lunedì 1 dicembre 2014

Un sabato qualunque

Mestre è vicina.
Nel vagone poca gente.
Appena più avanti tre giovani si stanno preparando.
Un ragazzo, due ragazze.
Al massimo venti, ventidue anni l'età.
Per tutti la stessa meta.
Almeno così sembra.
Le serate del sabato lagunare da un po' divenuta la notte di tanti tiratardi da tutta italia.
Non mi sbaglio.
Scendiamo insieme.
Andate al pop corn?
No. In un locale lì da quelle parti.
Stasera arriva...
Non lo conosci?
Ma daj è famosissimo.
Risponde un po' sorpreso.
Se vuoi puoi unirti a noi.
Poi ti accompagniamo là.
Tanto è lungo la strada.
Fai il buttafuori?
Sul treno mi sembravi uno sbirro.
Proprio no.
La giovane ragazza al suo fianco mi squadra per qualche istante.
Sei un dj.
Già.
Sono da queste parti per una serata.
Sai anch'io sono un noto dj.
Risponde il ragazzo di prima.
Sono famoso anche all'estero.
Sono stato sotto la monoculare di Parigi.
Ora sono con la stessa etichetta degli aucan.
Tira fuori l'mp3.
Seduti sul marciapiede mi fa ascoltare il suo ultimo ep.
Niente male.
Monoloke il punto di riferimento.
Suoni pulitissimi, ricercatissimi.
Ritmiche complesse.
Forse lo stile compositivo è un po' superato.
Ma nell'insieme direi un ottimo prodotto.
Te lo spedisco. Dammi la mail.
Fuori della stazioni altri ragazzi hanno cominciato a invadere mestre.
I tanti capannoni industriali abbandonati sono stati riconvertiti a un nuovo inaspettato uso.
Sono diventati i nuovi templi della musica elettronica.
Dentro le loro stive enormi riescono a fagocitare fino a cinque seimila persone a serata. Importante per attirarle l'esca giusta. Il nome famoso.
Per tanti lo scopo principale al di là della buona musica è distruggersi.
Al bar il ragazzo tira fuori dal portafoglio più di 150 euro. Il medium per raggiungere tale scopo.
Vero potlach dei nostri tempi. Consumare tutto quanto accumulato nei riti di oggi. Quelli orchestrati da sapienti dj, manager in erba capaci di far funzionare la macchina secondo ferrei oleati dispositivi economici.
Non è facile.
Tanto lo sbatti.
Anche perché il sistema fa di tutto per renderti la vita difficile con cavilli legali fuori di testa, controlli a tappeto, multe quando possibile.
Ma è solo apparenza.
Tutto è funzionale al suo funzionamento.
Sono solo le facce della stessa medaglia.
L'uno specchio dell'altra.
Dopo una birra in un bar di fronte la stazione si fa un po' di strada insieme.
Poi mi indirizzano.
Vedi quel cartello luminoso laggiù?
C'è una scala.
Prendila.
Poi sotto vai a sinistra.
Completando l'informazione con un gesto della mano.
Ci sei?
Si tutto chiaro.
Trovare il locale non è difficile.
Dopo aver attraversato il lungo viadotto, la strada per collegare venezia con la terraferma, prendo le scale poi volto a sinistra. Scalino dopo scalino mi si mostra un livello assai fatiscente da periferia urbana. La stessa di tanti film americani.
Luci fioche, muri sporchi. Mattoni nudi di argilla anneriti dallo smog. Sotto le arcate del viadotto ci sono capannelli di persone fuori e dentro le macchine. Hanno la musica accesa a palla. Qualcuno si dimena, urla. Qui si prepara la serata. Imbottendosi di ogni ben di dio per accedere alla strada verso il paradiso o l'inferno. Fa lo stesso.
Al pop corn oggi a fare da padrona c'è la goa.
È stato chiamato un famosissimo dj.
Per lui si sono mossi da tutta italia.
Da perugia, bologna.
Tanti sono scesi dalle montagne.
Il tam tam mediatico ha funzionato.
In moltissimi hanno risposto.
Per entrare una lunga strettoia come per le bestie prima della tosa.
Ad attenderli al varco dei buttafuori di professione alti quasi due metri. Vestiti di nero come swarzenegger in terminator.
Entriamo.
E uso il plurale perché intanto ho conosciuto dei ragazzi umbri. Gli amici dei dj prima di me.
Sei della mattina.
La serata è finita.
Almeno per il sottoscritto.
Per molti deve ancora cominciare.
Ammassati all'entrata fanno pazientemente la fila per accedere dentro. Per loro la musica girerà fino alle dodici. Poi se non bastasse c'è l'after. A tirare dritto fino a sera.
È ora di fare i conti.
A aspettarmi fuori dalla sala c'è francesco.
È lui il cassiere.
Veramente ottima musica.
Ma ora a noi.
Allora?
Non so bene cosa dire.
Occhei quanto hai speso per il viaggio?
11 e 50.
Dalle tasche tira fuori un mazzo cospicuo di denaro. Con la stessa abilità di un banchiere estrae dieci euro.
Ej aspetta.
C'è pure il ritorno.
Un respiro.
Poi tira fuori altri dieci euro.
Mancano ancora tre euro.
Fa lo stesso.
Prendo lo zainetto, la borsa con tutto l'occorrente e alzo i tacchi.
Prima però faccio un salto nella sala principale.
È stata allestita secondo tradizione. Una grossa struttura tribale a moh di capanna bianca, nera e verde stile elfi. Da li una serie di tentacoli, ramificazioni organiche a avvolgere tutto. A progettarla un noto design venuto dal nord. In sala la solita musica goa di oggi. La si può apprezzare solo se si è su di giri. Se no fa abbastanza cagare. A quanto pare è stata studiata apposta per quelli già approdati in altre dimensioni. Per questo tutti si sono aiutati. Li vedi dagli occhi sfocati, il sorriso ebete, i ritmi lenti. Chissà in quale universo sono. Mi sento un alieno. Come se avessi di fronte dei corpi vuoti in attesa del loro spirito in trip. Beh rimane la curiosità di provare una volta sto viaggio.
Mi incammino verso la stazione sotto una leggera pioggerellina fine fine.
Con me una pletora di giovani allo sbando.
Tutti insieme a caccia del carro ferroviario giusto per fare ritorno a casa. In molti a consumare qualcosa al mcdonald della stazione. L'unico posto ancora aperto.
Dentro tra i tanti giovani c'è pure una signora in jeans coi capelle bianchi.
Come un pesce fuor d'acqua sta sul tavolo da sola.
Nell'attesa legge un libro dalle pagine ingiallite.
Il suo modo di evadere da lì.
6 e 54.
Il treno puntuale arriva sul binario.
Fine della storia.

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