venerdì 23 maggio 2014

Au plateau des millevaches

Da due giorni in italia.
Il tempo sufficiente per stabilire distanze rendere effettivi quei 600 chilometri di lontananza.
A facilitare tale compito il caos cittadino.
Per la prima volta in centro si viene catapultati in pieno marasma. Centinaia di persone attorno a stringere passaggi, a creare barriere da aggirare con destrezza con la bici come fossero tanti birilli. Un vociare continuo disarmonico. Rumori di fondo del traffico. Clacson dissonanti. Impossibile non essere invasi da tanta frenesia. A alimentarla un sole come non se ne vedeva da molto.
Eh si. Appena sceso dall'auto a piacenza un'ondata di calore asfissiante. Per contro il freddo delle notti francesi, il vento impetuoso, gelido da rendere difficoltosa la presa del paneau in cartone con la scritta lyon. Sbattuto avanti e indietro come una banderuola per cinque ore in terre aliene.
Superate le difficoltà del primo giorno in stop finalmente metto piede in italia. Come d'incanto tutto diventa semplice, scontato. In un baleno si trovano i passaggi giusti. Poche parole, uno sguardo e si fa breccia tra la paura atavica di gente titubante presa dalle loro cose.
Ormai lontano il ricordo di gentioux, della comunità dei degun in pieno plateau a settecento metri. Una dimensione oramai aliena. Da ricercare con forza per non dimenticare tutto. Le tante persone incontrate a grenoble, lyon, clermont ferrand fino in quella valle in culo al mondo al centro della francia. Regno delle vacche libere, di un manipolo di anarchici desiderosi di colonizzare spazi nuovi. L'insurrezione a venire senza più combattere, né ostentare potere. Spostarsi più in là. Ai margini. Dove il sistema non arriva per cominciare una storia nuova. Niente di roboante. Solo la possibilità di fare, vivere in modo autentico. Lontano dalla società dello spettacolo, dai media. Per quanto possibile. A testimoniarlo josé, paul, loyn, ammandine, virgini e tanti altri. Al confort cittadino hanno preferito la yourte, la casa in paglia e argilla provando a vivere dei prodotti della terra. Non è facile. A quelle altezze la natura è avara. Ogni cosa va strappata con il duro lavoro, con un ingegno non comune. Ma non fa nulla. Questo è il prezzo della libertà, di non sentirsi parte di un sistema asfissiante. Certo i quattrocentotrenta euro elargiti ogni mese dallo stato a chi non lavora a regime aiuta assai. Senza sarebbe tutto più difficile. In questo modo possono aprirsi a una sperimentazione esistenziale unica. Un cantiere umano per trovare forme di vita nuove. Qui a dettare legge è solo l'amicizia, l'accoglienza del prossimo senza riserve.
Appena arrivati ci impattiamo in virginì.
Grazie a lei entriamo in contatto con la comunità.
Con josé in particolare.
È lui ad accoglierci.
Certo, tanta la gente passata.
