mercoledì 16 aprile 2014

Un sogno lungo un giorno

Si erano incontrati in ciclo.
L'unico posto dove riusciva a conoscere le persone più in profondità di ogni altro.
Sarà per la dimensione pratica.
Poche parole.
Più importanti i fatti, il fare insieme.
Al punto da aprire porte comuni, intrecciare ponti intimi difficili da descrivere.
Canali basilari spesso incoscienti, automatici.
Il miracolo si era ripetuto ancora.
Veniva da porretta.
Da poco era scesa dal profondo nord dal luogo più trend di ogni altro.
Berlino.
Arrivata in stop fino a milano per scoprire la differente realtà di queste parti.
Meglio il treno per gli ultimi duecento chilometri.
L'aveva notata subito.
Era silenziosa.
Attenta a quanti le stavano vicino.
Durante la serata roots in ciclo si era presa cura di lucyole, del sottoscritto dietro la console non facendolo sentire solo, dandogli le energie giuste.
Avevano cominciato a uscire insieme la sera.
Da quando una domenica, appena arrivata in ciclo, le aveva proposto una birra.
Senza indugio aveva detto di si.
Con la bici al fianco lasciarono l'xm.
Vaga la meta.
Un baretto lì nei paraggi.
Alla fine trovarono il posto giusto.
Un piccolo locale gestito da un uomo semplice.
Uno della bolognina di una volta.
Pochi fronzoli.
Giusto l'essenziale.
Il bancone ancora stile anni settanta.
Le pareti bianche spoglie.
Presero una birra da 0,66 senza bicchieri per berla insieme fuori, seduti sul gradino d'accesso in marmo.
L'una di fronte a l'altro.
Di fianco, un po' più in là, due nigger un po' alticci.
Il giusto sfondo di quel quartiere multietnico, crogiolo di culture, popoli differenti. Una volta il quartiere popolare della bologna rossa.
Una conversazione semplice.
Giusto per conoscersi un po'.
Senza approfondire troppo.
Sospesi in quella terra di nessuno fuori dal tempo.
In una dimensione quasi magica.
Staccati da tutto.
A guardarsi negli occhi.
Il resto non contava. Stava lì solo a fare da pendent, tappezzeria. Per coprire il vuoto. Ma sarebbe potuto essere anche il deserto. Una distesa infinita di sabbia inconsistente. Due sassi dove sedersi. Non sarebbe cambiato molto.
Ad ogni modo si era in primavera, di notte. Con l'aria non più fredda al punto di riuscire a stare fuori non troppo coperti. Immersi nella luce gialla della città. Con poco traffico. Qualche schiamazzo ogni tanto. Il sibilo ritmico di un uccello sonar. Il rumore sfuggente di una macchina in accelerazione sull'asfalto. Senza quell'umidità estiva a avvolgere le cose, a renderle pesanti, dense, appiccicose.
Quella sera tutto era leggero.
Sembrava di stare dentro lo scenario di uno di quei film notturno metropolitani con le luci al neon. Un po' finti, dove tutto è visibile, nitido. Fin troppo reale nella descrizione di ogni minimo dettaglio.
Difficile riportare la conversazione.
Le parole scorrevano una dietro l'altra come le note di una musica. A contare era più l'armonia, il ritmo, i dettagli di un sorriso, uno sguardo, un momento di sospensione, di silenzio.
Tutto così coinvolgente.
Allo stesso tempo fragile, precario.
Ma cosa importava.
A valere di più era quell'istante presente.
L'essere lì insieme.
Senza altri pensieri a disturbare quel momento reale.

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