venerdì 25 febbraio 2011

La legge di Yassin

Iassin è un giovane marocchino.
Di professione sarebbe meccanico nel settore delle quattro ruote.
Senza più lavoro ha cominciato a frequentare la ciclofficina.
Di certo è il più produttivo di tutti.
Sforna una bici a apertura.
Non di quelle semplici ma con la canna e i rapporti.
Poi le rimette in circolazione.
A suo modo anche lui resuscita le vecchie carcasse dando loro un'ulteriore chance.
Oggi è venuto con delle ruote da ventotto e dei copertoni.
Li distribuisce come caramelle.
Certo, qualcosa si tiene anche per sé, per aggiustare la miracolata del giorno.
Però in cuor suo si ripete:
Prima bisogna dare...
Non attaccarsi a nulla.
Secondo una legge sottaciuta dello scambio.
Non si può solo prendere.
Quanto ti arriva va ridistribuito, rimesso in giro.
Basta tenere il necessario.
Non di più.
Certo per poter dare bisogna aver prima ricevuto qualcosa o anche preso nei modi più o meno leciti.
Comunque sia il possedere qualcosa a mo' di feticcio è un peso per la coscienza.
Non lo sopporta.
Vuole stare leggera, libera da tutto ciò la possa appesantire, ingabbiare, cristallizzare.
Spesso chi dà lo fa con la consapevolezza di aver già preso e di essere in debito con il mondo e la società.
Un dono non è un oggetto indifferente.
Sotto sotto ti conduce a stipulare un ulteriore appuntamento verso l'altro. Portandoti a pareggiare i conti.
Prima lo si fa meglio è per tutti.
Tale scambio non è solo materiale ma ancor prima simbolico affettivo.
Una sorta di riconoscimento verso gli altri. Un testimoniare l'appartenenza a qualcosa di comune, di condiviso, di pubblico. La res pubblica. Ma non ci si arriva ordinando a monte la propria vita. Conferendo la forma dello scambio come regola.
Così non funziona.
Piuttosto è una necessità emergente.
La devi sentire dentro.
A un certo punto della tua esistenza viene fuori e non ci puoi fare nulla se non seguire questa pulsione riequilibratrice.
È importante chiudere il cerchio. Non interrompere questa catena virtuosa.
In fondo è la stessa legge naturale della vita individualizzata.
Certo è un'illusione pensare di poter scambiare simbolicamente ogni casa.
Tale discorso non vale per la vita.
L'unica sua moneta di scambio è la morte secondo necessità. Come dicevano gli antichi.
In ogni caso non può essere fermata, arrestata, oggettivizzata, per questo ridotta e quantificata in altro.
Sarebbe una morte comunque.
Lo scambio simbolico in questo caso non è possibile, sarebbe solo un'illusione.
Al limite si può pensare a forme dinamiche di vita simbolico-culturali. Entro un flusso di trasformazioni comunque inarrestabili. Forse influenzabili in minima parte.

mercoledì 23 febbraio 2011

Ciclofficina esistenziale

Nella ciclofficina esistenziale il fare non è essenziale.
Vale solo l'essere in rivolta.
Dovunque, in ogni istante, con tutto sé stessi.
Non c'è nulla da riparare.
La denuncia è totale, metafisica.
Non si tratta di sostituire un mondo con un altro.
Sebbene non tutti siano equivalenti.
Alcuni sono migliori di altri.
Si tratta pur sempre di gironi infernali.
Fare o non fare non è il problema.
Si può scegliere di fare come no.
Non cambia più di tanto.
È un girare a vuoto comunque.
Tanto vale seguire il proprio istinto.
Sapendo di non avere regole, né di poterle dare.
Piuttosto si fa comunella con quelli nella stessa condizione.
Al limite tutti.
Per condividere la medesima coscienza, la stessa inutile preoccupazione.
Sens emploi employée.
Avendo cura senza cura.
Tutto qui.

Salto nel vuoto

Madido di sangue caldo, un feto appena nato insorge urlando.
Ancora legato al cordone ombelicale prova a risalire.
Attaccato come a una corda viscida sospesa...
Con i piedi serrati...
Si solleva a ritmo per tornare da dove è venuto.
Ma non è più possibile.
La fessura si è chiusa per sempre.
Dopo aver provato a bussare, a sfondare l'entrata umida e appiccicosa, si lega il cordone al piede, si getta nel vuoto a occhi chiusi.
Senza respirare precipita giù a capofitto.
Sale l'adrenalina, l'apprensione per il probabile schianto.
Pochi centimetri ancora.
Una frazione di secondo.
Poi l'arresto violento.
Il contraccolpo.
Con la stessa forza risale su per precipitare ancora.
Ormai è andata.
Appeso al cordone, in bilico come un pendolo, mira estraneo il nuovo mondo a testa in giù. Ancora memore del claustro tutt'avvolgente in cui era immerso fino a pochi secondi prima.
Tanta la vertigine e la nausea per la sbronza d'aria.
Troverà un abbraccio caloroso capace di contenere l'abisso spalancatosi davanti ai suoi occhi increduli?

Alla fine fu solo...

