vita.
Con i loro djembé avevano animato la nottata.
Guidati da Bacco avevano tirato l'alba.
Fino a quando una nebbia alcolica aveva preso il sopravvento.
Allora chi nel camper, chi nel sacco a pelo o dove possibile avevano depositato i loro corpi provati.
Dopo tali eccessi, Stiore poteva essere il posto giusto per rifocillarsi e riprendere le forze.
L'altro gruppetto sarebbe arrivato da Bologna.
Michele e la Cami erano da poco tornati da un giro in bici e tenda fino in Calabria.
Più di mille chilometri di avventura.
Abbandonati all'occasione pura e all'ospitalità casuale.
La festa di Stiore era un pretesto per riprendere insieme a pedalare.
Non solo.
Viaggiare in bici è anche un modo per affermare una scelta di vita differente e più sostenibile.
In fondo la macchina crea naturalmente una distanza.
Ti chiude in uno spazio protettivo.
Tu puoi vedere fuori e essere in parte nascosto dallo sguardo altrui.
Un po' come nei safari o al limite al cinema.
Lì è la pellicola a cambiare gli scenari.
Con la macchina sei tu a spostarti dentro.
Alla fine il risultato è lo stesso.
Con la bici invece è differente.
Si è più immersi nel contesto.
Non ci sono barriere di lamiera e di vetro.
Ci si vede negli occhi.
Anche se per un piccolo istante.
Senti i profumi e i rumori.
Inoltre può capitare più di frequente di smarrire la strada e essere costretti a chiedere informazioni.
Così diventa più naturale arrivare alla connoscenza di quelli del posto.
Se poi si è curiosi e desiderosi di sfidare la sorte, e si ha anche la sensibilità di cogliere al volo le situazioni giuste, si possono fare tanti incontri interessanti.
In fondo quando si va in questi posti in culo al mondo il gioco è abbastanza facile.
La domanda e l'offerta si incontrano facilmente.
Tu cerchi calore.
Loro buone nuove.
E tu porti quel tocco colorato all'interno della loro routine quotidiana.
Il tutto senza esagerazioni.
Se no si crea facilmente incomprensione e disturbo.
In questo senso la bici mantiene basso il profilo, esprimendo un certo stato di precarietà e di bisogno.
Per chi ti sta davanti viene naturale accoglierti e accudirti.
Se poi ritorni, sei subito riconosciuto.
Sei quello giunto in bici.
Vestito un po' strano.
Con i capelli lunghi spettinati dal vento.
Una strana borsa davanti al manubrio come la bisaccia dei viaggiatori del passato.
Per quanto puoi portare via, sarà sempre poco.
Perciò non sei temuto.
E poi se si è nella stagione giusta sfrecciare per le strade di campagna è come passeggiare in un piccolo Eden.
Lungo il ciglio della strada trovi di tutto.
Dalle ciliegie alle mele.
Dalle more alle prugne selvatiche, quelle un po' aspre.
Ma anche uva, nocciole, noci e castagne a seconda del periodo.
Così dopo aver pedalato per un po', quando comincia a affiorare la fatica, ti fermi davanti a tali prelibatezze.
Semplicemente allunghi la mano e ti rifocilli.
Quando sei stanco e affamato poi, tutto ti sembra buonissimo e allettante.
In ogni caso i prodotti presi dalla pianta sono più saporiti e genuini di quelli comperati in qualche supermercato.
In questo periodo la natura non è troppo avara e ci si può soddisfare con ciò di cui si ha bisogno.
A volte quando ci si spinge più in là verso la montagna si può arrivare in certi caseifici artigianali.
Allora a prezzi modici si può portare a casa anche del buon formaggio.
Almeno lì hai la possibilità di vedere di fianco le vacche al pascolo e un po' ci si sente garantiti.
Per concludere.
Se si riesce a concepire il giro in bici non solo come una performance atletica o un momento di sfogo, si possono fare tanti piccoli incontri fortuiti.
Un po' come se si fosse in viaggio sebbene a uno sputo da casa.
È vero non ti cambiano la vita.
Però se ci si lascia andare qualcosa di sorprendente accade sempre.
Quel lato epico celato anche in queste piccole esperienze alla fine viene fuori.
E quando meno te lo aspetti.
Basta essere ben disposti.
Cioè disimpegnati da tutto.
Dal lavoro, dagli affetti, dai sensi di fallimento o dal voler arrivare chissà dove a qualunque costo.
In fondo anche questo è un modo piacevole d'oziare.
Ovviamente nella sua accezione alta.
Come quella formulata dagli antichi.
Ma tornando a noi...
Quel giorno c'era anche la festa del vino a Calderino.
Un paese lì vicino.
Era quello l'evento clow del fine settimana.
Lì sarebbe confluita tutta la gente della piana.
Attirata dal nettare degli dei come le api dal miele.
Eppure si era optato per la piccola festa di Stiore, dedicata a sant'Egidio.
Un giusto equilibrio tra il diavolo e l'acqua santa.
Anche per continuare la tradizione dei don Camillo e don Peppone di turno. Sebbene qui più pacificati e spesso a braccetto insieme.
Stando al volantino ciclostilato, alla mattina si comincia con le laudi mattutine.
Poi c'è il torneo di burraco e la messa.
Una dietro l'altra tutto d'un fiato fino al pranzo gestito dall'associazione culturale del luogo.
Dopo il caffé ancora burraco, la tombola e i balli medioevali.
Nient'altro?
A i vespri.
Per chiudere la giornata ringraziando le divinità autoctone qui ancora vive.
Anche perché la vallata sembra un piccolo protettorato del paradiso in terra. Preservata da tutte quelle calamità metropolitane così caotiche e perturbanti.
Per questo non è difficile vedere affiorare il sorriso nel volto di quelli del luogo.
Nella loro semplicità sanno trasmetterti calore e affetto.
Basta uno sguardo, un piccolo gesto e ti senti subito in sintonia con loro.
Qua i ritmi sono differenti dal tram tram quotidiano e la gente non è stressata.
In più il vino è quello buono.
Direttamente prelevato dalle botti del contadino.
Al bar, non ci si arrovella certo a come fare la cresta sul pellegrino di turno.
Un bicchiere di cabernet o di pignoletto costa solo settantacinque centesimi.
Record per ora battuto solo dal mitico ritrovo degli anziani di Castelbellino.
Nelle Marche.
Lì un bicchiere di verdicchio alla “spina”, prelevato ingegnosamente dalla damigiana e refrigerato al momento, lo si prende a quaranta.
Senza parole.
Come si diceva, lo scopo non è arricchirsi.