Per conoscerli, per circoscriverli dentro foto, reportage, tesi di laurea da proporre al miglior offerente. In barba al fatto di stare parlando di una comunità desiderosa di rimanere invisibile, silenziosa. Alle parole vacue vale più il fare quotidiano. Pensare come concimare la terra, riappropriarsi dei segreti delle piante, di come fare il formaggio, il pane. Un sapere per certi versi antico da molti dimenticato. A parlare sono piuttosto i loro prodotti, ancor più i loro volti, i sorrisi di persone tornate a essere pure. Una fierezza docile contagiosa. Bastano poche ore per entrare in simbiosi, per far capire la sincerità delle nostre intenzioni, della nostra curiosità. Da tutti veniamo accolti con simpatia. Les italiens. La porta è aperta. Basta entrare. Senza fare troppo rumore, avere pretese particolari. Alla fine veniamo conquistati dalle loro maniere gentili. La mattina presto qualcuno ha la cura di lasciare un filone di pane sul tavolo o il cestino per il pranzo con i prodotti locali migliori. Non si bada al risparmio. Non sono in ogni caso dei fricchettoni. La modernità non è passata invano. La tecnica va però impiegata per liberare l'uomo non per renderlo un suo ingranaggio dentro i suoi dispositivi. Ecco allora i pannelli solari per produrre la corrente elettrica. Senza esagerare. Basta il minimo necessario per sopravvivere bene. Per non essere succubi del lavoro. In barba alla maledizione edenica. La festa è allora il momento per condividere insieme quanto ricevuto dalla terra, prodotto con tanto amore. Domenica è la giornata giusta dove ognuno può condividere i propri saperi, le proprie cose. A colazione chez antonia con i cornetti cotti con il forno a legna mobile. Pochi metri più in là c'è le sechoir, il luogo dove virginì lascia seccare le piante officinali raccolte. Da lì poi attraverso i boschi per raggiungere la sua casa dove sta l'orto sinergico. Via a snoccialare nomi di erbe, le loro proprietà, l'uso. A mezzogiorno da pascal e mélanie per riscoprire l'arte di fare il formaggio. Il camambert locale, il saint nectare, il formaggio di chevre alle ceneri, al pepe nero e rosso. Delle delizie prelibate per i pochi fortunati presenti. Anche noi decidiamo di partecipare portando qualcosa. Con quanto a disposizione. Della farina, delle onions dell'orto dei deguns, del formaggio recuperato la sera prima chez antonia, dopo aver mangiato la pasta insieme cucinata ottimamente da jacopo. Con quel poco riusciamo a tirar fuori una manciate di piadine. Nessuno le conosce. Impronunciabile il nome. Piadinà, piodinà. Non ce la possono fare. La presentazione di antonia è ammaliante. Voilà les piadinas italiens. Noi a ridimensionare a mettere le mani avanti. Niente de ché. La vera piadina un'altra cosa. Ma dopo il primo assaggio non senza qualche titubanza il piatto ha successo. Nonostante una piadina trovata abilmente nascosta sotto una coltre di riso. Dai degun si è affermata una piccola comunità fondata su tanti nuclei familiari sparsi intorno a una manciata di chilometri quadrati. Tutti hanno almeno due tre bambini. La vita è sacra, va preservata, incrementata. Sono loro il futuro. La seconda generazione a venire. Quelli nati lì, non arrivati per scelta. Prima di loro c'era stata un'altra ondata venti anni prima. Insieme si prova a tessere il dialogo, a creare qualcosa di speciale. La maggior parte viene da parigi, dalla svizzera, altri dalla bretagna, rhene in particolare. In paese hanno alcuni appartamenti in comune dove incontrarsi, ospitare i nuovi venuti, internet, il telefono per comunicare con il mondo. La tecnologia va usata in modo critico, con le dovute cautele. Ben oltre la fiducia incondizionata concessa dai resistenti delle città. Per questi ultimi la sfida tecnologico informatica è la via per creare orizzontalmente un nuovo mondo virtuale in alternativo alla rete consumistica verticistica. Qua nessuno lo vedi gironzolare con l'i-pod, indossare cuffiette per essere sempre interconnessi. Rari sono pure i cellulari di prima generazione. Per sentirsi meglio il fisso.
Con riluttanza rispondono a domande sul comitato invisibile, di tarnac, di julien coupan. Non riusciamo a capire bene il perché. Non insistiamo preferendo rispettare il loro silenzio. Alla fine però josé, prima della mia dipartita, ci propone di andare insieme là. Nel punto più caldo. Al centro di tante discussioni mediatiche a causa della denuncia di terrorismo di alcuni militanti compreso il loro capo ispiratore. Dopo dieci chilometri tra boschi di pini, passando accanto al lago di vassivière, a uno sputo da faux la montaigne, arriviamo a tarnac.
Davanti a noi una visione sublime, spiazzante quanto mai.