Era diventata puro spirito.
Quando si specchiava vedeva un'ombra trasparente.
Da tempo stava male.
Non di un male generico.
Ogni volta si localizzava da qualche parte fino a paralizzarla per il dolore.
Non se ne capacitava.
Nemmeno sapeva prendersi cura del proprio corpo martoriato.
Magari per limitare i danni e poter continuare a svolgere quelle poche cose quotidiane da massaia in pensione.
Cercava una soluzione.
La più veloce possibile.
Una volta si sperava nel miracolo, in San Gennaro o in qualche misterioso guaritore.
Altri tempi.
Oggi la speranza batte altre strade.
Senza smettere di essere altrettanto radicale e innovativa.
Quando il dolore diventava insopportabile voleva solo eliminarlo alla radice, senza ulteriori compromessi possibili.
Come con un automa meccanico pensava di sostituire quelle parti difettose, consumate dal tempo, dalla vecchiaia, per tornare a una nuova efficace funzionalità.
Aveva cominciato dai denti.
Non si era limitata a togliere quelli rovinati per conservare gli altri con cura.
No... li aveva levati tutti sostituendoli con una comoda dentiera.
Lei non l'avrebbe tradita.
Non l'avrebbe offerto nulla di più della possibilità di masticare ancora.
Una dentiera e basta.
Senza eccedenze residuali.
Sebbene meno pratica e nonostante tutto non eterna.
Infatti quando portata al limite dalle robuste mascelle era soggetta a rompersi in due.
Ma bastava sostituirla per risolvere il problema in poco tempo.
Dopo c'era stato il problema al nervo sciatico.
Anche lì era intervenuta drasticamente.
Operazione!
Per non zoppicare più...
Tuttavia non aveva funzionato come sperato.
Infatti il problema sembrava derivare ancor prima da una certa artrosi ileo-sacrale o forse da un problema di vene varicose. Un po' come scoprire se viene prima l'uovo o la gallina.
In quest'ultimo caso aveva progettato di farsi asportare le vene difettose una ad una. Fino a quando il problema non fosse scomparso del tutto.
Che vuoi che sia.
Un piccolo intervento e via.
Per tornare a vivere meglio.
Per non dover pensare più alla vita...
Come un tempo.
Seguendo scrupolosamente questa logica alla fine si era fatta togliere tutto.
A partire dall'utero.
Tanto non le sarebbe servito più a nulla.
Un peso inutile.
Anzi un pericolo costante come una bomba a orologeria pronta a esplodere.
Poi aveva smaltito tutto il resto.
Da allora non provava più dolore.
Aveva potuto riprendere la sua semplice esistenza per certi versi simile a quella di un fantasma.
Sebbene quasi trasparente le era rimasta solo la voce.
Così non la smetteva più di parlare.
Anche per sentirsi viva.
Per attestare agli altri e ancor prima a se stessa di esserci ancora.
Una pena infinita.

martedì 1 febbraio 2011

Traversata polare

Anche oggi sono tolti gli ormeggi.
Notte fonda.
La luce non filtra ancora.
L'importante è partire.
Ancora più stare in viaggio.
Togliersi dalle secche stagnanti dove ci si perde di noia.
Dove ogni meccanismo si arrugginisce fino alla paralisi.
Un brivido percorre la schiena.
Paura di perdersi ancora.
Di girare a vuoto.
Troppa vasta la distesa per pensare di arrivare.
Un passo ancora per capire di stare solcando sempre gli stessi luoghi.
Uguali eppure ogni volta differenti.
Apro il libro.
Comincio a leggere frasi una dietro l'altra.
Man mano la trama si fa lassa.
Comincio a vacillare.
In ogni parola si apre l'abisso.
Il senso sprofonda.
Relazioni infinite si intrecciano a perdersi.
Percorsi possibili si rivelano senza sosta.
Ogni inizio è solo un rinviare a altro.
Uno spostamento continuo dopo un collasso puntuale di significati.
Fino al punto sogliare di esplosione.
Il momento del trascendimento, della disseminazione centrifuga, tritatutto.
Come uscito dalla tenda rossa dopo il precipizio.
Muovo i primi passi sul pack gelido.
Tutto appare immobile, cristallizzato.
Passo dopo passo il ghiaccio comincia a scricchiolare sotto i piedi.
Iniziano a comparire i primi solchi accompagnati da rumori secchi poco rassicuranti.
La distesa senza orizzonte, né alto ne basso, destra o sinistra è in procinto di infrangersi.
Le crepe si stagliano profonde.
Passo dopo passo il ghiaccio comincia a sciogliersi, a frammentarsi in blocchi via via più piccoli.
La coltre ghiacciata si svela sospesa sull'oceano.
Circondata da tutte le parti da acqua gelida.
I frammenti di crosta diventano sempre più piccoli, sottili.
Il cammino non è più agevole.
Il suolo comincia a traballare.
In alcuni punti si inabissa.
L'equilibrio si fa precario.
Si aprono fessure preoccupanti.
Le zolle bianche sono sempre più fluide, dinamiche.
Come attirate da una forza irresistibile si perdono alla deriva.
Passo dopo passo salto da uno scoglio a l'altro.
Per non cadere dentro un mare scuro vischioso come la melassa.
Il percorso è sempre più irto e difficoltoso.
Tutto è diventato instabile, precario.
Come stare sopra le sabbie mobili.
In ogni istante si può affondare.
Man mano diventa difficoltoso anche saltare.
Aumenta il rischio di cadere in acqua e rimanere intrappolati in un gelo paralizzante come la morte.
Anche oggi si farà naufragio.
Senza scialuppa.
Per quanto si potrà resistere in apnea.
Quale nuovo limite di profondità sarà raggiunto?
Si riuscirà a emergere ancora?