martedì 31 maggio 2011

mamma mia!

Mamma mia!
Mamma mia!
Oh mamma mia!
In camera di zia ora sono in quattro.
Quella di fianco ha appena subito un clistere e si lamenta in continuazione.
Le dico qualcosa per farla calmare.
Mi risponde puntuale:
Se fossi al mio posto diresti lo stesso.
Si... te vojo proprio vede...
Pure se ciò novantanni non so scema.
Uaoh...
Colpito e affondato.
La signora davanti è stizzita perché è stata cazziata dalla novantenne.
Dice di vedere cani.
Guarda là non li vedi?
No... Non li vedo.
La signora di fianco, quella senza una gamba, vorrebbe andarsene da lì per non sentire più i continui lamenti. Ma non può.
Non vedi non ciò la gamba.
Vai in sedia a rotelle...
Eh no.... vengo alzata dal letto una sola volta al giorno, la mattina quando c'è il fisioterapista.
Beh comprati dei tappi per le orecchie.
Cavolo non ci avevo pensato.
Rivolta alla badante...
Me li porti domani?
Anche il sottoscritto è arrivato al limite.
Ho appena comunicato tutta la rabbia alla zia senza filtri. L'unica in grado di ascoltare, non certo di capire.
Mi risponde.
Lo sai oggi è morta una signora di cento anni.
Ah sì?
Vado a prendere da bere... così si festeggia!

lunedì 16 maggio 2011

Masse critiche

Era il secondo sabato del mese.
Il giorno della critical mass.
Come solito alle quattro mai puntuali si cominciavano a radunare il popolo variopinto in bici.
Quel giorno era speciale più di tanti altri.
Alessandro e la sua sposa avevano deciso di festeggiare la loro unione partecipando al corteo a due ruote. In risciò trainato da un valente pedalatore, seguiti dagli invitati, compresi i parenti più stretti.
Come d'abitudine scoccate le quattro e mezzo abbondanti la massa radunata nella piazza tenuta a freno con impazienza si mobilitava. In un baleno tutti girarono le loro bici poggiate al suolo a testa in giù. E via uno dietro l'altro in fila per trovare una via di fuga dalla piazza verso chissà quale direzione. Anche oggi a caso, secondo il capriccio del condottiero di turno. Tutti gli altri a seguire fiduciosi suonavano i campanelli, urlavano slogan, ridevano di gioia.
Compatti sulla strada si era creato un muro mobile, meglio un'onda capace di dilagare sulla strada occupandola tutta.
Una volta tanto le macchine dovevano accodarsi e seguire a ritmo di pedalata. Certo non senza imprecazioni, suonando nervosamente il clacson. Non tutti la prendevano male. C'era pure chi diviso tra auto e bici solidarizzava simpaticamente e incitava a continuare la protesta pacifica.
La processione durò per tutto il pomeriggio in una città caotica e variegata. Quel giorno c'era pure la millemiglia. Tanta gente stava assiepata lungo la strada per vedere i bolidi a quattroruote reduci di tanti successi oramai lontani. Alla fine a prevalere era la confusione. Tutto si mescolava al punto di non riuscire a capire più niente. Le urla della massa critica, il clacson delle auto, il rombo dei motori a dodici cilindri, il tifo degli spettatori lungo la strada. Un'immensa folla aveva invaso ogni angolo del centro. Tutto era diventato indistinto, caotico. Roba da far girare la testa.
Allo stesso tempo un sentimento di ebbrezza misto a smarrimento aveva contagiato i partecipanti. Come si fosse stati tante pedine di un gioco più grande sparpagliate a caso lungo le vie della città. Un movimento di troppo e tutto sarebbe crollato per contagio.
Non successe nulla di strano.
Anche quel pomeriggio il giro fini in piazza s. Francesco.
Ancora presto, la piazza semivuota venne invasa dalle biciclette.
Il carretto degli sposi al centro e tutti gli altri intorno a girare a vuoto. Come in un accerchiamento di indiani urlanti di gioia e frenesia.
Dopo uno, due, più giri con il mal di testa si lasciarono cadere a terra le bici. A caso, dove capitava, per costituire capannelli separati di amici. Per bere, chiacchierare, confrontarsi, mangiare. Con lo scendere della sera i gruppi seduti aumentarono. Alla fine la piazza si riempì. Non c'erano più spiazzi vuoti. Si era diventata una massa eterogenea unica. Non so quanto critica. Comunque anche grazie alle luci giallastre della piazza, alla facciata scura della chiesa gotico-circestense, al vociare continuo come un mantra, sembrava di partecipare a un grande rito pagano. Tanta l'eccitazione,la frenesia nel perdersi in quella folla mormorante.
Verso mezzanotte arrivò pure la banda, un gruppo di olandesi venuti così, senza preavviso. Facendosi spazio tra la gente conquistò il centro della piazza per intonare canti di guerra. Delle musiche balcaniche capaci di accendere gli animi ebbri prima di buttarsi a capofitto nel buio profondo della notte. A caccia di chissà quale avventura inattesa.

