lunedì 1 giugno 2015

Oltre l'orto...

La terra di nessuno
Neverland
L'isola che non c'è.
Per accedevi basta superare le barriere.
Staccarsi da terra.
Saper volare
Oltre l'immaginato.
Il già dato.
Trovare l'isola che non c'è
non è tanto uno spostarsi in un luogo remoto
una terra esotica
come molti credono.
E' lì a portata di mano.
Basta volerlo
con tutto se stessi
per varcare la soglia
da sempre aperta
lì a un passo.
Prima però bisogna sciogliere i lacci,
rompere gli ormeggi
farsi leggeri,
piccoli piccoli.
Allora forse un mondo apparirà.
Di una luce, una completezza, un'armonia straordinarie.
Basta volerlo.


Il giorno x era arrivato.
Almeno sulla carta quella domenica ci sarebbe dovuto essere “oltre l'orto...” L'evento pensato insieme con quelli di tessuto da varie settimane.
Oltre l'orto... un nome un programma.
L'intento di trascendere quanto conosciuto.
La sfida mirabile di aprire nuovi sentieri per testimoniare di mondi impensabili. Per non ripiegarsi sul triste presente, per non fermarsi alle solite comprensibili posizioni recriminative, di denuncia. Oltre quel sacrosanto urlo esistenziale per diventare affermazione pura. Nella speranza di tentare l'impossibile. Non senza provare prima a flirtare con la magia, la follia.
I giorni appena trascorsi era piovuto. Il terreno incolto fuori il recinto dell'xm era diventato inagibile.
Senza lasciarsi prendere dallo sconforto si era deciso di spostarsi dentro il centro sociale. Rinunciando agli spazi vergini fuori dell'orto. La neverland desolata, la terra di nessuno abbandonata dove prima c'era il vecchio mercato ortofrutticolo. Il luogo dove sarebbe dovuto sorgere un quartiere residenziale nuovo di pacca. La trilogia navile, un centro abitativo non certo popolare. L'ennesimo piano regolatore per nascondere la solita speculazione edilizia.
Gli edifici tre grossi palazzi a spezzare prepotentemente la linea infinita dell'orizzonte fino a nascondere i bellissimi tramonti di una volta.
Fallite le ditte erano stati abbandonati al loro destino nell'attesa di tempi “migliori”.
Al momento restava solo lo scheletro nudo di quanto appariva in bella mostra sulla carta, oltre la terra smossa, le montagne di detriti sommersi, le macerie disperse qua e là a pioggia. Al punto di rendere quelle zone ancora più desolate di prima.
Di per sé non era un male.
Almeno per tutti quegli animali selvatici lì trasferitisi da tempo. Lepri, lucertole di ogni grandezza, tipo, piccioni metropolitani, gatti sempre più randagi.
Anche per la pioggia di quei giorni la vegetazione era più rigogliosa che mai. Cicorie, cardi, ortiche e tante altre piante selvatiche avevano infestato ogni anfratto colorando quelle terre amorfe di un verde intenso.
In mezzo a quella landa desolata le vestigia di quattro piante giganti sradicate. I ceppi oramai a nudo sulla superficie in lotta con le fitte erbacce per non essere sopraffatti. Una battaglia impari.
Quelle possenti rovine solitarie cariche di storia conferivano al posto un non so che di arcano, di magico. Il luogo ideale per celebrare riti antichi nel tentativo di connettersi con le energie cosmiche nascoste.
A accentuare tale sensazione di straniamento la sagoma maestosa sullo sfondo del nuovo comune del tutto scollegato con il resto. A seguire le volte snelle del vecchio mercato, un gioiello di architettura degli anni sessanta, oramai private di ogni utilizzo pratico. Prima mercato, poi macerie all'aria aperta, infine garage per auto, ora solo piloni snelli slanciati verso l'alto per il puro piacere dello sguardo. Specie durante i tramonti quando la luce del sole gioca a rimpiattino tra le grosse finestre di vetro sul tetto scolpendo le volte in controluce.
Subito di fianco l'entrata del vecchio mercato, già convento negli anni venti. Una struttura in pieno rigore metafisico dalle linee pulite, essenziali. Forme pure, lisce come monoliti astratti.
Un coctel di mondi andati e a venire da vertigine.
Luogo indefinito disarmonico, fuori oltre ogni misura.
Non certo adatto per essere abitato se non occasionalmente da coppiette furtive, tossici, fanciulli all'avventura.
Come appena detto, l'idea di occupare per un pomeriggio tale ambiente ameno era stata a malincuore abbandonata per ripiegare sulle più familiari tettoie dell'xm poste a est dell'orto.
Niente più slanci verso l'ignoto. All'apparenza un ripiego. Nei fatti una sfida ancora più grossa.
Trasformare quel luogo sinistro, sporco, opprimente in un rifugio accogliente, facendo emergere da quel substrato amorfo, oscuro un nuovo mondo inaspettato. Questa la magia da compiere quel giorno. Per questo si era pensato di tagliare in due il grosso lungo spazio sotto la tettoia per sfondarlo in larghezza sfruttando l'apertura naturale verso l'orto antistante. Escludere il bar e tutto quanto a seguire, i luoghi di solito più frequentati, per occupare quegli ambienti invece più in ombra. Il cuore pulsante dell'impianto la palestra con lo spazio antistante, l'ultimo edificio prima dell'uscita. Quanto doveva essere abbattuto secondo i piani maldestri di certi speculatori assecondati politicamente. Svuotato di tutto era diventato la superficie ideale da trasformare in sala da ballo privè. I grossi bancali di solito lì davanti parcheggiati erano stati spostati al centro dello spazio circoscritto. Messi in mezzo in modo asimmetrico per spezzare la linearità da caserma dell'ambiente precedente. Sarebbe stato il divano per eccellenza da dove poter mirare lo spettacolo. In particolare di quello offerto sui due tessuti appesi sulle possenti travi del tetto metallico.