Come fossimo entrati all'improvviso dentro un antico cantiere di una chiesa gotica. Qua le case non sono di paglia ma di pietra e di legno. C'è voglia di manifestare il proprio saper fare non senza un pizzico di eccesso. L'abitazione in comune è stata in parte demolita per essere ricostruita pietra su pietra. Poco lontano in un capannone appositamente attrezzato vengono forgiate le possenti travi del tetto. A lavorarle fin nei minimi particolari c'è l'artefice di tutto questo. Un giovane architetto totalmente assorbito dal suo grandioso progetto. Quasi avesse indossato i panni di capo mastro del cantiere. Tra pochi giorni arriveranno i mastri carpentieri dalla germania. Insieme erigeranno questa novella cattedrale gotica nel deserto. Poco più in là, sopra la collina antistante, un altro progetto ancora più ardito e visionario. Una casa modulare assemblata con una serie di piani quadrati usati come mattoncini lego. Per portarli in loco un possente camion alla fine dal peso di tredici tonnellate. Mastodontico. Impressionante. Questo è il centro nevralgico di tutto. Nel bene e nel male. Tanti gli stranieri, i visitatori da tutto il mondo. In tale frenesia rimane comunque uno spazio per l'accoglienza. A tutti è data la possibilità di rimanere, all'occorrenza di dare una mano. Le porte sono sempre aperte. Un pilastro irrinunciabile della loro politica. Ma si sente a pelle la distanza, l'impatto differente rispetto le altre piccole comunità della zona. Anche perché si è di fronte a una realtà sorprendente, disorientante. Come si fosse catapultati dentro una grossa fabbrica febbrile. Tutt'intorno campi coltivati, recinti di ovini, capre, bovini, arnie di api. E a testimoniare il loro progetto ambizioso i cento ettari di terra comprati. Un piccolo feudo da cui guardare il mondo dall'alto una volta completata l'opera. Una sfida sottile giocata con sapienza, simbolicamente. Percepiamo tante affinità, ma anche le differenze con i degun. Partiamo senza proferire parola. Ammutoliti da tanto fare, non senza dismisura. La goccia capace di far traboccare il vaso. Saturi di informazione, di esperienze è tempo di tornare a casa. Per rientrare nelle più comprensibili dimensioni della casa di josé a gentioux. Insieme cuciniamo qualcosa, parliamo amabilmente di quanto appena vissuto, di cosa rappresenta per noi la politica, delle sue trasmissioni a radio vassivière, del volersi bene come medicina sociale. Recuperando quel modo di fare a noi più affine. La misura è oramai colma. Almeno per il sottoscritto. È ora di tornare indietro. Per poter digerire tanto vissuto. Sapendo di essere stati irreversibilmente segnati da quella esperienza indimenticabile. E non si tratta di un addio. Ma di un arrivederci quanto prima. Per gli altri rimanenti, marco e jacopo, c'è ancora modo di approfondire la ricerca per colmare la loro insaziabile voglia di sapere.

mercoledì 21 maggio 2014

Franck

All'improvviso il viaggio ha preso una direzione insolita.
Senza rendersene conto ci si è inoltrati nel cuore più profondo della francia.
Da oggi si è aperto l'inconnu.
Rotti gli ormeggi si va alla deriva.
Nulla sarà più come prima.
Franck è una forza della natura.
Fa il consigliere comunale in un piccolo paesino alla banlieu de lyon.
All'apparenza un villaggino come quelli di una volta.
La piazzetta con il bar dove si beve il pastiche.
Tutto in un unico sorso.
Lì si è conosciuti.
Tutti fanno parte di un'unica famiglia.
Allo stesso tempo la metropoli è a uno sputo.
Si pensava di andare a clermont ferrand a caccia di fantasmi, di comitati invisibili, di insurrezioni a venire. Invece si resta a lyon, la grande babele. La dove in periferia vige ancora le regole delle bande, la polizia ti ferma ogni santo giorno. Ti sbatte al muro per perquisirti. Così. Senza motivo. Indagati a prescindere. E non si scherza. Ogni momento puoi rischiare la vita.
Sarà anche per la pioggia, perche si è fatto tardi.
Poco avvezzi alle regole dello stop francese, in balia di quanti gentilmente si fermano per un passaggio. Non sei tu a dettare le regole, a conoscere i posti giusti.
Parlare con gli autisti non serve. Qua basta alzare il dito oppure disegnare la meta su di un grosso cartone. E voilà tutti prima o poi si fermano.
