lunedì 21 luglio 2014

Umbria jazz

A perugia c'era la bolgia.
Da una settimana la città era stata invasa da una marea di gente stregata dalla musica.
Non una qualunque.
Jazz.
Il migliore a disposizione.
Per chi voleva spendere c'erano i concerti a pagamento.
Per tutti gli altri i musicisti da strada.
Lì si poteva trovare i generi più disparati. Spesso eclettici fino a essere fuori di testa. Per inseguire il fascino della street music, la sua imprevedibilità. Pur di lasciarsi contagiare dai quei ritmi popolari estremamente basilari. Sotto un portico antico, lungo la parete scrostata di un vicoletto a fianco di una via importante si veniva risucchiati in una vera e propria orgia di corpi danzanti senza freni. Fino allo sfinimento. Con la maglietta bagnata fradicia. Stemperando le alte temperature con bevande alcoliche possibilmente ghiacciate.
L'importante era non fermarsi alla prima occasione.
Per continuare a cercare nei luoghi più disparati guidati dall'istinto, dal caso.
Ecco allora i ritmi africani in piazza, nella loggetta rinascimentale con la gente a ballare freneticamente. Il resto sedute sulle scale antistanti a guardare, a parlare, a fare incontri. Poi un trio toscano armato di fisarmonica, petardi, trombetta, con la batteria improvvisata fatta con dei vecchi secchi a infarcire ritmi ska. Giù a ballare scatenati fino al pogo. Con il sorriso, gli occhi di fuoco accesi dall'alcol come si ballasse in un antico rituale sabbatico. Posseduti da quello spirito vitale capace di agitare i corpi come marionette impazzite.
Poi dopo aver vissuto quella situazione con tutte le energie a disposizione, via verso altre mete imprevedibili. Trascinati a caso come delle navi in balia delle onde in un mare in tempesta.
Non so come, alla fine arrivarono dentro un'osteria piccolissima. Per accedere una scaletta in pietra. Dentro una marea di gente accalcata dappertutto. Difficile farsi strada fino al palco. Lì davano prova di sé un trio di jazzisti con tanto di sax. Bravissimi tecnicamente ma niente più.
Il tempo di conquistare la vetta.
Il concerto già finito.
Vacca.
Niente paura.
Nemmeno il tempo di rifiatare ecco spuntare una comitiva di neri vestiti di nero con gli occhiali da sole neri. A seguire un manipolo di donne nere bellissime in bianco e nero zebrato.
Il tempo di asciugarsi la fronte madida di sudore.
Ecco il più alto sedersi dietro le tastiere, poi il batterista, il bassista alle sue spalle appiccicati al muro. In così poco spazio trovano posto pure due grossi neri con il microfono.
Ancora in piedi il batterista è già lì a battere le bacchette sui piatti per fare ritmo. Il tastierista senza pensarci un attimo a stare dietro. Poi il bassista, capito il giro giusto, a pulsare note profonde.
Un attimo per sintonizzarsi.
Via pronti per lo spettacolo.
In un attimo note scure mescolate a ritmi impazziti per dare luogo a qualcosa di eccezionale.
E lo si capisce subito.
Il corpo aggredito da tanta musica non riesce a stare fermo.
Musica roots.
La migliore.
La stessa suonata nei ghetti di new york, in palazzine fatiscenti.
Però a perugia.
In un'osteria in culo al mondo.
Naturale lasciarsi coinvolgere.
Prendere il primo bicchiere lì davanti.
Battere il ritmo con le chiavi della macchina come fosse un campanello house.
Voilà improvvisato lo strumento per partecipare a quell'evento straordinario.
Un'ora di musica tiratissima.
Il tappeto ottimale per lanciare le voci hip pop dei cantanti pronti a passarsi il microfono strofa dopo strofa.
E che sia il giorno giusto lo senti dentro.
Le note ti si assemblano naturalmente.
Posseduti da quell'energia roots.
Giù allora a battere forsennatamente il bicchiere a ritmo inseguendo quel magma oscuro, denso appiccicoso.
Alla fine, sollecitato oltre i suoi limiti, il bicchiere si rompe d'incanto.
In un sol colpo.
Senza fare rumore.
In tre pezzi.
La ragazza nera la stessa prima a fare foto dell'evento dice affettuosamente qualcosa in inglese.
And now...
No problem.
Mosso da quei ritmi è il corpo a risuonare da cassa armonica. In preda a frenesia tutti ballano all'impazzata a tempo hip pop. Le braccia alte, il bacino a ondeggiare, gli occhi chiusi. Appiccicati l'uno con l'altro. Un trip profondissimo, quasi in trance.
Memorabile.
Liberi di muoversi come non mai.
Difficile non essere invasi da quelle immagini anche dopo.
Troppo forte la loro carica per non esserne travolti.
Un picco difficile da descrivere, da rivivere fantomaticamente.
La serata potrebbe finire lì.
Impossibile desiderare di più dopo aver lasciato sul pavimento fino all'ultima goccia di energia.
Rimane ancora un po' di spazio per dei giovani grunge improvvisati musicisti di strada a urlare smell like then spirit. Suonandola da dio.
L'alba è ormai vicina.
Ancora un briciolo di frenesia da spendere tra le vie in festa prima di trovare casa in un piccolo parco di periferia.
Il luogo giusto dove stendere il sacco a pelo.
Il sole è già lì a reclamare il suo spazio in cielo.
Non c'è tempo di vederlo sorgere.
Appena dentro il sacco a pelo.
Si è già nel mondo dei sogni.