Piuttosto si prova a vincere la ripetitività della natura.
Allora ci si stringe fianco a fianco tutti insieme.
Magari bevendo un sorso di vino sotto l'ombra del portico antistante il bar del circolo culturale.
Quando si entra dentro si vede subito sulla sinistra un banchetto di libri.
Anche per non tradire una certa vocazione culturale.
I libri sono di seconda mano.
I titoli se ci si avvicina un po' di più possono sorprendere.
Ma sono la fotografia più autentica di un'Italia anfibia.
Quella silenziosa dedita umilmente a portare avanti tutta la baracca.
Di certo non è esposta al vento travolgente dell'ultima novità di mercato.
Oltre a trovare romanzi gialli e d'amore appassionato del tipo nove settimane e mezzo fa bella mostra anche Manzoni con il suo libro più famoso.
I promessi sposi.
Incredibile.
Un libro normalmente dato al macero dopo il filtro scolastico tritatutto.
Oggi la “libreria” è stata spostata fuori sulla piazzetta antistante insieme alle altre bancarelle.
Lì si possono trovare vestiti e bigiotteria di ottima fattura e a prezzi stracciati.
Ripeto lo scopo non è quello di guadagnare.
Ma è solo il pretesto per incontrarsi, parlare insieme, conoscersi, fare battute, spettegolare un po' ma senza malizia.
Anche per rendere un po' più memorabile la giornata.
Il tutto funziona.
E si viene contagiati piacevolmente da questo spirito magico senza troppi effetti speciali.
Qui ci si commuove con poco.
Ma è l'essenziale.
Per questo non c'è bisogno di musica urlata come sfondo.
Al massimo si sente il vociare della chiacchiara paesana, qualche risata, il rumore degli oggetti spostati e dei bicchieri.
A commuovere è lo stringersi insieme come si stesse davanti al focolare del salotto buono del paese.
In effetti ogni cosa è ordinata e pulita.
Il tutto mette di buon umore e predispone all'apertura.
Di fianco alla tavolata del pranzo c'è anche un biliardino.
Ovviamente non occorrono monete per gareggiare.
Chi vuole può cimentarsi.
Ricordandosi che si è in collina.
Così il campo pende un po'.
Però basta farci l'abitudine.
Tutto è fatto per gioco.
Non a caso i giovani del paese si divertono a portare le succulenti pietanze locali, compreso il friggione
Il tutto con delicatezza e leggerezza.
Insomma bravi ragazzi impegnati a svolgere al meglio il loro compito.
Grazie a loro, polenta e stracchino, lasagne al ragù, carne ai ferri giungono a destinazione nei tavoli numerati.
Ce ne sono una quindicina.
Ma tanto basta a soddisfare la richiesta dei commensali.
Alla fine tutti riescono a trovare posto.
E poi per chi volesse strafare...
Crescentine e tigelle dopo le quattro.
Imperdibili!
Nonostante il chilometro di salita ripida lì ad attenderci subito ai piedi di Monte Oliveto.
Vabbè meglio non pensarci.
E farsi un'altro bicchiere di cabernet.
Non prima di aver partecipato all'immancabile tombola e ai balli medioevali francesi.
Un modo per poter mostrare sotto tanta semplicità anche un lato nascosto raffinato.
Spiazzanti!
Tra quei campi di uva e di ciliegie sembra essersi realizzato miracolosamente quel connubio tra cielo e terra all'apparenza impossibile.
Almeno per questa domenica.
Nonostante la pioggia pomeridiana abbia provato a rovinare tutto.
A monito per gli altri giorni a venire...
giovedì 19 agosto 2010
Turista non per caso
Essere turista in un piccolo paese montanaro abruzzese vuol dire appartenere a una categoria precisa di essere umano.
Innanzitutto non esiste sempre.
Va e viene a seconda del periodo.
Lo trovi soprattutto d'estate.
Ma anche a Natale e Pasqua, nei fine settimana soprattutto quando c'è il sole e ci si avvicina alla bella stagione.
Abitualmente il repertorio di azioni a lui associato è abbastanza esiguo. In ogni caso sono tutte riconducibili alla particolare condizione dello stare in vacanza. Ovvero in quello stato di ozio visto come svaccamento o anche come ricerca compulsiva di eventi per l'appunto turistico-culturali. Il tutto dalla mattina alla sera, per un tempo indefinito, di solito un paio di settimane, a volte anche per un mese, più di frequente per una manciata di giorni.
Nel primo caso il turista è propenso a non fare granché.
Può riposarsi a casa, in albergo, sulla spiaggia del lago o in qualunque posto adeguato per parcheggiare il proprio corpo tendente naturalmente alla stasi o al limite a una serie stereotipata di movimenti lenti. Per esempio può muovere un braccio per afferrare un drink o sollevare gli occhiali per mirare con cupidigia sempre le stesse identiche cose.
Comunque di solito va per la maggiore l'opzione di passare ore e ore immobili a crogiolarsi al sole, girandosi di tanto in tanto sopra la superficie d'appoggio occasionale come allo spiedo. Magari sorseggiando lentamente una bevanda fredda o sgranocchiando qualche prodotto tipico.
In ogni caso lo vedi in giro la sera quando si appropinqua alla piazza del luogo prescelto per abbandonarsi stanco in qualche sedia di bar o in una panchina.
Se gli va bene, qualcuno provvede a riempirgli la serata con un concerto, un piano bar, una lotteria o una sagra di paese. In fondo però non è così importante. Tanto per lui sarebbe lo stesso. A contare è lo stare lì a fare niente o quasi. Che so chiacchierare del più e del meno tra una birra e un sorbetto, oppure trascinare a rilento un ipertecnologico passeggino...
A questa figura di turista fondamentalmente inattiva e passiva si oppone il turista curioso e dinamico, a volte fino all'eccesso. Sempre desideroso di conoscere qualsiasi cosa. Quando raggiunge il suo scopo spesso si lascia andare a esclamazioni estasiate del tipo:
Bello...
Oohhh...
O altri mugugni similari.
Per arrivare in tale stato è pronto a spingersi dappertutto senza alcun ritegno.
Nulla deve sottrarsi al suo sguardo.
Ogni luogo va marcato e catalogato attraverso lo scatto di almeno una foto. Magari abbinandovi anche la propria figura per attestare la propria presenza agli amici.
La foto, nella sua staticità cronica, è riuscita a imporsi come supporto ideale per conservare la memoria di quegli eventi occasionali, conferendo loro la categoria dell'eternità.