Sarà per la forza degli eventi.
Qualcosa ci trascina fuori dai soliti schemi.
Per la prima volta la dimensione più autentica del viaggio ha preso il sopravvento.
Non si può far altro se non abbandonarsi a quel flusso irresistibile. Ecco la francia non aspettata.
Forse la più autentica, sincera.
L'alito di Franck emana la puzza del fumo frammisto a alcol.
Al péage di grenoble veniamo presi sul suo furgone.
In teoria può ospitare solo due passeggeri.
Così decidiamo di dividerci.
Marco e jacopo, i più giovani e inesperti saliranno su.
Per incontrarci chissà dove alla meta finale.
Tanto i cellulari funzionano ancora.
Ma in barba alle regole alla fine si sale tutti quanti.
In due davanti.
Marco & marco.
Dietro jaopo ammassato sopra una montagna di strumenti di lavoro, di materiale edile da riciclo, con la lucina accesa in tanto buio. Quanto basta per leggere zero calcare. Un libro arraffato a torino alla casa della cultura dopo l'incontro con serge latouche. Da bravi autostoppisti non guardiamo in faccia a niente e a nessuno. Finito l'incontro abbiamo chiesto un passaggio per la francia pure a lui, per l'indomani. Sorpreso della richiesta ci risponde qualcosa. Capiamo giusto la parola treno o giù di lì. Poi ci sfancula con delicatesse. Beh comprensibile per chi una dimensione pubblica. Sempre esposti a svalvolati come noi.
Durante il viaggio franck fa parecchie domande.
Vuole sapere cosa facciamo.
Quasi come fosse un interrogatorio vuole scoprire le nostre carte.
Qu'est-ce que aller fair a clermont?
Il n'y a rien!
Rien!
Ripete a alta voce.
Venez chez-moi...
C'est plus interessant.
Allore?
Qu'est-ce que vous faites?
Presto.
Una decisione.
Tra poco c'è il bivio.
Tutto sarà in modo o nell'altro.
Ancora pochi metri.
Ci si guarda negli occhi.
Una voce per comunicare dietro con jacopo.
Allora?
Si va?
Una risposta bassa per confermare il si.
Occhei.
Chez franck
Senza pensarci troppo decidiamo di seguirlo.
Al paesino di franck la prima sosta è all'asilo nido.
La cresh come dicono da queste parti.
Là c'è camille.
La sua figlioccia.
Come due ladri di bambini entriamo non prima di aver messo le pattine arancioni ai piedi per non lasciare tracce.
Per varcare la soglia bisogna aprire un cancelletto basso.
Tutto è al loro livello.
Una volta dentro si apre un'altra dimensione.
Uno spazio multicolorato come si fosse nel paese delle meraviglie di alice.
Dentro tanti cuccioli abbandonati per un po' dietro a un recinto di plastica aspettano il salvatore di turno.
Con gli occhi sgranati guardano i nuovi venuti come venissero da marte.
Il meno timoroso si fa avanti a carponi.
Passo dopo passo ondeggiando da paura.
Fino a toccarti con la manina.
Poi non so perché attacca a piangere.
E di corsa se ne va.
Forse non era quanto aspettato.
Dopo un po' come si fosse alle poste ci viene consegnato il pacco.
Camille ha due anni.
Quasi non parla.
Appena presa me la smolla senza pensarci troppo.
La prendo in braccio con la mano in basso sul sedere.
Così fanno di solito le mamme.
Almeno cosi sembra.
All'arto sx ha il gesso.
Proporzionato al piccolo braccino.
Sul volto i segni di qualche caduta.
Ha i capelli biondi.
La carnagione chiara.
Per nulla spaventata si lascia andare.
Un istante a scrutarti per vedere chi sei, meglio a percepirti.
Poi ecco un sorriso aperto.
È fatta.
Fiducia conquistata.
Si può ripartire.
Franck continua a fare domande come un vulcano in eruzione.
Tu prendi questo.
Tu fai questo.
Marcò viens avec moi!
Jacopò le sac.
Sembra abituato a dare ordini.
Senza dare troppo fastidio.
Glielo concediamo volentieri.