Al forte

Anche quel giorno avevano dormito al forte.
C'era la festa dei popoli.
Un luogo usato originariamente per offendere, creare barriere, separazioni, per distinguere l'amico dal nemico, oggi era divenuto per ironia della sorte l'occasione per unire etnie differenti. I possenti muraglioni non spaventavano più. Al massimo erano il pretesto per lunghe passeggiate tra quei resti, lungo cunicoli oscuri dimenticati alla testa di solerti guide nostalgiche dei tempi andati. Senza troppo pensare a quei luoghi come strumenti di guerra, di inimicizia. No, a affascinare era più il loro potere antico, la memoria di un passato tutto sommato importante di cui vantarsi.
Il pomeriggio passato erano scesi alle due sorelle, la spiaggia più bella del conero. Ma anche quel piccolo gioiello selvaggio era stato preso di mira dal turismo della domenica. Giusto per far quadrare i conti dell'economia locale.
Neanche il tempo di mettere i piedi a terra sulla spiaggia dopo più di un'ora di discesa sul sentiero impervio, ecco il primo barcone avvicinarsi al ritmo dell'altoparlante sparato a volume altissimo per attraccare lentamente al suolo con la prua. In pochi secondi un battaglione di turisti armati di macchine fotografiche, tutti con la maglietta uguale a inseguire un grosso contenitore di plastica. Dentro l'attrazione del giorno. Una tartaruga marina da liberare. L'operazione avrebbe potuto durare pochi secondi. Invece pur di assecondare il copione scritto appositamente per quei turisti si era trascinato avanti per quasi un'ora. Tutti intorno a ferro di cavallo per guardare l'evento melodrammatico. La tartaruga ferita, salvata dalle forze del bene, ora pronta per una nuova vita. Dopo aver fatto il giro della spiaggia dentro quella vasca per dare a tutti l'opportunità di vederla, alla fine viene liberata a terra. In un baleno assecondando un istinto naturale si trascina con le pinne a mare. Ancora qualche bracciata ed è in acqua. Per scomparire subito dopo risucchiata dai flutti nello stupore dei presenti. Serci per assecondare ironicamente tale spettacolo comincia a applaudire. Tutti a seguirlo. Lo spettacolo ora poteva considerarsi veramente finito. Si poteva tornare a casa. Ecco la barca attraccare. Uno dietro l'altro a salire su. Con l'altoparlante a busso a condurre l'operazione via verso la costa abitata. Convinti di aver partecipato a un evento straordinario, a contatto con la natura vera. Quella precedentemente offesa, poi ripristinata grazie alla cura di solerti operatori addetti alla sua salvaguardia. Tutti conoscevano a memoria i ruoli. La guardia costiere, i turisti, forse la stessa tartaruga marina oramai abituatasi ai riflettori.
Dei setti scesi a mare in tre avevano deciso di risalire su. Anche perché dopo il bagno, aver preso un po' di sole c'era il serio rischio di rompersi i coglioni. I quattro rimanenti con enorme disappunto preferirono rimanere lì a dormire sulla spiaggia. Anche per vedere l'alba sul mare. Dopo aver diviso le provviste partirono. L'appuntamento l'indomani sul forte divenuto ormai la loro base d'appoggio. Neanche fossero dei pirati provetti.
I ragazzi rimasti giù, la mattina avevano preso le cozze.
In qualche modo le avrebbero voluto cucinare.
La pentola l'avevano trovato il giorno prima. Chiedendo agli autoctoni incontrati per strada un contenitore in metallo non più in uso.
Il massimo sarebbe stato abbinarle con gli spaghetti.
Alla fine andrea viva la vida, un volontario della festa, diede loro la soluzione giusta.
Nelle sale della parrocchia antistante il forte, dove si cucinava per la sera, misero a disposizione un piccolo fornello a gas, una grossa pentola.
Fatta.
Tutti felici e contenti.
Anche il festival dei popoli nel rispetto della tradizione si contaminava aprendosi a quei sette “vagabondi” a ore.
Dopo aver consumato il pasto prelibato, non prima di averlo cucinato con la massima cura, lavato i piatti, rilassati per un attimo nella grande terrazza messa a loro disposizione, era il momento di decidere sul da farsi. Tre giorni nello stesso posto. Troppi per chi si professava nomade all'occorrenza. Le mete future pescara a raggiungere frank e i suoi amici, perugia dove era in corso l'umbria jazz, da anni un punto di riferimento internazionale per i patiti del genere. Mezz'ora e più. Ognuno a dire la sua. Senza cavare il ragno dal buco. Sembrava non si riuscisse a venirne a capo. Poi in tanta bagarre noise cominciò a strimpellare la chitarra acustica di vince. Il solito ritmo post punk come se a suonarlo ci fossero i gun club con tutta la loro energia. D'incanto tutti si silenziarono. Presi da quelle note frenetiche c'era chi batteva i piedi. Qualcuno cominciò a suonare facendo ritmo con le forchette, chi con le mani. In un batter d'occhio si era improvvisata una jam session. Posseduti dallo spirito di quella musica tirarono il pezzo per più di cinque minuti fino allo stacco conclusivo. Poi un lungo attimo di silenzio. Come fosse la cosa più naturale di questo mondo si guardarono agli occhi. Allora tutto chiaro no? Sorridendo tutti acconsentirono. Riprendendo di punto in bianco a fare altro. Senza parlare più di luoghi da decidere.
Cosi fu.
Poco dopo presero le cose.
Pulito fino all'ultima briciola il luogo dove avevano mangiato.
Salutato i volontari del festival con gratitudine.
Partirono.
Direzione l'entroterra.
Stregati dalla voglia di musica.