In ricordo delle generazioni future si potrà attestare: Io c'ero. Anche quando quell'Io materiale si sarà dissolto in un: Egli c'era, e poi in un'entità ancora più astratta e ideale. Una pura virtualità dai connotati spesso impalpabili.
In ogni caso la piazza centrale diviene il punto di contatto delle due diverse categorie di turisti. Il luogo in cui si accordano e provano a convivere pacificamente.
In fondo non sono così dissimili. In quanto incarnano due facce della stessa identica medaglia, quella del lavoratore medio in vacanza con la famiglia al seguito. Anzi quel momento particolare diventa l'occasione sociale per esibire i propri capolavori.
Che so il prodotto di unioni oggi sempre più precarie. Oppure sé stessi dopo estenuanti cure maniacali necessarie per ben apparire. E quando ciò non basta si può sopperire alle presunte mancanze con bigiotteria colorata, magliette con scritte, pantaloni con ricami floreali, qualche tatuaggio e via dicendo.
Se va bene, si può arrivare anche alla conoscenza più approfondita dei propri simili, magari davanti al bancone della gelateria o grazie all'incontro scontro di passeggini occupati da pupi ben vestiti e compostissimi.
A volte galeotto può essere la passeggiata con il cane.
In questo caso lo sforzo da compiere è minimo.
Non sei più tu a dover scegliere.
Fa tutto lui.
Scodinzola, si avvicina o abbaja e ringhia secondo l'intensità dell'odorato, degli ormoni in circolo, del sesso.
L'unico inconveniente è l'essere consegnati in balia del destino e della natura, spesso cieca.
Ma non va sempre male.
Alla fine qualcuno o qualcosa di interessante lo si trova sempre.
Un giorno qualunque d'agosto passò per caso un tipo strano.
Non guardava i monumenti e comprava poco.
Passeggiava con gli altri ma tirava diritto senza cercare scritte storiche o insegne di macellerie ovine o di panificatori artigianali di dolci.
Teneva con sé un piccolo zaino da lui inseparabile.
Dopo aver preso un café al bar popolare, quello di solito frequentato dagli oriundi autoctoni del paese, continuò il suo girovagare.
Non si capiva bene cosa cercasse.
Alla fine trovò anche lui il suo posto.
Una panchina all'ombra sulla via principale tra due auto parcheggiate.
Si tolse lo zaino.
Lo aprì e estrasse una busta trasparente.
Per strada non c'erano più tanti turisti e nemmeno la gente del posto. Si era giunti infatti a l'ora della siesta o della pausa café come preludio per una eventuale pennichella pomeridiana.
In giro c'erano solo pochi fanciulli intenti a giocare con il niente.
Due di essi, lì nei paraggi, per un attimo si fermano incuriositi da quell'evento eccezionale.
Ei ma che fa quello?
Che cosa avrà mai tirato fuori dallo zaino?
Senza farsi notare fanno finta di continuare la passeggiata.
Poi alla prima occasione quella più vicina si volta di scatto e getta un'occhiata veloce.
Troppa è la curiosità per resistere.
Il viso luminoso e un po' sfacciato e lo sguardo tirato fino al limite ottengono il premio tanto cercato.
Dentro la busta trasparente si intravedono dei libri, dei fogli di carta, ma anche una penna verde e un evidenziatore.
Si sono due libri, però di quelli mai visti prima.
Eh no... non si tratta delle solite guide turistiche, né di mappe dettagliate di sentieri montani o di strette viuzze del paese.
Lo strano tipo li prende entrambi.
Comincia a leggerne uno per un po'.
Poi passa velocemente al secondo, aprendolo in mezzo, in una pagina ben precisa, per tornare funambolicamente all'altro.
Di colpo prende della carta bianca e comincia a scrivere quasi senza fermarsi più.
Nel mentre passa lì davanti una giovane ragazza down.
Deve cercare qualcosa in auto.
Supera il tipo senza dire nulla.
Ciao... si sente dire.
Risponde immediatamente... arrivederci... e poi sorride.
Intanto dalla finestra sopra la panchina si sente urlare in dialetto:
Melissa!
Ti chiami Melissa?
No... Melisa con una esse sola.
Dopo aver rovistato a lungo in macchina senza trovare nulla ritorna a casa.
Questa volta è lei a salutare.
Ciao!
Ciao...
Il tempo continua a passare ma quel signore non fa una piega.
Di solito i turisti stazionano lì per un po'. Che so per bere una coca, mangiare un mostacciolo, per consultare le carte da viaggio.
Poi però si alzano e riprendono il cammino.
No, lui invece sta lì quasi immobile, rapito da quei libri come se tutto il resto non esistesse.
Le due fanciulle a braccetto tornano indietro da dove erano venute.
Questa volta senza dire nulla si dirigono decise verso la stessa panchina e si seggono al suo fianco.
Parlano tra loro di altri fanciulli.
A un certo punto alla vicina di quel turista anomalo spunta fuori un cellulare color ciclamino.
Cerca una foto per mostrarla all'amica.
Il ragazzo, sospesa la lettura, dopo aver assistito in silenzio alla scena prova a conoscerle:
Ciao... siete di qui?
Si, siamo di qui.
Non c'è molto da fare, vero?
Già...
I più grandi si trovano di solito ai “giardinetti”.
Ma noi non siamo così grandi...
E tu sei un turista?
Un attimo di pausa prima della risposta, poi:
Beh... forse... ma non solo...
Non del tutto convinta dalla risposta, dopo aver giocato per un po' con la mascherina del cellulare mostrando una notevole abilità, di scatto si alza con la sua amica.
Legate indissolubilmente a braccetto continuano il loro girare spensierato in cerca di situazioni curiose.
Non prima di aver salutato con un sorriso.
Innanzitutto non esiste sempre.
Va e viene a seconda del periodo.
Lo trovi soprattutto d'estate.
Ma anche a Natale e Pasqua, nei fine settimana soprattutto quando c'è il sole e ci si avvicina alla bella stagione.
Abitualmente il repertorio di azioni a lui associato è abbastanza esiguo. In ogni caso sono tutte riconducibili alla particolare condizione dello stare in vacanza. Ovvero in quello stato di ozio visto come svaccamento o anche come ricerca compulsiva di eventi per l'appunto turistico-culturali. Il tutto dalla mattina alla sera, per un tempo indefinito, di solito un paio di settimane, a volte anche per un mese, più di frequente per una manciata di giorni.
Nel primo caso il turista è propenso a non fare granché.
