mercoledì 7 gennaio 2015

Margini

Da un po' di giorni andava alla ferrovia.
Anche perché c'era un sole insolito per la stagione.
Nel corso degli anni i confini della no man's land si erano fatti ancora più stretti. La città continuava a inglobare nuove fasce di terra prima abitate solo da ratti, senzatetto, clandestini.
Pure le nutrie del canale avevano dovuto fare i bagagli per spostarsi un po' più a valle.
Restava solo quella fascia desolata percorsa da linee ferrate arrugginite raramente in uso.
Altri prima di lui avevano scavalcato la rete, percorso quei sentieri di mattoni in cemento. A testimoniarlo bottiglie vuote, scarpe rotte, vestiti abbandonati.
Da un lato la città, meglio i confini abitati. Dall'altro il CNR, il nuovo polo scientifico in procinto di essere ultimato. Due grossi edifici in muratura rossa ai lati del canale dalle linee possenti. Non senza il vezzo di qualche fuga spiraliforme giusto per ostentare qualcosa.
Lungo il camminamento in cemento tante mattonelle fuori posto. Dentro le canaline i fili elettrici a nudo.
Un saltello e via per continuare il viaggio lungo i binari.
A un certo punto una pietra sistemata al contrario.
Un segno?
La sollevò.
Sotto solo la pelle secca di una biscia.
La tana di muta di una nuova rinascita.
Da alcuni giorni era solito fermarsi a prendere il sole in una di quelle case di manovra a fianco della ferrovia nei posti di snodo.
Per arrivarci bisognava superare il ponte.
Il punto più stretto, il più alto.
Da li sopra si poteva vedere un insolito panorama.
Sotto il canale ridotto a una strisciolina scura ondulata.
Sullo sfondo la città con i suoi palazzi disordinati.
Dall'altro lato la periferia.
Scampoli di campi coltivati a tappezzare gli spazi vuoti tra centri commerciali, capannoni industriali fatiscenti. Un miscuglio confuso di realtà poco conciliabili.
Anche quel giorno prima di passare si assicurò di non vedere nessun treno merci all'orizzonte. Gli unici a solcare ancora quella tratta. Si buttò sul fianco destro del ponte, poi superatolo riprese il sentiero in cemento tracciato a fianco dei binari fino a arrivare a destinazione.
I mattoni rossi della parete erano già caldi.
Il posto ideale per attutire la temperatura nonostante tutto invernale.
Quel giorno si fermò più del solito.
Fino a allora non aveva mai visto nessuno.
Solo tracce di vita randagia qua e là.
Un suono improvviso di frasche mosse lungo il greppo.
Il fumo da una capanna improvvisata in legno e lamiera nascosta tra la vegetazione.
Le voci riverberate dal campo rom non troppo distante.
L'accelerazione di una macchina nella strada secondaria sottostante.
Su tutto il rumore di fondo della città.
A un certo punto la sua attenzione fu catturata dal movimento rapido di un'ombra nera all'orizzonte. Pochi passi veloci per attraversare i binari prima di scomparire nella casa di manovra lì poco lontano.
Dopo un po' dei rumori di sassi calpestati dalla parte opposta.
Un signore con una giacca a vento verde militare.
Ha appena superato il ponte.
Lentamente va dalla sua parte.
Lo vede.
Rallenta vistosamente.
Attraversa indeciso la ferrovia.
Per scomparire da dov'era venuto.
Forse si dirigeva proprio là.
Per sedersi su quella pietra fatta a posta per prendere il sole.
Difficile saperlo.
Con sua sorpresa quei posti all'apparenza deserti erano invece abitati da un'umanità schiva poco incline a lasciarsi inquadrare. Abituata a vivere nell'ombra, lontano più possibile da un certo uomo “civilizzato”.

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