domenica 20 luglio 2014

Bada!

Ma lo stai facendo per te?
Saresti andato là comunque anche senza di me?
Pensa ai tuoi progetti.
Cosa fai oggi?
Nel senso sopra scritto.
Sono le frasi campanello di allarme per dirti che il rapporto con l'altra se c'è mai stato è finito da mo'.
Il fare l'amore è già solo farsi una scopata.
Se ti va bene non vieni trattenuto.
Se ti va male vieni sfruttato.
Meglio... lo lasci fare all'altra.
Insomma ti lasci schiavizzare.
A sto punto vale più na sana masturbazione su youporn.
Meno rogne. 
Inoltre non devi fare la fatica di lavorare di immaginazione.
Magari idealizzando.
A che serve se i dispositivi del sesso, i disinibenti volendo usare alcuni termini di natura antropo-filosofica, si attivano con niente.
Basta du tette, la fica, il su e giù.
Un buco vale l'altro.
A ste condizioni nel contatto con la controparte a mancare è l'essenziale.
Quel bene infinito.
Fuori dal tempo.
Non nominabile.
Irrazionale.
Un pugno al cuore teso come una corda elevante.
A ben pensare un altro dispositivo.
Come quello del sesso.
Sebbene ti può dare la sensazione di farti volare a volte, di farti stare un pò più male, di essere geloso...
In particolare quando lo smascheri un po' ma non sai fartene una sana ragione.
Un ultima raccomandazione.
Non solidarizzare accidiosamente con quei sintomi.
Sii spietato.
Non con l'altra.
Con te stesso.
Con il tuo corpo di sofferenza come lo chiama eckart tolle.
Non dargli tregua.