Può riposarsi a casa, in albergo, sulla spiaggia del lago o in qualunque posto adeguato per parcheggiare il proprio corpo tendente naturalmente alla stasi o al limite a una serie stereotipata di movimenti lenti. Per esempio può muovere un braccio per afferrare un drink o sollevare gli occhiali per mirare con cupidigia sempre le stesse identiche cose.
Comunque di solito va per la maggiore l'opzione di passare ore e ore immobili a crogiolarsi al sole, girandosi di tanto in tanto sopra la superficie d'appoggio occasionale come allo spiedo. Magari sorseggiando lentamente una bevanda fredda o sgranocchiando qualche prodotto tipico.
In ogni caso lo vedi in giro la sera quando si appropinqua alla piazza del luogo prescelto per abbandonarsi stanco in qualche sedia di bar o in una panchina.
Se gli va bene, qualcuno provvede a riempirgli la serata con un concerto, un piano bar, una lotteria o una sagra di paese. In fondo però non è così importante. Tanto per lui sarebbe lo stesso. A contare è lo stare lì a fare niente o quasi. Che so chiacchierare del più e del meno tra una birra e un sorbetto, oppure trascinare a rilento un ipertecnologico passeggino...
A questa figura di turista fondamentalmente inattiva e passiva si oppone il turista curioso e dinamico, a volte fino all'eccesso. Sempre desideroso di conoscere qualsiasi cosa. Quando raggiunge il suo scopo spesso si lascia andare a esclamazioni estasiate del tipo:
Bello...
Oohhh...
O altri mugugni similari.
Per arrivare in tale stato è pronto a spingersi dappertutto senza alcun ritegno.
Nulla deve sottrarsi al suo sguardo.
Ogni luogo va marcato e catalogato attraverso lo scatto di almeno una foto. Magari abbinandovi anche la propria figura per attestare la propria presenza agli amici.
La foto, nella sua staticità cronica, è riuscita a imporsi come supporto ideale per conservare la memoria di quegli eventi occasionali, conferendo loro la categoria dell'eternità.
In ricordo delle generazioni future si potrà attestare: Io c'ero. Anche quando quell'Io materiale si sarà dissolto in un: Egli c'era, e poi in un'entità ancora più astratta e ideale. Una pura virtualità dai connotati spesso impalpabili.
In ogni caso la piazza centrale diviene il punto di contatto delle due diverse categorie di turisti. Il luogo in cui si accordano e provano a convivere pacificamente.
In fondo non sono così dissimili. In quanto incarnano due facce della stessa identica medaglia, quella del lavoratore medio in vacanza con la famiglia al seguito. Anzi quel momento particolare diventa l'occasione sociale per esibire i propri capolavori.
Che so il prodotto di unioni oggi sempre più precarie. Oppure sé stessi dopo estenuanti cure maniacali necessarie per ben apparire. E quando ciò non basta si può sopperire alle presunte mancanze con bigiotteria colorata, magliette con scritte, pantaloni con ricami floreali, qualche tatuaggio e via dicendo.
Se va bene, si può arrivare anche alla conoscenza più approfondita dei propri simili, magari davanti al bancone della gelateria o grazie all'incontro scontro di passeggini occupati da pupi ben vestiti e compostissimi.
A volte galeotto può essere la passeggiata con il cane.
In questo caso lo sforzo da compiere è minimo.
Non sei più tu a dover scegliere.
Fa tutto lui.
Scodinzola, si avvicina o abbaja e ringhia secondo l'intensità dell'odorato, degli ormoni in circolo, del sesso.
L'unico inconveniente è l'essere consegnati in balia del destino e della natura, spesso cieca.
Ma non va sempre male.
Alla fine qualcuno o qualcosa di interessante lo si trova sempre.
Un giorno qualunque d'agosto passò per caso un tipo strano.
Non guardava i monumenti e comprava poco.
Passeggiava con gli altri ma tirava diritto senza cercare scritte storiche o insegne di macellerie ovine o di panificatori artigianali di dolci.
Teneva con sé un piccolo zaino da lui inseparabile.
Dopo aver preso un café al bar popolare, quello di solito frequentato dagli oriundi autoctoni del paese, continuò il suo girovagare.
Non si capiva bene cosa cercasse.
Alla fine trovò anche lui il suo posto.
Una panchina all'ombra sulla via principale tra due auto parcheggiate.
Si tolse lo zaino.
Lo aprì e estrasse una busta trasparente.
Per strada non c'erano più tanti turisti e nemmeno la gente del posto. Si era giunti infatti a l'ora della siesta o della pausa café come preludio per una eventuale pennichella pomeridiana.
In giro c'erano solo pochi fanciulli intenti a giocare con il niente.
Due di essi, lì nei paraggi, per un attimo si fermano incuriositi da quell'evento eccezionale.
Ei ma che fa quello?
Che cosa avrà mai tirato fuori dallo zaino?
Senza farsi notare fanno finta di continuare la passeggiata.
Poi alla prima occasione quella più vicina si volta di scatto e getta un'occhiata veloce.
Troppa è la curiosità per resistere.
Il viso luminoso e un po' sfacciato e lo sguardo tirato fino al limite ottengono il premio tanto cercato.
Dentro la busta trasparente si intravedono dei libri, dei fogli di carta, ma anche una penna verde e un evidenziatore.
Si sono due libri, però di quelli mai visti prima.
Eh no... non si tratta delle solite guide turistiche, né di mappe dettagliate di sentieri montani o di strette viuzze del paese.
Lo strano tipo li prende entrambi.
Comincia a leggerne uno per un po'.
Poi passa velocemente al secondo, aprendolo in mezzo, in una pagina ben precisa, per tornare funambolicamente all'altro.
Di colpo prende della carta bianca e comincia a scrivere quasi senza fermarsi più.
Nel mentre passa lì davanti una giovane ragazza down.
Deve cercare qualcosa in auto.
Supera il tipo senza dire nulla.
Ciao... si sente dire.
Risponde immediatamente... arrivederci... e poi sorride.
Intanto dalla finestra sopra la panchina si sente urlare in dialetto:
Melissa!
Ti chiami Melissa?
No... Melisa con una esse sola.
Dopo aver rovistato a lungo in macchina senza trovare nulla ritorna a casa.
Questa volta è lei a salutare.
Ciao!
Ciao...
Il tempo continua a passare ma quel signore non fa una piega.
Di solito i turisti stazionano lì per un po'. Che so per bere una coca, mangiare un mostacciolo, per consultare le carte da viaggio.
Poi però si alzano e riprendono il cammino.
No, lui invece sta lì quasi immobile, rapito da quei libri come se tutto il resto non esistesse.
Le due fanciulle a braccetto tornano indietro da dove erano venute.
