venerdì 15 aprile 2011

La ciclofficina rituale. Costruire per dissolvere

Gli schieramenti opposti sono in allerta.
Si avvicina l'ora X.
L'apertura.
Quando la serranda di ferro lentamente si solleverà.
Allora ci si potrà contaminare senza riserva.
Rullano i tamburi.
Gli animi si caricano.
Sale l'adrenalina, la tensione.
Non tutti sopravviveranno.
Il sole sta calando all'orizzonte.
La luce è ottimale.
Non fa caldo.
Muniti di bici, o quanto di più prossimo a tale termine, i ciclisti appiedati si apprestano all'assalto.
Ancora pochi secondi...
Il bottone viene pigiato.
Un rumore sinistro di cigolii stridenti invade la scena.
La barriera si solleva lentamente.
Filtrano fasci di luce.
Pochi centimetri alla volta la serranda sale.
Un'attesa interminabile.
Per i più bassi o quelli con il mezzo più piccolo si intravede una soglia...
Senza aspettare si lanciano sul varco apertosi.
Riuscirà la ciclofficina con i suoi affiliati a sopportare l'urto?
Sarà in grado di contenere l'orda barbarica, di sopravvivere a se stessa?
Quale limite sarà oggi superato?
La linea di confine pian piano scompare assorbita dal soffitto.
Una marea simile a uno tzunami invade tutto lo spazio disponibile ricolmandolo di vita brulicante.
Ogni oggetto viene rianimato, spostato, lanciato, abbandonato dalla fiumana inarrestabile.
È il momento del corpo a corpo.
Nulla rimane escluso.
Tutto viene modificato irreversibilmente.
Per gli autoctoni il miracolo è di resistere.
Ei dove sono i coni?
E le camere d'aria?
Ho i freni andati!
Devo cambiare la gomma...
Come si fa?
L'asse centrale non va più...
Butto tutto?
Sempre le stesse domande.
Ripetute all'infinito come un eco continuo.
Sempre le stesse risposte.
Come un mantra.
Nonostante il tentativo di colorarle ogni volta con sfumature differenti.
Inutile definire i contorni, affibbiare nomi, le referenze giuste sui cassetti, gli oggetti, per indirizzare l'agire nel modo migliore.
Dura poco.
Alla fine ogni segno si contamina.
Perde di senso.
Per tornare indistinzione pura.
Caos da cui strappare ogni volta nuove storie, nuove significazioni funzionali.
Non accettare il gioco lasciandosi andare nella corrente è come votarsi al suicidio.
Vano tentare di resistere a tale dispersione di significati provando a fare di un oggetto un feticcio ossessivo.
Eppure anche in tale orgia alla fine qualcosa emerge, entra in vibrazione armonica.
Non prima di aver sacrificato tutto.
Anche oggi l'agnello sacro verrà immolato sull'altare.
Quel resto non scambiale in termini economici.
Quella parte residuale oscena da cui emergeranno ancora nuove forme di bici, modi di pedalare.
Di più...
Contro l'imposizione di senso, di valore, contro l'idea di uno scambio impari, a perdere, la ciclofficina si ribella.
Non vuole essere solo uno strumento passivo.
Rifiuta la banale logica della produzione mercificata.
Allora si fa oggetto intrascendibile, puro.
Attraverso il caos.
Sia per eccesso che per difetto.
Offrendo troppo o troppo poco.
Alla fine scompagina le scontate economie domestiche di chi pensava di risparmiare e di portare via qualcosa.
A lungo andare è lei a condurre il gioco.
A crocifiggere ogni finalità precostituita.
Ecco la magia della ciclofficina.
Far sparire tutto ciò in un baleno silenzioso.
In un sol colpo...
Voilà...
E non c'è più nulla.
Una volta liberati di tutto si entra nel gran gioco.
Nel non senso.
Nel fare fine a se stesso.
In relazione pura gli uni con gli altri.
Senza più interessi.
Tutti omologati allo stesso livello.
Anche questa volta il rito della ciclofficina ha compiuto il suo giro, il miracolo.
È il momento giusto della condivisione.
Sbuca fuori del pane.
Quello fatto con la pasta madre, farina di grano, di ceci, di farro...
Tagliato a quadretti come tante piccole ostie viene distribuito ai presenti.
Molti hanno le mani sporche o impegnate.
Allora vengono amorevolmente imboccati.
Pian piano si ricostituisce il collant comune.
Si diventa un unico corpo.
Un attimo di distrazione fatale...
Prima di affondare ancora.
Questa volta navigando a vista, secondo il vento.
Spogliati di tutto.
Senza più orpelli frenanti, compiti, orari, appelli, esami, responsabilità.
Il piacere si fa immenso.
Alla fine c'è pure chi arriva al risultato...
Ma che importa.
Anche oggi si chiude...
Rimangono gli occasionali sacerdoti di tale ritualità spontanea.
Anche loro andranno a casa.
Non prima di aver curato le ferite.
Ricomposto le membra disarticolate della ciclofficina.
È il momento della rigenerazione.
Ma non serve a nulla se non si è imparato preventivamente a morire, a dissolversi completamente.

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