domenica 13 luglio 2014

Fatta pure questa























Fatta pure questa
Bologna chiaravalle in bici.
In poco meno di nove ore.
Pause comprese.
A risentirne un po' le gambe.
Ma nel complesso va benone.
Mentalmente ancora presente.
Scendo dalla bici come fossi appena partito.
I raga al parco, quelli dell'incontro, mi guardano stupiti.
Le solite frasi.
Per loro è una prova di volontà.
Una piccola impresa.
Lo definiscono un “grande sforzo”.
Ma non è così.
Più facile di quanto si possa pensare.
Un po' di allenamento e voilà.
E non si tratta di sfida, di saggiare le proprie possibilità.
Si, certo, c'è anche questo.
Se di sfida si può parlare è più con la vita.
Cosa non fare per sentire il sangue scorrere, per non affogare in pensieri a vuoto nella stasi casalinga, per non sentirsi morire goccia dopo goccia.
Trovo piacevole stare qua “in ancona” con le spalle poggiate sulla lanterna rossa del porto. Con un vento dell'est a increspare il mare di onde in fuga veloce verso la costa.
Eh si altra cosa rispetto la pianura, all'afa statica intrisa di umidità.
I rumori metallici del porto a battere a ritmo sopra la tecno sparata dal lettore mp3, il fruscio continuo del vento onnipresente. Una luce cristallina. Lo sguardo perso verso la linea dell'orizzonte brulicanti di navi all'apparenza immobili.
Una bella sensazione.
Certo anche questo non durerà.
Ci si abitua a tutto.
Fino alla noia.
Solo l'essersi spostati di duecento chilometri attiva nuove energie rompendo i soliti schemi, quegli automatismi annichilenti.
Per un po'.
Fin quando il corpo si riorganizzerà, riprenderà le misure.
Comunque in questi giorni estivi la zona del porto compreso il mitico bar antistante la banchina dei traghetti è la casa ideale dove passare sti giorni afosi. Letteralmente il porto dove attraccare per un po'. Il tempo di rifiatare prima di un nuovo viaggio.
Certo non sono mancati i momenti epici.
Come quando a una manciata di chilometri dall'arrivo, stanco morto ho invocato gli spiriti del piccolo cimitero di chiaravalle di trasmettermi la loro energia. Subito un grande effluvio di vibrazioni.
L'arrivo è sempre il momento più critico. Pensare di essere giunti quando ancora non lo si è. Un fatto solo mentale. Ecco allora affiorare di botto tutte le stanchezze. Via allora contro i propri pensieri per indurre il corpo a non smettere di lavorare. Poi a pochi metri dell'arrivo il momento di scarico. Una liberazione.
Ma non basta.
L'indomani un messaggio di Alec.
Fatti trovare da qualche parte.
Si va alle due sorelle. La spiaggia più arcana del conero. Quella nascosta ai più. Abbordabile solo dal mare dopo una lunga discesa irta di difficoltà. Quattrocento metri di dislivello con una visuale mozzafiato. Davanti l'intera baia con gli scogli a mare. Un'ora per arrivare giù tra salti in verticale, pietre instabili lì sul punto di franare.
Ma ne valeva la pena.
Appena sulla spiaggia naturale spogliarsi per buttarsi a mare. In quell'acqua verde chiaro.
La meta più vicina la grotta sul fianco destro della baia.
Poi, non paghi, a nuoto fino alle due sorelle, gli scogli bianchi dalla parte opposta.
Con il cielo plumbeo carico di pioggia.
Ma non ci sono santi.
Il temporale oggi può aspettare.
Non è ancora il suo momento.
C'è prima da risalire.
Per la stessa strada di prima.
Non senza dare ogni tanto qualche sbirciata giù.
Consapevoli di cosa si sta lasciando.
È ora di dormirci su.
L'indomani con le gambe ancora indolenzite da acido lattico via in bici verso castelfferretti. Da lì con la macchina verso l'interno. Dal mare alle montagne in una manciata di chilometri. Per vedere in mezzo a tutto un tramonto panoramico da paura. Tra le montagne a destra, il mare a sinistra. La luna piena dietro le spalle dalla parte opposta del sole rossissimo.
Il giorno dopo, sbrigate le questioni burocratiche, via in sella verso casa. Lo stesso tragitto. Però con la consapevolezza di essere pronti. Nonostante la pioggia abbia provato a rovinare tutto. Anche stavolta non c'è ne era per nessuno. Solo a pochi chilometri dall'arrivo lo sfogo del cielo. Per far sentire la sua potenza.
Niente paura.
Salvato dai portici di bologna.