Questa volta senza dire nulla si dirigono decise verso la stessa panchina e si seggono al suo fianco.
Parlano tra loro di altri fanciulli.
A un certo punto alla vicina di quel turista anomalo spunta fuori un cellulare color ciclamino.
Cerca una foto per mostrarla all'amica.
Il ragazzo, sospesa la lettura, dopo aver assistito in silenzio alla scena prova a conoscerle:
Ciao... siete di qui?
Si, siamo di qui.
Non c'è molto da fare, vero?
Già...
I più grandi si trovano di solito ai “giardinetti”.
Ma noi non siamo così grandi...
E tu sei un turista?
Un attimo di pausa prima della risposta, poi:
Beh... forse... ma non solo...
Non del tutto convinta dalla risposta, dopo aver giocato per un po' con la mascherina del cellulare mostrando una notevole abilità, di scatto si alza con la sua amica.
Legate indissolubilmente a braccetto continuano il loro girare spensierato in cerca di situazioni curiose.
Non prima di aver salutato con un sorriso.
sabato 14 agosto 2010
Maria tra gli avatar
Una ennesima nuova generazione ha deciso di dare una svolta.
Vuole cambiare il mondo dandosi da fare.
Stanchi delle parorole vuote e delle astrazioni inconsistenti si affidano alla forza poietica della creatività.
Però provando a essere meno invasivi e più rispettosi dell'alterità, qualunque essa sia.
Novelli Vulcano per temperamento, ma aggraziati nell'estetica, forgiano la materia grezza con la saldatrice e il flessibile solo per imprimerle una forma ludica. Espressione di una nuova dimensione estetica spesso votata all'ozio e all'inutile. Anche per affermare un valore puro al fare tecnico, liberato da quei vincoli lavorativi oppressivi capaci solo di inaridire quella vena creativa all'interno di oggetti feticistici.
È questo il modo di manifestare il loro livello potenziale in procinto di eslodere in mille nuove forme di vita post tutto.
Un po' sembrano mimare quelle figure stravaganti presenti in natura, come un pavone o un uccello coloratissimo intento in un difficilissimo corteggiamento. Così soltanto si spiegano i movimenti ricercatissimi dei fissati o il ciondolare sospesi in aria su biciclette altissime.
Pratiche del tutto incomprensibili se le si giudica a partire da ferrei parametri utilitaristici.
Invece è solo sforzo gratuito tramutato in sfarzo.
Quel lato misteriosamente estetico e riflessivo di una natura arcana.
Si divertono a assemblare carri bizzarri o bici a due piani lente e scomodissime. A patto però di affermare senza alcun compromesso una logica eco-sostenibile all'interno di ampi spazi transizionali.
A volte sono regressivi.
Spesso anche nostalgici.
All'apparenza sembra un ritorno ai minimi termini, all'oggetto povero spesso quasi informale.
Ma la loro ricerca di forme primitive e grezze è solo il punto di lancio per ridefinire nuove coordinate, nuove progettualità inaudite.
Allora riciclare assolve alla funzione di smontare a pezzi minimi il vecchio, per poi rimpiegarli nella costruzione di nuove entità complesse. Spesso facendo emergere nuove funzionalità.
In ogni caso tale decostruzione essenzialistica diventa il negativo dialettico per una nuova sintesi potenziale capace di centrifugare tutto senza scarti, anzi a partire da essi.
Con questi nuovi mezzi a due o più ruote provano a differenziarsi dalla massa informe.
Con essi si gettano nel mondo per nuove spiazzanti avventure.
E non è poi importante se da Milano a Parma ci si impieghi tre giorni.
Nella nuova era globalizzata post industriale, post lavorativa il tempo non si misura più secondo la prestazione più efficace o economica. A contare sono altri parametri virati ludicamente.
A sostenere tale progettualità c'è ora una nuova umanità.
L'ultima sul mercato della vita.
Giovani androgeni slanciati, dai corpi scultorei quanto sinuosi.
Vanno seminudi.
Hanno superfici spesso segnate da tatuaggi esoterici studiatissimmi, en pendant con l'abbigliamento.
Ma soprattutto esprimono una carica erotica nuova.
Sfacciata e aggraziata, adulta e infantile allo stesso tempo.
Che sia questa la generazione degli avatar incarnati?
Non sono avidi.
Piuttosto sono generosi e solidali con il prossimo.
La sincerità è per loro un valore.
Le loro parole, le loro emozioni esprimono senza filtri ciò che vivono.
Anche in questo provano a essere scoperti.
Senza troppe maschere reverenziali.
Forse sono troppo acuti o troppo ingenui, non l'ho ancora capito bene.
In ogni caso sono spesso laureati. Sebbene non disdegnino di sporcarsi le mani magari usando un trapano o un cacciavite.
Sono loro l'ultima avaguangardia di privilegiati a cui è toccato in sorte il destino dell'umanità?
Sicuramente sono più friendly e meno eccessivi rispetto i loro predecessori.
Sono attentissimi alla salvaguardia della natura al punto da farsene paladini.
Non disdegnano di essere vegetariani spesso fino al punto di convertirsi al veganesimo.
Tutto ciò pur di costruire un mondo nuovo più sostenibile.
Come potrebbero non piacere, nonostante tutto...
Vuole cambiare il mondo dandosi da fare.
Stanchi delle parorole vuote e delle astrazioni inconsistenti si affidano alla forza poietica della creatività.
Però provando a essere meno invasivi e più rispettosi dell'alterità, qualunque essa sia.
Novelli Vulcano per temperamento, ma aggraziati nell'estetica, forgiano la materia grezza con la saldatrice e il flessibile solo per imprimerle una forma ludica. Espressione di una nuova dimensione estetica spesso votata all'ozio e all'inutile. Anche per affermare un valore puro al fare tecnico, liberato da quei vincoli lavorativi oppressivi capaci solo di inaridire quella vena creativa all'interno di oggetti feticistici.
È questo il modo di manifestare il loro livello potenziale in procinto di eslodere in mille nuove forme di vita post tutto.
Un po' sembrano mimare quelle figure stravaganti presenti in natura, come un pavone o un uccello coloratissimo intento in un difficilissimo corteggiamento. Così soltanto si spiegano i movimenti ricercatissimi dei fissati o il ciondolare sospesi in aria su biciclette altissime.
Pratiche del tutto incomprensibili se le si giudica a partire da ferrei parametri utilitaristici.
Invece è solo sforzo gratuito tramutato in sfarzo.
Quel lato misteriosamente estetico e riflessivo di una natura arcana.