Oltre il cancello l'orto, la fuga naturale verso il fuori. L'intermezzo con la natura selvaggia, lì addomesticata nelle vasche da bagno, nei secchi di plastica, nelle ruote da bici. Lo spazio preferito dagli abitué del giovedì quando si svolgeva il mercato di campi aperti.
Eppure tutto questo non era ancora sufficiente per compiere il miracolo. Mancava il tocco finale capace di operare il salto nel nuovo cosmo. A svolgere tale compito sarebbero dovute essere le note soffuse della filodiffusione. Tredici piccole casse per riempire con leggerezza ogni angolo di musica chillout senza arrecare disturbo. Anche per affermare un'idea alternativa alla solita musica sparata da casse mega pompate desiderose di sovrastare tutto. Timbriche fatte per aggredire, sfogare muri di frustrazione, abbattere barriere di insensibilità programmata dal regime quotidiano del sistema. Una rabbia dentro canalizzata per alimentare orge trash, serate tekno votate spesso più alla (auto)distruzione, non prima di aver attinto ad ampie mani all'energia necessaria per tirare l'alba. Fino a quando sperperata ogni forza vitale ci si trascina come zombie per depositare da qualche parte le carcasse vinte dalla stanchezza, dagli eccessi.
A dispetto di tale trend si voleva utilizzare quei luoghi per un altro uso più incline a rigenerare l'energia. Per ottenere tale obiettivo c'era alberto con il reiki, olga con lo yoga, più la sessione finale del laboratorio di dance trance. Alberto con i suoi amici avevano anche allestito di fianco alla palestra il loro banchetto di erbe sacre, infusi miracolosi, dolcetti vegani attingendo ampiamente all'esperienza maturata da alcuni di loro nel lungo ritiro shamanico in perù. Fuori il banchetto, dentro la stanza adibita a tessuto i materassi necessari per equilibrare l'energia dei centri vitali intasati con quella cosmica.
L'appuntamento per tutti gli organizzatori era per il primo pomeriggio, anche perché l'evento sarebbe cominciato in teoria per le quattro. Alle quattro e quaranta, tolto il puntualissimo gruppo reiki, degli altri nessuna traccia. Le casse, lo strumento magico per creare il miracolo di “oltre l'orto...”, ancora parcheggiate dentro casa sound. Cosa ci vuoi fare. Fino alla fine sul filo di lana. Secondo una lontana tradizione del posto. Quando già inizia a arrivare la gente si comincia con la relativa calma l'opera di trasformazione. Nell'attesa va bene pure un vecchio stereo portatile preso dalla palestra dal costa. Quanto basta per diffondere vecchie arie di blues elettrico. Alla fine arrivano tutti. Per ultimo jimmi l'esperto del suono. Senza pensare ad altro ci si mette all'opera. Si stendono i fili tutto intorno, si collegano le tredici casse posizionate in serie una dietro l'altra lungo il perimetro, sotto i bancali per inondare di suoni l'atmosfera con naturalezza. Alle sei in punto tutte le casse sono collegate non senza aver prima dovuto risolvere una serie infinita di problemi tecnici contingenti. Per chi ha lavorato di forbici e cacciavite è già un miracolo essere riusciti a tanto. Un'impresa all'apparenza disperata. Eppure vuoi per l'aiuto degli amici, vuoi per l'esperienza di jimmi, non senza fortuna il miracolo si compie. Ora la prova della verità. Un attimo di silenzio. Vai con il volume. Voilà la musica mixata da jaba ad avvolgere i presenti dal basso, di lato con la stessa fragranza del cottonfioc. La stessa sensazione di quando si accende la televisione. Un nuovo mondo all'improvviso come se tutto quanto prima non fosse mai stato. Un miraggio condiviso. Una visione per un giorno. Un universo sorto dall'intento comune di far emergere qualcosa di bello prima di sottrarsi di nuovo a fine serata nell'oscurità, nel silenzio. Per nascondersi ancora in qualche luogo arcano in attesa di manifestarsi ancora sotto nuove forme.
Intanto però le vecchie sedie arrugginite, i tavoli di legno consunti, i banconi della mensa prendono vita, si animano di luce. Una leggera vibrazione attraversa tutti. Le ragazze di tessuto mettono a disposizione i cibi cucinati in casa. Si prepara al volo le tisane di salvia, rosmarino, finocchio selvatico. Si riempono i bicchieri con lo sciroppo di sambuco, il caffè d'orzo della zia anita. Si mescolano animosamente i dieci litri di sangria nel pentolone.
Mezzanotte.
Come d'incanto si chiude il sipario.
La gente lascia lentamente il palcoscenico.
Si spera più felici di prima.
Si spengono le luci, la musica.
A un tratto gli oggetti tornano nell'oscurità, le panche a essere solo vecchi pezzi di legno tarlato. Le poche persone che restano si confondono con la tappezzeria del posto.
Da fuori solo il rumore sordo delle ruote sull'asfalto a rompere il silenzio sottile piombato all'improvviso.