lunedì 7 luglio 2014

Chillwave


Ecco si dovesse condensare quest'estate in una sola giornata penso alla festa di autofinanziamento della falegnameria all'xm.
Sabato cinque luglio.
L'estate in pianura già incalza.
Chi può è fuggito lungo la costa, in qualche paese esotico lontano dall'afa cittadina.
All'xm ci sono ancora tutti.
A mancare solo il grande pubblico.
Con i raga di chillwave, l'appuntamento open air appena concluso nei giardini di hobo, nell'ex facoltà di agraria, ci si vede in via marsala dove abita luca.
Il tempo di arrivare in bici.
Loro sono appena scesi.
Sincronizzati al secondo.
Ci si incontra come se tutto scorresse alla perfezione.
Con i tempi giusti.
E lo sai già.
Quello è il ritmo dei momenti magici.
Quando tutto si incastra a meraviglia.
Come se alla consolle ci fosse un bravo dj a miscelare tutto con sapienza.
Non so quanto durerà.
Ma un portale si è aperto.
L'energia fluisce libera senza intoppi.
Ogni cosa va come deve andare.
Insieme in bici si va verso l'xm.
Noiselle, jacopo, i dj della serata, giallu, luca l'anima del progetto chillwave.
Si erano conosciuti una sera in ciclofficina.
Noiselle da solo a mettere tecno fino all'alba tra i tavoli normalmente usati per ben altri scopi.
Senti è possibile ci facciamo sentire a breve.
Vorremmo organizzare un evento all'aperto.
See come no. Eco il contatto.
Quante volte la stessa scena.
Parole morte pronunciate senza esiti reali.
Gentioux un mese dopo.
Un messaggio di luca.
Ej ci sei?
Domenica potresti suonare a chillwave.
Detto fatto.
La settimana successiva.
Il tempo di tornare in italia.
E che i raga fossero di un'altra pasta rispetto a tanti loro coetanei lo si vedeva subito.
Gentili, pieni di entusiasmo.
Il loro primo grande evento a partire dal niente.
Pochi i mezzi, tante le idee.
All'xm come dicevo c'era il vuoto.
Ma non contava.
Il pomeriggio c'era stata la festa per i più piccini con il mago. Tutto era filato nel migliore dei modi.
Alle otto e trenta c'era zaza a distribuire birra, il cuoco napoletano, jimmy il tecnico del suono appena diventato nonno, pochi altri.
Nell'attesa dell'orario convenuto si spostarono nell'orto. Il luogo di tanti tramonti indimenticabili. Compreso quella sera. Tra tante sedie vuote scelsero quelle al centro di tutto. Attorno al tavolo rollarono una canna. Nonostante tanta desolazione non si stava male. Si progettava insieme per il futuro. Il giocattolo messo insieme in quei giorni era potenzialmente una bomba. L'entusiasmo abbondava. Così la voglia di emergere. E poi si stava lì tra le piante dell'orto, al tramonto, come si fosse nel giardino di casa. Un lusso per pochi. L'xm il luogo dove forse parcheggiarsi anche per l'inverno. Non male eh.
Verso le nove e trenta, oramai al buio, tornarono dentro sotto la tettoia. Di gente neanche l'ombra. A non mancare mai la comunità dei senegalesi. Con i loro modi strani di fare. Alla fine si erano inseriti pure loro. Lai aveva pure partecipato alla riunione del martedì per esprimere il loro punto di vista. Certo con i suoi modi. Ma già questo poteva considerarsi un miracolo.
Alle undici e un punto dopo il concerto punk wave toccava a jacopo. Con il suo dub lentissimo, deep esotico. Certo l'impianto non era il massimo, ma grazie a jimmy tutto funzionava alla perfezione. Anche perché non si voleva disturbare troppo i vicini. Dopo jacopo il turno di noiselle.
Qualcuno alla fine era affluito. Certo si contavano sulle punta delle dita. Ma cosa importava. Sembrava più una festa privata per i raga di chillwave e i loro amici accorsi comunque.
Ora era il momento della tecno di noiselle.
A 128 bpm.
Sporchissima come poco si sentiva in giro.
Deep implosivo.
Un viaggio interiore profondissimo.
A quelle ritmiche impossibile resistere.
Alla fine quasi tutti i presenti si gettarono nella mischia.
Sotto il subwoofer per sentire meglio i bassi.
Indimenticabile.
Ma non finiva lì.
Ora era il turno di luca.
Chill music giusto per decomprimere gli animi. Portare i parametri a livelli di normalità.
Una mezzora fichissima.
Musica raffinata.
Difficile non tornare a casa e ripensare a quei momenti magici.
In pochi a averli vissuti.
Impossibile comunicarlo agli altri.
Tra di loro bastava uno sguardo e tutto era chiaro.
Quel mood andò avanti anche l'indomani.
Consapevoli di aver vissuto nel loro piccolo un vertice esperienziale da conservare con cura nella memoria.

sabato 5 luglio 2014

La grande ruota...

