sabato 14 agosto 2010

Una questione di freni

Elisabetta aveva ora la sua prima fissa.
A Bologna non c'erano tante ragazze a poterla esibire.
Di certo se non fosse stata con Gaz, l'idea di montare una fissa forse non l'avrebbe neanche sfiorata.
Infatti, non è certo il mezzo adatto almeno per chi vuole andare in giro con le classiche gonne lunghe colorate. Sicuramente bellissime ma poco funzionali se si vuole essere un'amazzone su di una bicicletta.
Comunque, grazie al duro e preciso lavoro di assemblaggio di Gaz, alla fine si era trovata anche lei a sedere sopra la sella sofisticata di una vecchia bici con la canna color ruggine trasformata in fissa. Ovvero senza freni e con il pignone fisso, cioè continuamente in tiro come nelle biciclette da pista.
Di solito per evitare danni collaterali, i meno fissati montano preventivamente al centro del manubrio un freno per riuscire a fermarsi in tempo in caso d'emergenza. Però, secondo Gaz, la linea pulitissima ne risulta indubbiamente compromessa.
Ma non è tutto.
Per imparare a utilizzarla senza remore, l'uso del freno può limitare l'affinamento di quella sensibilità necessaria per riuscire a guidarla nel modo più appropriato.
Ma sotto sotto il disappunto di Gaz celava qualcosa di più di più profondo.
A infastidirlo era la possibilità di compromettere l'essenza fondamentale della fissa. Ovvero quello spirito minimalista spinto fino all'osso, quella vocazione spartana allo stesso tempo aristocratica, capace di fare la differenza rispetto a un utilizzo solo banale della bici.
No, quel freno era intollerabile.
Un segno di decadenza verso quel modo di esistere ottuso e superficiale, tanto criticato.
A essere messa in discussione era tutto l'apparato utopico sottaciuto. Il senso implicito di un'ulteriore esistenza alternativa possibile messo in gioco in tutti questi anni di confronto serrato e curioso.
In fondo lo stare in supplesse al semaforo o schitare per fermarsi era per lui solo un modo per prendere le distanze da questo mondo consumistico irrispettoso nei confronti di tutte quelle esistenze desiderose di innalzarsi invece verso un apice inaudito, seppur sostenibile. Perché no, a partire da quello estetico. Anzi innanzitutto estetico, ben prima di qualsiosi altro piano del discorso. L'essere aggraziato come sinonimo di predestinazione. In quanto simbolo puro capace di esprimere un nuovo stile di vita in bilico tra una rigorosa disiplina ascetica e un disinvolto approccio materialistico senza dubbio edonista, aperto a cogliere i piaceri sofisticati della vita.
Pur nel rispetto della semplicità.
E senza eccedere in una ricerca perversa e onnipervasiva.
Provando invece a rispettare sé stessi, gli altri e la natura.
Non senza manifestare allo stesso tempo un evidente distacco aristocratico e un certo disagio verso tutti quegli esseri normali, troppo normali, così appagati nelle loro banali idiosincrasie di tutti i giorni.

P.s.
Alla fine, dopo mesi di discussioni e di rinvii, Gaz ha dovuto recedere.
Il freno fa ora bella mostra sulla bicicletta fissa della sua ragazza.
Così va la vita.

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