domenica 18 novembre 2012

Di lì non si passa















Domenica d'autunno.
Cielo terzo.
Aria plumbea.
Eppure bisogna vivere, inventarsi qualcosa.
Non si può stare tutto il giorno barricati in casa.
Esco.
Direzione navile.
Il canale vicino casa.
L'antica via di comunicazione verso il mare.
Da più di un anno non ci metto piede.
Troppe le vicissitudini in mezzo per riuscire a perdersi nel sentiero lungo la riva.
A un certo punto imbocco la solita strada senza uscita.
Dopo il ponte l'accesso al parco fluviale.
Non prima di aver attraversato la terra di nessuno.
Lo spazio interstiziale tra il rigore cittadino e l'andamento anrchico della natura.
Lì in mezzo forme di vita insolite spesso costrette a fronteggiare situazioni poco compatibili con l'esistenza.
Un anno soltanto.
Eppure quel luogo sembra un altro.
Segnato a forza da un cieco fare umano.
Ancora pochi passi prima di uscire dal tunnel buio per scorgere in lontananza una barriera di legno alta più di due metri a serrare la strada. Neanche fossimo a gaza.
Di lì non si passa.
Un recinto austero, impenetrabile circoscrive l'area dove sorgerà la nuova facoltà di chimica.
Più in là c'è il cnr.
Un alto palazzo in cemento dalle forme strane sigillato dal resto del mondo.
Da lontano sembra una fortezza inespugnabile.
Impossibile evitarlo.
Anche per il fastidioso ronzio delle ventole dei potenti condizionatori d'aria.
Torno indietro.
In cerca di un'altra via percorribile.
L'obiettivo il sostegno più a valle distante circa un km.
Da lì si dovrebbe imboccare il sentiero dalla parte opposta.
Non prima di aver aggirato l'enorme curvone della ferrovia sopraelevata.
Lungo la strada erbosa, quella di tante corsette estive, altri cambiamenti.
Nuove recinzioni per delimitare terreni sormontati da vecchie case ristrutturate. Un make up solo superficiale per invogliare qualche ignaro acquirente.
Tutt'intorno cumoli di terra sollevati dalle ruspe.
Mattoni, lattine, pietre, vetri mescolati alla rinfusa.
L'ordine naturale così alterato non predispone l'animo verso buoni sentimenti.
Certo anche il clima non aiuta.
La somma di tutto è una sensazione di desolazione penetrante come il gelo. Quasi si fosse immersi in un deserto ostile e inquietante. Nell'attesa di una possibile trasformazione rivitalizzante.
Complice la trilogia navile, il nuovo progetto al posto del vecchio mercato ortofrutticolo, una enorme distesa abbandonata dove sono cominciati a spuntare palazzi come funghi, il perimetro della cosiddetta civiltà si è esteso a macchia d'olio travolgendo tutto quanto le si opponeva.
La volontà di catturare gli spazi naturali ancora selvaggi per tramutarli in terre abitabili è inarrestabile.
Circa mezzo chilometro la fascia interessata.
Qualcuno lontano da lì ha pensato di accerchiare quei luoghi da tutte le parti. Come se stesse giocando a risico con i carrarmatini di plastica sostituiti però nella realtà dai buldozer.
Ne fanno le spese i cittadini ignari.
Là dove prima c'era un parco vivido ora è terra morta privata all'uso comune.
Dopo un lungo camminare arrivo dall'altra parte.
Anche lì il sentiero è interrotto da una rete arancione tappezzata di cartelli.
Impossibile procedere oltre.
Gli unici a goderne gli animali selvatici della zona, qualche migrante senza fissa dimora alloggiato sotto le alte arcate del ponte della ferrovia.
Torno a casa silenzioso.
Consapevole di essere ancora più assediato, con meno spazio vitale.
Ma non bisogna disperarsi troppo.
Con le spalle rivolte alla città è ancora possibile trovare un qualche rifugio perdendosi tra le anse sinuose delle acque.
In attesa del tramonto.
Quando tutto si placa.


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