C'è qualcosa.
Il più strano che ci sia.
Lì a bussare alla porta.
A chiedere insistentemente non so bene cosa.
Quando meno te lo aspetti.
Oramai deluso, sfiduciato dalla vita.
Pronto a vivere solo.
Forse è solo immaginazione.
Per sentirsi scorrere il sangue in corpo.
Basta solo abbandonarsi.
Nel profondo.
Senza timori.
Ecco allora partorire nuovi mondi impossibili, fantomatici paesi delle meraviglie.
Almeno sulla carta.
In bilico tra miraggio e realtà.
Forse solo la creazione di un folle indomito.
Voilà allora beharé.
Da parigi.
L'occasione per trascorrere un pomeriggio piacevole in una bologna estiva desolata.
Lineamenti orientali.
Parla persiano.
Oltre al francese, l'italiano etc. etc.
Una lingua di un paese vivo solo nella memoria di pochi.
Balla tango.
Ci incontriamo a piazza maggiore.
Per scoprire cammini comuni inattesi.
Accorciando distanze in un baleno.
Da parigi alle marche.
Gli stessi luoghi frequentati.
La citta della luce.
La casa di giovanni del seminasogni.
Nel rispetto della legge di attrazione.
I simili chiamano i simili.
Ecco all'orizzonte un nuovo oggetto del desiderio.
La meta possibile di pensieri, progetti a termine.
Passare l'estate insieme ad agosto.
Cosa non fare per mascherare la propria solitudine.
Il desiderio di essere amati, riconosciuti da qualcuno.
Forse no.
Questa volta non bisogna cadere nella solita trappola.
Niente di tutto questo.
Arrestarsi.
Vivere quel presente e basta.
Terminarla lì.
Senza strascichi.
Oltre qualsiasi progettazione.
Giusto la manna per tirare a campare.
Senza trattenere di più.
Solo lo stretto necessario.
Un destino a quanto pare ineludibile.
Inutile ribellarsi.
Anzi.
Controproducente.
Abituarsi piuttosto.
A questa povertà.
Per qualcuno altissima.
L'unica ricchezza.
Saper vivere.
Saper morire all'istante.
E basta.
La vita nuda.
In tutta la sua pienezza.
Il vuoto
Punto.

Matrix

Domenica.
Giro in bici.
Il solito. Tempo permettendo.
Monte san pietro.
Poi tutto d'un fiato mongiorgio.
L'aria è densa.
L'umidità lì sul punto di precipitare.
Stallo totale.
Solo leggeri movimenti delle foglie, delle spighe selvatiche.
Un ritmo basso implosivo.
wuhhhh... wuhhh....
La base giusta per introdurre l'urlo secco dello squarcio di tanta sospensione dinamica.
Il tempo di svoltare lungo la strada per mongiorgio, le prime goccie.
Niente da fare.
Continuare a salire significherebbe entrare nell'occhio del ciclone.
Meglio fermarsi in una casa abbandonata protetti dalla lastra in cemento di un terrazzo.
Un'ora di attesa sotto la pioggia.
Poi i primi barlumi di luce tra nubi astratte.
Si riparte.
Due giorni dopo.
Stesso giro.
Un sole della madonna.
Umidissimo.
Più ci si addentra più l'aria si rarefa.
Il sole smette di filtrare tra tanta cappa di caldo.
Le prime nubi scure all'orizzonte.
Stesso punto di due giorni prima.
Le prime gocce.
La stessa storia.
Lo stesso terrazzo.
Sta volta in compagnia di due contadini costretti anche loro sotto quel terrazzo. Avrebbero dovuto raccogliere l'orzo. Oramai bagnato fradicio.
Ancora un'ora.
Poi si riparte.
Passaggio a livello poco prima di casa.
Come due giorni prima le barre si stanno abbassando a ritmo della campana di allarme.
Per fortuna la carreggiata dell'altra corsia è libera.
Senza pensarci mi ci butto zigzagando l'ostacolo.
Stessa manovra.
Stessa dinamica.
Un déjà vu da paura.
La matrice a nudo.