sabato 14 agosto 2010

La svolta poietica

Di recente la ciclofficina ha operato una svolta epocale.
Una delle tante succedute in tutti questi anni.
Sebbene la più profonda e radicale.
I nuovi adepti hanno operato una sterzata decisa verso un'idea più funzionale e pratica. Si vuole in questo modo potenziare quei valori poietico-creativi necessari per raggiungere inediti obiettivi non solo artistici ma anche politico-sociali. Infatti, grazie alla sperimentazione di nuove alchimie tra progettualità e fare materiale si spera di far emergere da quel fondo originario indistinto, motore sotterraneo della vita, ulteriori forme esistenziali. Anche per ridefinire i precedenti rapporti tra potenza e atto
I primi a farne i conti sono stati i piccioni lì accasatisi.
Il nuovo ordine ha imposto un più stretto regime igienico.
E ora non c'è più spazio per loro.
A meno di nuove abitudini più consone al nuovo spirito.
Tale svolta è stata possibile anche grazie al connubio tra tre generazioni distinte.
Oltre i nuovi, c'è Francesco, l'ideatore del carretto simbolo in passato della ciclofficina e Franco, un pensionato torinese. Un uomo alto e magro, del tutto pacifico.
Franco è di poche parole.
Si esprime soprattutto attraverso il fare.
Il resto non conta.
Incarna a pieno la generazione post bellica, mossa dall'impellenza di ricostruire il mondo dopo l'ennesima distruzione.
Fornito di martello e cacciavite per lui nulla è impossibile.
Tali indiscutibili abilità non hanno messo molto tempo a contagiare tutti. In particolare nell'ottica di reinvestirle nella costruzione di complessi carri stravaganti.
Venuto meno il precedente ordine, in questa situazione di passaggio tutti hanno provato a portare acqua al proprio mulino. Prima che il nuovo corso si definisse con più chiarezza.
Così Francesco mosso dalla passione per i carri ha comprato all'insaputa di tutti un trapano verticale di precisione.
All'inizio si era rimasti un po' perplessi.
Però, man mano si è cominciato a apprezzarne le qualità, anche quest'acquisto oneroso ha assunto un senso preciso all'interno del nuovo spirito progettuale.
In ogni caso, la nuova ventata razionalizzatrice ha avuto l'effetto di ridisegnare in modo più funzionale la disposizione delle bici e del materiale precedentemente ammassato qua e là.
Ora tutto è più facile.
Ogni cosa sta nel posto giusto.
Franco e Michele si sono addirittura messi all'opera per appendere le bici al soffitto e fare spazio.
Una cosa inaudita e impensabile solo fino a qualche mese prima.
Eppure in tale naturale trasformazione uno strumento su tutti è stato motivo di discussione e di infiniti ripensamenti.
Il fatidico centraraggi. Un supporto su cui fissare la ruota per tirare i raggi con assoluta precisione.
Come tutti sanno coloro che mettono mano sulle bici, se ne può tranquillamente fare a meno.
Leonardo, la voce più autorevole della ciclofficina, non capiva il senso dell'operazione.
Ma non serve.
Ripeteva quando interpellato
Basta prendere un normale tiraraggi, un filo di ferro robusto fissato leggermente di fianco il cerchione e il gioco è fatto.
Eppure l'idea ha colpito la fantasia di tutti quanti per giorni.
Allora che si fa?
Si compra o no?
Sono cento euro e non è poco.
Per Gaz era un elemento essenziale.
Ma non solo per lui.
Alla fine, dopo alcuni giorni di ripensamenti, è venuto a galla il valore simbolico portato da quello strumento.
Messo lì in bella vista doveva dare il senso del nuovo corso a tutti i frequentatori nuovi e vecchi della ciclofficina. Una sorta di totem capace di esprimere a chiare lettere lo scarto con il recente passato.
Da oggi la ciclofficina non è più quella di prima.
Basta con il caos e la sporcizia.
Se si era imposto come strumento immaginario era perché con esso si voleva indicare l'eventualità di un ulteriore ordine possibile. Una nuova perfezione raggiungibile. La quadratura del cerchio lì a portata di mano.
Quella deviazione standard da tutto incarnata in precedenza, sintomo di una insufficienza esistenziale radicale, era stata definitivamente riassorbita in una nuova sintesi, potente e allo stesso tempo inquietante. Anche perché non ancora del tutto manifesta nelle sue conseguenze.
Un nuovo mondo era pronto per il varo, nonostante le tante incertezze da sfatare. Tutto ciò, in nome di nuovi valori estetico-funzionali e di ulteriori equilibri relazionali.
Per la prima volta la ciclofficina dell'Ex-m, da sempre una meteora indecifrabile all'interno dell'universo delle ciclofficine italiane, assumeva una connotazione più definita.
Di certo più efficace e pragmatica.
Al prezzo però di una normalizzazione tutto sommato ben accetta ai più. In quanto ora era più identificabile e riconoscibile.
Però, al di là degli indiscutibili vantaggi, qualcosa di indecifrabile e di sottile era andato perduto da quando di punto in bianco tutto era cambiato in modo irreversibile.
In pochi avevano notato le differenze.
Come se non ci fosse mai stato nulla di diverso prima.
Nessuno si era lamentato o aveva nutrito nostalgie particolari per il passato.
In fondo a contare più di tutto era forse solo la possibilità di poter portare ancora a riparare la propria bici.
E questo tanto bastava.

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