Si divertono a assemblare carri bizzarri o bici a due piani lente e scomodissime. A patto però di affermare senza alcun compromesso una logica eco-sostenibile all'interno di ampi spazi transizionali.
A volte sono regressivi.
Spesso anche nostalgici.
All'apparenza sembra un ritorno ai minimi termini, all'oggetto povero spesso quasi informale.
Ma la loro ricerca di forme primitive e grezze è solo il punto di lancio per ridefinire nuove coordinate, nuove progettualità inaudite.
Allora riciclare assolve alla funzione di smontare a pezzi minimi il vecchio, per poi rimpiegarli nella costruzione di nuove entità complesse. Spesso facendo emergere nuove funzionalità.
In ogni caso tale decostruzione essenzialistica diventa il negativo dialettico per una nuova sintesi potenziale capace di centrifugare tutto senza scarti, anzi a partire da essi.
Con questi nuovi mezzi a due o più ruote provano a differenziarsi dalla massa informe.
Con essi si gettano nel mondo per nuove spiazzanti avventure.
E non è poi importante se da Milano a Parma ci si impieghi tre giorni.
Nella nuova era globalizzata post industriale, post lavorativa il tempo non si misura più secondo la prestazione più efficace o economica. A contare sono altri parametri virati ludicamente.
A sostenere tale progettualità c'è ora una nuova umanità.
L'ultima sul mercato della vita.
Giovani androgeni slanciati, dai corpi scultorei quanto sinuosi.
Vanno seminudi.
Hanno superfici spesso segnate da tatuaggi esoterici studiatissimmi, en pendant con l'abbigliamento.
Ma soprattutto esprimono una carica erotica nuova.
Sfacciata e aggraziata, adulta e infantile allo stesso tempo.
Che sia questa la generazione degli avatar incarnati?
Non sono avidi.
Piuttosto sono generosi e solidali con il prossimo.
La sincerità è per loro un valore.
Le loro parole, le loro emozioni esprimono senza filtri ciò che vivono.
Anche in questo provano a essere scoperti.
Senza troppe maschere reverenziali.
Forse sono troppo acuti o troppo ingenui, non l'ho ancora capito bene.
In ogni caso sono spesso laureati. Sebbene non disdegnino di sporcarsi le mani magari usando un trapano o un cacciavite.
Sono loro l'ultima avaguangardia di privilegiati a cui è toccato in sorte il destino dell'umanità?
Sicuramente sono più friendly e meno eccessivi rispetto i loro predecessori.
Sono attentissimi alla salvaguardia della natura al punto da farsene paladini.
Non disdegnano di essere vegetariani spesso fino al punto di convertirsi al veganesimo.
Tutto ciò pur di costruire un mondo nuovo più sostenibile.
Come potrebbero non piacere, nonostante tutto...
La svolta poietica
Di recente la ciclofficina ha operato una svolta epocale.
Una delle tante succedute in tutti questi anni.
Sebbene la più profonda e radicale.
I nuovi adepti hanno operato una sterzata decisa verso un'idea più funzionale e pratica. Si vuole in questo modo potenziare quei valori poietico-creativi necessari per raggiungere inediti obiettivi non solo artistici ma anche politico-sociali. Infatti, grazie alla sperimentazione di nuove alchimie tra progettualità e fare materiale si spera di far emergere da quel fondo originario indistinto, motore sotterraneo della vita, ulteriori forme esistenziali. Anche per ridefinire i precedenti rapporti tra potenza e atto
I primi a farne i conti sono stati i piccioni lì accasatisi.
Il nuovo ordine ha imposto un più stretto regime igienico.
E ora non c'è più spazio per loro.
A meno di nuove abitudini più consone al nuovo spirito.
Tale svolta è stata possibile anche grazie al connubio tra tre generazioni distinte.
Oltre i nuovi, c'è Francesco, l'ideatore del carretto simbolo in passato della ciclofficina e Franco, un pensionato torinese. Un uomo alto e magro, del tutto pacifico.
Franco è di poche parole.
Si esprime soprattutto attraverso il fare.
Il resto non conta.
Incarna a pieno la generazione post bellica, mossa dall'impellenza di ricostruire il mondo dopo l'ennesima distruzione.
Fornito di martello e cacciavite per lui nulla è impossibile.
Tali indiscutibili abilità non hanno messo molto tempo a contagiare tutti. In particolare nell'ottica di reinvestirle nella costruzione di complessi carri stravaganti.
Venuto meno il precedente ordine, in questa situazione di passaggio tutti hanno provato a portare acqua al proprio mulino. Prima che il nuovo corso si definisse con più chiarezza.
Così Francesco mosso dalla passione per i carri ha comprato all'insaputa di tutti un trapano verticale di precisione.
All'inizio si era rimasti un po' perplessi.
Però, man mano si è cominciato a apprezzarne le qualità, anche quest'acquisto oneroso ha assunto un senso preciso all'interno del nuovo spirito progettuale.
In ogni caso, la nuova ventata razionalizzatrice ha avuto l'effetto di ridisegnare in modo più funzionale la disposizione delle bici e del materiale precedentemente ammassato qua e là.
Ora tutto è più facile.
Ogni cosa sta nel posto giusto.
Franco e Michele si sono addirittura messi all'opera per appendere le bici al soffitto e fare spazio.
Una cosa inaudita e impensabile solo fino a qualche mese prima.
Eppure in tale naturale trasformazione uno strumento su tutti è stato motivo di discussione e di infiniti ripensamenti.
Il fatidico centraraggi. Un supporto su cui fissare la ruota per tirare i raggi con assoluta precisione.
Come tutti sanno coloro che mettono mano sulle bici, se ne può tranquillamente fare a meno.
Leonardo, la voce più autorevole della ciclofficina, non capiva il senso dell'operazione.
Ma non serve.
Ripeteva quando interpellato
Basta prendere un normale tiraraggi, un filo di ferro robusto fissato leggermente di fianco il cerchione e il gioco è fatto.
Eppure l'idea ha colpito la fantasia di tutti quanti per giorni.
Allora che si fa?
Si compra o no?
Sono cento euro e non è poco.
Per Gaz era un elemento essenziale.
Ma non solo per lui.
Alla fine, dopo alcuni giorni di ripensamenti, è venuto a galla il valore simbolico portato da quello strumento.
Messo lì in bella vista doveva dare il senso del nuovo corso a tutti i frequentatori nuovi e vecchi della ciclofficina. Una sorta di totem capace di esprimere a chiare lettere lo scarto con il recente passato.
Da oggi la ciclofficina non è più quella di prima.
