mercoledì 12 settembre 2012

Letargo

Non ne poteva più.
Ennesimo capolinea.
Senza più centro.
La città non la sopportava da un pezzo.
Troppo corrotta, mercificata.
A fare da padrona solo l'apparire, il confondere.
Per sedurre.
Cercava un'altra economia esistenziale.
Poche cose.
Quelle essenziali.
Rapporti semplici, affettuosi con le persone.
Basta la frenesia.
Essere sempre in tiro.
Con la battuta pronta.
A mille.
Magari eccitati dall'alcol, dalle droghe.
Quanto avrebbe dovuto perdere questa volta.
Forse tutto.
Come il solito.
L'essere così strapiantato lo aveva destrutturato al punto da non avere più le parole, la voglia di leggere cose nuove.
Anni passati curvo sopra i libri.
A scrivere pagine su pagine senza nessuno a interloquire.
Come parlare col morto.
Non si trattava di apprendere ma di agire.
Tornare a vivere.
La città non faceva più per lui.
Quel deserto di cemento abitato da stranieri incomprensibili.
Aveva toccato il fondo.
Impossibile ripartire da lì.
La serata del cazzeggio, dell'aperitivo, della chiacchiera a vuoto non funzionavano più.
Tante volte si era fermato a osservare silente la marea di studenti, di lavoratori a riposo conversare per ore seduti l'uno di fianco a l'altro.
Con l'immancabile birra in mano.
Presi nelle loro conversazioni.
Un vocio sordo come il sibilo del vento tra le rocce fratturate di un'isola deserta.
Sempre più forte fino a coprire ogni cosa.
Una spirale avvolgente da togliere il fiato.
Allora partiva dentro un urlo silenzioso.
Saturo al punto da squarciare il torace.
Nessuno a ascoltarlo.
Perso tra le mille voci si amalgamava insignificante con il rumore di fondo.
I punti di riferimento se ne erano andati da un pezzo.
Chi era tornato a casa.
Chi in india.
Alcuni avevano semplicemente chiuso i battenti o si erano ritirati a vita privata.
Altri erano morti.
In tanta assenza nessuno li aveva sostituiti.
Certo, anche lui non faceva sconti.
Nella sua radicalità spesso alimentava quel vuoto.
Ma cos'altro avrebbe potuto fare?
Da un anno aveva ripreso a frequentare la provincia.
Non di sua volontà.
Perché costretto.
Col tempo si era inserito bene.
Lì era tutto più semplice.
Le porte si aprivano magicamente.
Le persone erano disponibili.
A volte lo cercavano.
Ma si trattava solo di un altro deserto.
Alla fine sarebbe arrivato il conto.
Una questione di tempo.
L'ennesimo shangri-la pronto a svelare il suo inferno.
In tale situazione aveva solo il conforto della bici.
Senza meta saltava su e via.
Per raccogliere uva in qualche campo abbandonato.
Oppure per dirigersi in una scuola di ex-comunisti convertiti al commonwealth o nella città splendente di luce dove le persone ti accolgono con il sorriso, ti abbracciano calorosamente.
Quando non era in bici ascoltava musica.
Una ricerca facilitata dalla rete.
Dopo anni di carestia, una marea di artisti era apparsa dal nulla pronta a rimpolpare la nuova avanguardia elettronica.
Tecno-dub, minimal, acid dall'accento teutonico pronta a strizzare l'occhio a certa acid-house inglese di fine ottanta.
Aveva pure ripreso a mettere su musica, a avere una playlist.
A mancare il pubblico delle grandi occasioni.
Pochi gli intenditori.
Anche perché così presi dal lavoro, dallo studio non c'era tempo di immergersi in quelle melodie rumorose.
Meglio semmai certa musica facile non prima di aver affogato i pensieri nell'alcol o nella chiacchiera infinita.
Con la scusa dell'ironia, del gioco, dell'essere easy a tutti i costi nelle sale alternative a tirare era il porno-trash.
E non c'erano cazzi.
Nichilismo di massa allo stato puro.
Tutto livellato secondo una perversa logica edonistica conservatrice.
Alla fine non c'era altro da fare.
Aspettare.
Dare tempo.
Dopo l'ultimo raccolto estivo si apriva un nuovo inverno.
Il momento della semina.
In attesa di una nuova primavera.
Mesi rintanati sotto terra.
Per rinascere ancora.
O morire del tutto.

P.s. 
bona la prima...
nn ce perdo nemmeno il tempo di correggerlo...

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