lunedì 9 maggio 2011

Nun se butta niente!

Non so per quale strana congiuntura astrale, però in un sol colpo la zia e la mamma si erano trovate a condividere lo stesso letto in ospedale.
Marco Zen in tutta fretta aveva dovuto raccogliere le poche cose necessarie alla sopravvivenza, i vestiti, i libri, la bici, per partire verso sud.
Una rimpatriata come non succedeva da anni.
Nonostante tutto si era accasato bene.
Aveva trovato anche là sacche di resistenza al grigiore quotidiano. Giovani artisti, musicisti, poeti, grafici o semplici fancazzisti posizionati volontariamente ai margini.
Insieme si provava a mettere in comune le forze, a mescolare le differenti esperienze. Così da trovare tutti giovamento.
Quel giorno la ciclofficina di Ancona dava una festa di autofinanziamento. Da poco aveva aperto i battenti. Quella era la prima uscita pubblica. Un appuntamento irrinunciabile.
In tutta fretta si era allestito un gruppetto sparuto di ciclisti per scendere dalle colline al mare. Tante le barriere da superare, innanzitutto dentro se stessi per provare a muoversi in modo nuovo e antico allo stesso tempo.
Alla fine si era in quattro.
Due con la bici da corsa, il resto in citybike, in mountain bike.
Tre ragazzi e una ragazza.
Già questo sarebbe sufficiente per soffermarsi a parlare di questa esperienza.
In più c'era la novità della ciclofficina.
Allestita con il niente, senza strumenti.
Armata solo di entusiasmo, di voglia di fare.
Un avamposto isolato in pieno deserto urbano dove risultano ancora sconosciute parole come critical mass o la bici fissa.
Eppure il meglio doveva ancora capitare.
La lezione del giorno sarebbe venuta dalla strada da chi meno te lo aspetti. Quando pensi sia già tutto finito.
Si era in attesa del treno per tornare a casina.
Per ammazzare quei pochi minuti si era pensato di comprare delle birre al ristorante cinese.
Usciti dal negozio ripongo il resto dentro il portamonete.
Nella foga cade in terra una monetina da un cent.
Come nulla fosse la lascio lì.
Cavolo!
È solo un cent.
Un niente!
Fosse stato un altro momento la avrei raccolta.
Ma in quel frangente non ne volevo sapere.
D'improvviso emerge dallo sfondo amorfo un barbone.
Ha la schiena torta, il volto sporco e la barba.
Si fa strada attraverso un muro di persone poco rassicuranti.
Viene deciso dalla nostra parte.
Penso voglia prendere la monetina per sé.
In effetti si china proprio davanti a me, la raccoglie.
Poi il colpo di scena.
Me la porge.
Guardandomi dal basso, con il volto inclinato di tre quarti sentenzia:
Nun se butta via mai niente!
Ricevo la monetina tra le mani.
L'ennesima lezione di vita dal basso.
Lo ringrazio sorpreso.
Anche oggi si fa i conti con la solita presunzione.
È ora di contaminarsi con la vita.
Alleluja.