Anche perché la situazione è assai insolita.
In questi casi conviene aspettare.
Vedere cosa capita.
Non sapremo mai cosa gli sia passato per la testa in quei cento chilometri.
Però ha deciso di aprirci le porte di cosa.
Di accoglierci dentro i luoghi più cari al punto di affidarci sua figlia.
La casa dove vive è un vecchio convento di suore.
È a più piani.
A terminare con il classico tetto liscio un po' spiovente, con dei lucernai assai eleganti.
Stà dietro la chiesa del paese.
Una casa bellissima.
A dispetto dell'esterno curatissimo dentro è una casa come tante altre.
Abbastanza incasinata.
Cose dappertutto.
Sparse qua e là a caso.
La tazza del cesso è poggiata sulla parete.
Solo la scala al centro della casa è di una leggerezza sopraffine.
Quasi fosse sospesa nell'aere.
Non conta la facciata.
Perché perdere tempo in questi inutili dettagli.
L'essenziale è altrove.
Meglio prendere una bottiglia di buon vino della cote du rhon.
Poi un'altra ancora.
Tra una sigaretta e l'altra.
Con lui c'è la ragazza alla pari mexicana, una seconda figlia, un terzo figlio adottato.
Poi arriva anche la moglie.
Una infermiera privata.
La sua seconda moglie.
Perché franck è debordante.
Una vita non gli basta.
Una seconda famiglia è a grenoble.
Meglio.
La prima.
Un quarto figlio quindicenne bravo a suonare la fisarmonica.
Per ora ha deciso di vivere lì.
Dopo aver sgobbato come un mulo.
Avuto successo anche economico.
Cosa vuoi gliene freghi del denaro.
La sua ricchezza è lì davanti.
E ce l'ha messa a disposizione.
La sua vita nuda da mostrare, ostentare, condividere.
Quanto di meglio ti possa capitare lungo la strada.
Cosa cazzo vai a fare a clermont.
Non serve viaggiare.
Chez lui c'è la cosa più interessante da vedere.
L'ecce franck in tutta la sua autenticità.
Quanto di più bello, caro a disposizione ogni mattina.
Basta aprire gli occhi per toccarlo con mano.
Da nessuna altra parte lo puoi trovare.
Lì a una spanna.
Basta saperlo vedere, riconoscere.
Tutto il resto è fuffa.
La mattina prestissimo ci alziamo per fare colazione insieme.
È lui a chiamarci.
Poco lontano camille piange per un po'.
Basta il biberon in bocca per silenziarla.
Seduta come tutti intorno al tavolo fa colazione a suon di musica.
Vuole giocare.
È sufficiente un accenno di ballo di uno di noi per far partire lo show.
Con il sorriso sguainato via a far muovere grossolanamente il corpo a ritmo secondo le note.
Un'esplosione di vita contagiosa.
Si è fatto tardi.
Le sette in punto.
Bisogna andare.
Quanto c'era da vivere, vedere è stato fatto.
Tutto è compiuto.
Nulla più da aggiungere.
Con la freddezza del giorno dopo ci si saluta.
Una stretta di mani frettolosa senza troppe moine.
Perché franck non è tipo da abbracci o di lacrimucce.
Da vero macio.

E notte fu

Lyon.
Cinque della mattina.
In tram sopra il ponte del fiume la rhon.
Sui vetri colorati dai riflessi della notte le prime luci dell'alba.
Sei e dieci.
Stazione routière.
Si parte per tourin.
Un viaggio della speranza per molti.
Sul bus la vita sdraiata di corpi neri abbandonati sui sedili.
In silenzio.
Solo il vociare roco di due nigger seduti in fondo.
Un botta e risposta incomprensibile.
La vita nuda come un fiume in piena.
Chilometri di parole una dietro l'altra.
Senza fine.
Cosa avranno da dirsi di così urgente, incontenibile in quel dialetto franco afrikano.
Più avanti qualcuno si concede una russata.
Altri delegano la voce a suonerie melodiche, a musiche di fondo filtrate dagli auricolari.
Per il resto è notte fonda.
Nonostante la luce abbia già vinto sull'oscurità.