Basta con il caos e la sporcizia.
Se si era imposto come strumento immaginario era perché con esso si voleva indicare l'eventualità di un ulteriore ordine possibile. Una nuova perfezione raggiungibile. La quadratura del cerchio lì a portata di mano.
Quella deviazione standard da tutto incarnata in precedenza, sintomo di una insufficienza esistenziale radicale, era stata definitivamente riassorbita in una nuova sintesi, potente e allo stesso tempo inquietante. Anche perché non ancora del tutto manifesta nelle sue conseguenze.
Un nuovo mondo era pronto per il varo, nonostante le tante incertezze da sfatare. Tutto ciò, in nome di nuovi valori estetico-funzionali e di ulteriori equilibri relazionali.
Per la prima volta la ciclofficina dell'Ex-m, da sempre una meteora indecifrabile all'interno dell'universo delle ciclofficine italiane, assumeva una connotazione più definita.
Di certo più efficace e pragmatica.
Al prezzo però di una normalizzazione tutto sommato ben accetta ai più. In quanto ora era più identificabile e riconoscibile.
Però, al di là degli indiscutibili vantaggi, qualcosa di indecifrabile e di sottile era andato perduto da quando di punto in bianco tutto era cambiato in modo irreversibile.
In pochi avevano notato le differenze.
Come se non ci fosse mai stato nulla di diverso prima.
Nessuno si era lamentato o aveva nutrito nostalgie particolari per il passato.
In fondo a contare più di tutto era forse solo la possibilità di poter portare ancora a riparare la propria bici.
E questo tanto bastava.
Una delle tante succedute in tutti questi anni.
Sebbene la più profonda e radicale.
I nuovi adepti hanno operato una sterzata decisa verso un'idea più funzionale e pratica. Si vuole in questo modo potenziare quei valori poietico-creativi necessari per raggiungere inediti obiettivi non solo artistici ma anche politico-sociali. Infatti, grazie alla sperimentazione di nuove alchimie tra progettualità e fare materiale si spera di far emergere da quel fondo originario indistinto, motore sotterraneo della vita, ulteriori forme esistenziali. Anche per ridefinire i precedenti rapporti tra potenza e atto
I primi a farne i conti sono stati i piccioni lì accasatisi.
Il nuovo ordine ha imposto un più stretto regime igienico.
E ora non c'è più spazio per loro.
A meno di nuove abitudini più consone al nuovo spirito.
Tale svolta è stata possibile anche grazie al connubio tra tre generazioni distinte.
Oltre i nuovi, c'è Francesco, l'ideatore del carretto simbolo in passato della ciclofficina e Franco, un pensionato torinese. Un uomo alto e magro, del tutto pacifico.
Franco è di poche parole.
Si esprime soprattutto attraverso il fare.
Il resto non conta.
Incarna a pieno la generazione post bellica, mossa dall'impellenza di ricostruire il mondo dopo l'ennesima distruzione.
Fornito di martello e cacciavite per lui nulla è impossibile.
Tali indiscutibili abilità non hanno messo molto tempo a contagiare tutti. In particolare nell'ottica di reinvestirle nella costruzione di complessi carri stravaganti.
Venuto meno il precedente ordine, in questa situazione di passaggio tutti hanno provato a portare acqua al proprio mulino. Prima che il nuovo corso si definisse con più chiarezza.
Così Francesco mosso dalla passione per i carri ha comprato all'insaputa di tutti un trapano verticale di precisione.
All'inizio si era rimasti un po' perplessi.
Però, man mano si è cominciato a apprezzarne le qualità, anche quest'acquisto oneroso ha assunto un senso preciso all'interno del nuovo spirito progettuale.
In ogni caso, la nuova ventata razionalizzatrice ha avuto l'effetto di ridisegnare in modo più funzionale la disposizione delle bici e del materiale precedentemente ammassato qua e là.
Ora tutto è più facile.
Ogni cosa sta nel posto giusto.
Franco e Michele si sono addirittura messi all'opera per appendere le bici al soffitto e fare spazio.
Una cosa inaudita e impensabile solo fino a qualche mese prima.
Eppure in tale naturale trasformazione uno strumento su tutti è stato motivo di discussione e di infiniti ripensamenti.
Il fatidico centraraggi. Un supporto su cui fissare la ruota per tirare i raggi con assoluta precisione.
Come tutti sanno coloro che mettono mano sulle bici, se ne può tranquillamente fare a meno.
Leonardo, la voce più autorevole della ciclofficina, non capiva il senso dell'operazione.
Ma non serve.
Ripeteva quando interpellato
Basta prendere un normale tiraraggi, un filo di ferro robusto fissato leggermente di fianco il cerchione e il gioco è fatto.
Eppure l'idea ha colpito la fantasia di tutti quanti per giorni.
Allora che si fa?
Si compra o no?
Sono cento euro e non è poco.
Per Gaz era un elemento essenziale.
Ma non solo per lui.
Alla fine, dopo alcuni giorni di ripensamenti, è venuto a galla il valore simbolico portato da quello strumento.
Messo lì in bella vista doveva dare il senso del nuovo corso a tutti i frequentatori nuovi e vecchi della ciclofficina. Una sorta di totem capace di esprimere a chiare lettere lo scarto con il recente passato.
Da oggi la ciclofficina non è più quella di prima.
Basta con il caos e la sporcizia.
Se si era imposto come strumento immaginario era perché con esso si voleva indicare l'eventualità di un ulteriore ordine possibile. Una nuova perfezione raggiungibile. La quadratura del cerchio lì a portata di mano.
Quella deviazione standard da tutto incarnata in precedenza, sintomo di una insufficienza esistenziale radicale, era stata definitivamente riassorbita in una nuova sintesi, potente e allo stesso tempo inquietante. Anche perché non ancora del tutto manifesta nelle sue conseguenze.
Un nuovo mondo era pronto per il varo, nonostante le tante incertezze da sfatare. Tutto ciò, in nome di nuovi valori estetico-funzionali e di ulteriori equilibri relazionali.
Per la prima volta la ciclofficina dell'Ex-m, da sempre una meteora indecifrabile all'interno dell'universo delle ciclofficine italiane, assumeva una connotazione più definita.
Di certo più efficace e pragmatica.
Al prezzo però di una normalizzazione tutto sommato ben accetta ai più. In quanto ora era più identificabile e riconoscibile.
Però, al di là degli indiscutibili vantaggi, qualcosa di indecifrabile e di sottile era andato perduto da quando di punto in bianco tutto era cambiato in modo irreversibile.
In pochi avevano notato le differenze.
