lunedì 1 marzo 2010

Bastard deviation

Il gran gioco della vita è partecipare di un ruolo, indossare una maschera, individualizzarsi essenzialmente in qualcosa o in qualcuno. Ovviamente interagendo più o meno creativamente con gli altri attori sul palcoscenico. Il tutto però sapendo più o meno velatamente di stare a recitare a soggetto una pièce assurda.
Ma non è importante la denuncia. O almeno non lo è a partire da un certo livello del gioco. Quando si intuisce che dal grande gioco non è possibile uscire volenti o nolenti. Tutti ne siamo in qualche modo vittime e allo stesso tempo artefici sotto sotto consenzienti. Solo se si parte da questa tutto sommato banale constatazione si riesce a giustificare il fatto che il vero spettacolo non è mai quello agito al presente, ma è l'“inconsapevole” svelamento della sua finzione. Cioè il portare impietosamente alla luce il retroscena, il dietro le quinte, il sottaciuto. Ovvero i fili, le trame e i meccanismi impliciti e latenti. Così, una volta indossata la maschera e assunto più o meno volontariamente un ruolo, il “bello” sta tutto nello smascheramento dell'artificio, cioè nella decostruzione, dissoluzione, distruzione per implosione dello stesso giochetto. Sempre però senza far emergere fino in fondo la dialettica tra finzione, nascondimento e svelamento. Limitandosi a non dire tutto in una volta sola. Altrimenti poi viene a mancare il motivo del divertimento. Alla fine risulta essere fondamentale l'omissione, il saputo allo stesso tempo non saputo, per questo capaci ancora di sorprendere e di spiazzare, però solo fino a un certo punto e non oltre i limiti consentiti. Rispettando l'insegnamento dei migliori finali spettacolari. In cui tutti sanno in qualche modo la conclusione, sebbene si faccia di tutto per essere comunque sedotti dalla storia, non senza strizzare l'occhiolino. In questo senso, arrivati a questo punto la stessa suddivisione tra attori e spettatori appare superflua e superata, come d'altronde già ampiamente denunciato a partire dalle “avanguardie storiche”. Tutti si è indifferenzialmente attori sebbene ci si distribuisca sulla scena globale in ruoli differenti, inclusi quelli dello “spettatore” e dell'“attore”. In questi casi chi accetta di essere spettatore, che so magari perché voyerista, cede il ruolo di “attore” a chi è più dotato o predisposto a essere esibizionista o narcisista. In qualche modo sono gli stessi “spettatori” a donare la fama e il potere agli attori sulla scena virtuale o meno, in tutti gli spettacoli possibili della vita. Ovviamente per godere successivamente in panciolle dello smascheramento, cioè del passo falso rivelatore della finzione. A ben vedere, la denuncia dell'errore e dell'imperfezione del meccanismo scenico e attoriale sembra essere il tornaconto primario di tale ruolo. Così Pavarotti non verrà solo ricordato per le sue eccezionali doti vocali, ma ancor più per le sue stecche memorabili. Dimostrandosi in questo un uomo normale, un ecce homo qualsiasi. Allo stesso modo si delega al politico il potere solo per aspettarne il tonfo e l'emersione del suo lato torbido. Magari fotografandolo con una escort, ma ancor più con un trans o una puttana. Allora la complicità dello spettatore sta nell'alimentare di riflesso il gioco fino al suo limite estremo e all'eccesso possibile. Sperando di veder infrangere barriere su barriere fino a arrivare complicemente a flirtare con la soglia suprema della morte e della distruzione totale. Sperimentando ogni volta che al peggio non c'è limite. Anzi tanto peggio, tanto meglio. Rispettando la più seguita regola dello spettacolo. Tutto ciò, illudendosi o giocando a illudersi ingenuamente di esserne in qualche modo immune, standosene dietro il televisore o il computer in pantofole a sorseggiare tè o a sgranocchiare popcorn. Ma sotto sotto sa che non è così. Anche lui è consapevole di essere funzionale al gioco dello spettacolo dell'orrore. E gli va bene. In fondo assistere alla messa in scena della morte reale o simbolica è già un dimostrare di esserne per il momento esente. Finché si staziona sul solo piano virtuale e al livello dei simulacri c'è ancora vita e speranza. Così il partecipare anche solo come spettatori dell'altrui distruzione e corruzione è ancora un attestare la “bontà” del proprio tempo. E qualsiasi attesa non è mai troppo lunga. L'importante è essere ancora testimoni dell'orrore, continuare a raccontarsela (male), perché così si attesta la propria vitalità. In fondo poter urlare crucifigi è come scambiare simbolicamente la propria vita con l'altrui. All'interno di questa dialettica, innalzare l'“attore”, il vip, il potente di turno diventa funzionale al proprio godimento. E tanto più alto sarà il punto di lancio, tanto maggiore il tonfo. Ma tutto questo ha il suo prezzo, il biglietto da pagare per assistere a tale spettacolo. Infatti per partecipare della detronizzazione di un re bisogna aver accettato di essersi alienati al ruolo di servi, cioè a spettatori impotenti e al limite a attori di bassa lega nella vita quotidiana. Come tutti sanno, dietro a un grande film non c'è il solo regista o l'attore principale, ma una marea di minute comparse più o meno citate nei titoli di coda, fino a diventare illeggibili quanto insignificanti via via scorrendo. Al punto di essere addirittura escluse. Eppure per senso di giustizia, tutti dovrebbero essere menzionati, compresi gli spettatori, anch'essi necessari come ogni altro partecipante dello spettacolo. E in qualche modo lo sono e lo saranno sempre più. Infatti, una volta ci si doveva accontentare di visitare i cimiteri dello spettacolo della vita. Accanto alle loro foto, si sarebbe dovuto aggiungere, oltre alla data di scrittura e di rescissione del contratto, anche la frase: “ha partecipato con impegno e merito allo spettacolo dell'orrore”. Oggi tutto questo sta succedendo già in vita grazie ai media e soprattutto alla democrazia di Internet. Senza aspettare la fine è possibile attestare, documentare la propria marginale apparentemente essenziale presenza per i posteri a venire di tutto il globo, non senza partecipare a un minimo di gloria. Anche se forse si starebbe tendenzialmente un po' sotto a quei quindici ottimistici minuti profetizzati da Wharol. Nonostante ciò, tutto questo risulta comunque essere alla fin dei conti un dettaglio inutile e per questo osceno. Come l'assurda insignificante vita e, al suo interno, lo spettacolo del “teatro dell'orrore”.

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