mercoledì 9 settembre 2015

E notte fu...

Da vari anni non tornava in quel luogo.
Da quando partito un mondo se ne era andato.
Di botto.
Una vera apocalissi.
Il tempo a venire per realizzarlo.
Capisci allora dell'inconsistenza di quanto ci circonda, di quanto all'apparenza sembra contare.
Basta spostarsi di poco.
E tutto cambia senza ritorno.
Allo stesso tempo comprendi la forza dei propri desideri, della volontà, dell'amore, dell'intento sottaciuti.
Uno sguardo non indifferente capace di trasmutare la materia grezza, la povera realtà in un mondo magico bellissimo. Certo con le sue ombre, le idiosincrasie opportunamente silenziate.
Forse è proprio questo uno dei possibili sensi del portare la luce dove prima era buio. In fondo c'è notte e notte. E la più nera non sempre ha un risvolto negativo. Così spegnere tutte quelle luci artificiali può essere l'occasione per saper captare nell'oscurità scintille di luce. Insomma per vedere meglio a volte bisogna prima fare buio. Allora in certi momenti di illuminazione scopri che non tutte le vacche sono nere. Anche avvolti in tanto nero qualcosa di residuale trapela. Forse lì si annida l'essenziale. Buio e silenzio gli strumenti da sempre per fare questo vuoto. Per andare oltre quella illusoria continuità percettiva. Il punto (quasi) zero da conquistare. Quel non luogo foriero di possibilità infinite se solo lo si cercasse senza se e ma.
Ma il discorso oggi prende un'altra piega.
Qui lo sguardo è più quello dell'angelo benjaminiano intento a volgersi a tergo per mirare le macerie della storia.
In questo caso i cumuli di rovine sono soltanto la realtà grezza, il substrato rimesso a nudo.
Finito l'amore, il collante di quel mondo, rimane solo questa materia povera, basilare pronta per nuove doglie. Intanto però niente più scintille capaci di illuminarla solo a volerlo. Da soli o insieme. Lo sforzo collettivo nel tentativo magico di attivare livelli inauditi in potenza, bellezza. Senza quel carburante impossibile elevarsi. Avoja a pronunciare parole magiche, a scuotere bacchette, vincastri.
Ecce realtà nuda.
Soltanto.
La più vicina alla sensazione pura.
Il bicchiere mezzo vuoto.
Niente più trasporto.
Come se ogni cosa avesse perduto l'anima.
In giro solo fantasmi, no... zombie.
Vedo anche cri.
La guardo.
È a pochi passi da me.
Lontana all'infinito.
Di un'altra dimensione.
Preferisco tacere.
Non annodare discorsi inutili.
Impossibile incontrarsi con lo sguardo.
Niente più riflette.
Come vivessimo due realtà separate da una membrana trasparente anonima.
Fra tanta gente nessuno mi riconosce più.
Anche quando provo a salutare.
Come fossi trasparente, etereo.
In loro si rispecchia solo il fantasma di quel marco che fu.
Terminiamo il giro con gli amici stranieri.
La sensazione di stare girando nei corridoi di un museo a ciel sereno. A mirare oggetti, situazioni anonimi oramai al di fuori da ogni uso se non quello della contemplazione distaccata.

giovedì 3 settembre 2015

Ecologia dello spirito

Oggi non ce la faccio.
Come fossi di cemento.
Ogni gesto è difficile, vischioso.
Ieri ho scoperto quanto avrei già dovuto sapere da un pezzo.
L'occhio destro vede sempre di meno.
Oggi ho contattato l'oculista della prima lontana operazione laser.
Essersi abituati bene.
Questo il problema.
Difficile l'idea di essere tornati indietro.
Ma non è solo questo.
Vedere il corpo disfarsi lentamente.
E' questo quanto provato dalla zia operazione dopo operazione?
Quando al risveglio si scopriva privata di parti di sé, di funzionalità irrecuperabili.
Difficile anche accettare l'idea di stampo spirituale del corpo come grave, peso, croce.
Ecco allora tanta industria per immobilizzarlo, privarlo dei piaceri, metterlo a regime.
Certo per seguire la via dello spirito per liberarlo.
Un lungo viaggio a ritroso dopo aver ceduto alla tentazione dell'incarnazione.
Moh che si fa?
Non è affatto pacifico abbandonare la nave che affonda centimetro dopo centimentro.
Anche perché per molti di loro l'identificazione con l'infinito, con la coscienza cosmica indeterminata è un fatto assolutamente normale.
Come se vivesserogià da un'altra parte oltre questa dimensione.
Certo rimane l'annosa questione di come ridare dignità, consistenza, essere a questo abbaglio ancestrale. La macchina fisica, quel corpo fragilissimocome un cristallo sottilissimo.
Arrivederci a tutti e buonasera.
No, questo non riesco ancora a pronunciarlo.
Qualcosa mi trattiene ancora.
Quegli stessi così veloci a abbandonare la nave quanto a rimpolpare questa esistenza progettando futuri improbabili mossi da una fede un ottimismo ogni oltre logica nel migliore dei casi.
No non mi sento così.
Se proprio devo, ripeto devo, perché altra via non vedo, lo faccio a malavoglia.
Non senza dare uno sguardo indietro, memore delle macerie lungo la strada. Non senza disappunto.
Certo una via bisogna pure trovarla, una soluzione la più folle che ci sia.
In fondo si trattasolo di abbandonarsi all'infinito.
Soprattutto saper scompariresenza lasciare tracce a venire.
Nel rispetto delle migliori regole ecologiche