Come se non ci fosse mai stato nulla di diverso prima.
Nessuno si era lamentato o aveva nutrito nostalgie particolari per il passato.
In fondo a contare più di tutto era forse solo la possibilità di poter portare ancora a riparare la propria bici.
E questo tanto bastava.
Una questione di freni
Elisabetta aveva ora la sua prima fissa.
A Bologna non c'erano tante ragazze a poterla esibire.
Di certo se non fosse stata con Gaz, l'idea di montare una fissa forse non l'avrebbe neanche sfiorata.
Infatti, non è certo il mezzo adatto almeno per chi vuole andare in giro con le classiche gonne lunghe colorate. Sicuramente bellissime ma poco funzionali se si vuole essere un'amazzone su di una bicicletta.
Comunque, grazie al duro e preciso lavoro di assemblaggio di Gaz, alla fine si era trovata anche lei a sedere sopra la sella sofisticata di una vecchia bici con la canna color ruggine trasformata in fissa. Ovvero senza freni e con il pignone fisso, cioè continuamente in tiro come nelle biciclette da pista.
Di solito per evitare danni collaterali, i meno fissati montano preventivamente al centro del manubrio un freno per riuscire a fermarsi in tempo in caso d'emergenza. Però, secondo Gaz, la linea pulitissima ne risulta indubbiamente compromessa.
Ma non è tutto.
Per imparare a utilizzarla senza remore, l'uso del freno può limitare l'affinamento di quella sensibilità necessaria per riuscire a guidarla nel modo più appropriato.
Ma sotto sotto il disappunto di Gaz celava qualcosa di più di più profondo.
A infastidirlo era la possibilità di compromettere l'essenza fondamentale della fissa. Ovvero quello spirito minimalista spinto fino all'osso, quella vocazione spartana allo stesso tempo aristocratica, capace di fare la differenza rispetto a un utilizzo solo banale della bici.
No, quel freno era intollerabile.
Un segno di decadenza verso quel modo di esistere ottuso e superficiale, tanto criticato.
A essere messa in discussione era tutto l'apparato utopico sottaciuto. Il senso implicito di un'ulteriore esistenza alternativa possibile messo in gioco in tutti questi anni di confronto serrato e curioso.
In fondo lo stare in supplesse al semaforo o schitare per fermarsi era per lui solo un modo per prendere le distanze da questo mondo consumistico irrispettoso nei confronti di tutte quelle esistenze desiderose di innalzarsi invece verso un apice inaudito, seppur sostenibile. Perché no, a partire da quello estetico. Anzi innanzitutto estetico, ben prima di qualsiosi altro piano del discorso. L'essere aggraziato come sinonimo di predestinazione. In quanto simbolo puro capace di esprimere un nuovo stile di vita in bilico tra una rigorosa disiplina ascetica e un disinvolto approccio materialistico senza dubbio edonista, aperto a cogliere i piaceri sofisticati della vita.
Pur nel rispetto della semplicità.
E senza eccedere in una ricerca perversa e onnipervasiva.
Provando invece a rispettare sé stessi, gli altri e la natura.
Non senza manifestare allo stesso tempo un evidente distacco aristocratico e un certo disagio verso tutti quegli esseri normali, troppo normali, così appagati nelle loro banali idiosincrasie di tutti i giorni.
P.s.
Alla fine, dopo mesi di discussioni e di rinvii, Gaz ha dovuto recedere.
Il freno fa ora bella mostra sulla bicicletta fissa della sua ragazza.
Così va la vita.
A Bologna non c'erano tante ragazze a poterla esibire.
Di certo se non fosse stata con Gaz, l'idea di montare una fissa forse non l'avrebbe neanche sfiorata.
Infatti, non è certo il mezzo adatto almeno per chi vuole andare in giro con le classiche gonne lunghe colorate. Sicuramente bellissime ma poco funzionali se si vuole essere un'amazzone su di una bicicletta.
Comunque, grazie al duro e preciso lavoro di assemblaggio di Gaz, alla fine si era trovata anche lei a sedere sopra la sella sofisticata di una vecchia bici con la canna color ruggine trasformata in fissa. Ovvero senza freni e con il pignone fisso, cioè continuamente in tiro come nelle biciclette da pista.
Di solito per evitare danni collaterali, i meno fissati montano preventivamente al centro del manubrio un freno per riuscire a fermarsi in tempo in caso d'emergenza. Però, secondo Gaz, la linea pulitissima ne risulta indubbiamente compromessa.
Ma non è tutto.
Per imparare a utilizzarla senza remore, l'uso del freno può limitare l'affinamento di quella sensibilità necessaria per riuscire a guidarla nel modo più appropriato.
Ma sotto sotto il disappunto di Gaz celava qualcosa di più di più profondo.
A infastidirlo era la possibilità di compromettere l'essenza fondamentale della fissa. Ovvero quello spirito minimalista spinto fino all'osso, quella vocazione spartana allo stesso tempo aristocratica, capace di fare la differenza rispetto a un utilizzo solo banale della bici.
No, quel freno era intollerabile.
Un segno di decadenza verso quel modo di esistere ottuso e superficiale, tanto criticato.
A essere messa in discussione era tutto l'apparato utopico sottaciuto. Il senso implicito di un'ulteriore esistenza alternativa possibile messo in gioco in tutti questi anni di confronto serrato e curioso.
In fondo lo stare in supplesse al semaforo o schitare per fermarsi era per lui solo un modo per prendere le distanze da questo mondo consumistico irrispettoso nei confronti di tutte quelle esistenze desiderose di innalzarsi invece verso un apice inaudito, seppur sostenibile. Perché no, a partire da quello estetico. Anzi innanzitutto estetico, ben prima di qualsiosi altro piano del discorso. L'essere aggraziato come sinonimo di predestinazione. In quanto simbolo puro capace di esprimere un nuovo stile di vita in bilico tra una rigorosa disiplina ascetica e un disinvolto approccio materialistico senza dubbio edonista, aperto a cogliere i piaceri sofisticati della vita.
Pur nel rispetto della semplicità.
E senza eccedere in una ricerca perversa e onnipervasiva.
Provando invece a rispettare sé stessi, gli altri e la natura.
Non senza manifestare allo stesso tempo un evidente distacco aristocratico e un certo disagio verso tutti quegli esseri normali, troppo normali, così appagati nelle loro banali idiosincrasie di tutti i giorni.
P.s.
Alla fine, dopo mesi di discussioni e di rinvii, Gaz ha dovuto recedere.
Il freno fa ora bella mostra sulla bicicletta fissa della sua ragazza.
Così va la vita.
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