venerdì 8 giugno 2012

Un p'tit vélo dans la tête


Cara Béatrice
Ho letto lo scritto “De la rue a la mer”.
A alta voce.
Ho immaginato i suoni delle ruote, dei campanelli, le voci della gente, i sorrisi.
Allo stesso tempo i rumori delle auto ferme, i clacson, le parole arrabbiate degli automobilisti.
Tutto insieme.
Ho visto il serpente caotico di biciclette sotto il sole lungo la strada per il mare. Tra una leggera salita e una discesa liberatoria.
Immagini e suoni mescolati. Questi ultimi a scandire il ritmo a mo' di filastrocca leggiadra, ammaliante, delicata sopra il rumore antico di un proiettore acceso su di un passato vicino eppure già così lontano e stereotipato. Uno scioglilingua arcano capace di elevarti, di farti stare bene, di lasciarti con il sorriso di un bambino. Sospesi dal clamore cieco della vita. Nel cuore della notte. Con la sola luce sul tavolo a gettare ombre sulle cose. A mettere in risalto particolari solitamente poco noti.
Ecco cosa rimane della ciemmona.
Una sensazione di benessere indefinita.
Una pressione al cuore.
Delle immagini vive in grado di attivarti, di trasformarti ancora a distanza. Come dopo aver pronunciato una formula magica.
Ed è bello continuare a condividerle con chi c'era.
Con te, Gaz.
Perché sai di essere capito.
Per gli altri quelle stesse parole girano a vuoto.
Sono solo lemmi spenti.
Non pulsano di vita.
Non emanano sudori, odori.
Come fossero soltanto una sequela mortifera di parole accatastate in fila l'una dietro l'altra.
Sono contento di poter vivere questo con te. Nonostante la distanza. Anzi in virtù di essa.
Traiettorie improbabili sfioratesi per un breve momento.
Il tempo giusto di risuonare insieme.
Schizzate via subito dopo.
Non prima di essere state segnate irreversibilmente.
È vero eravamo diecimila.
Ma non è così importante.
È vero siamo stati una massa critica come non mai.
La città intera si è accodata a ritmo di bici.
Ma a rimanere dentro sono più quei piccoli momenti di pausa, mentre si faceva colazione tutti insieme all'aperto, il suono di una voce, il movimento di dita intente a rincorrere all'infinito ricci neri, uno sguardo fisso nel vuoto, le lezioni di yoga.
Insomma la vita nuda colta nei suoi momenti più intimi, privati. Libera di esprimersi senza essere ingabbiata in qualcosa. La massima espressione individuale. Senza vergogna di mostrarsi così com'è. Però allo stesso tempo immagine indelebile, esemplare capace di significare il valore più fragile e elevato di umanità.
Tutto il resto diventa secondario.
Eppure lo sfondo necessario.
Senza non sarebbe potuto accadere.
Dopo, se non si rimane troppo annebbiati dalla fiumana mortifera della vita quotidiana, quei momenti verranno conservati nella memoria come un patrimonio. La moneta da scambiare alla bisogna.

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